Il 1° abitante del Castello di Calvi
Tra le preziose pergamene medievali conservate all’archivio di Montecassino, ve ne sono quattro di grande importanza per l’Italia intera.
I quattro “Placiti dell’Alta Campania” sono testimonianze giurate registrate a Capua, Sessa e Teano (due) tra il 960 e il 963. (1)
Tali documenti del X secolo contengono sotto forma di giuramento i più antichi periodi finora conosciuti di lingua italiana.
Trattasi nello specifico di un volgare campano aggiunto alle liti o dispute riguardanti i monasteri dipendenti da Montecassino.
La prima lite fu quella di Capua nel 960.
La seconda disputa avvenne nel marzo del 963 nel Castello di Sessa.
Qui, davanti al giudice Maraldo, a molti uomini e ai fratelli Adenolfo e Landolfo, figli del conte Landenolfo, comparvero:
un certo Gualfrid detto Occi, figlio di Guaiferio, abitante nel Castello di Calvi
“gualfrid que occi qamatur filius quondam guaiferi abitator de castro calbo”
e Gaido, presbitero e abate del Monastero di Salvatore in Cocuruzzo (frazione attuale del comune di Rocca d’Evandro), con il suo avvocato Urso.
Gualfrid, attore della causa, asserì di essere il proprietario di determinati terreni per eredità pervenutagli dall’avo e dal padre.
“per ereditationem abii et genitori”
Specificatamente, si trattava di appezzamenti situati nell’agro sessano in località Baloneo vicino al fiume Garigliano.
“in finibus suessa loco que dicitur baloneu. et propincu ipsu flubiu qui dicitur tregectu et ubi dicitur garilianu”
L’abate Gaido eccepì che le suddette terre erano di proprietà del monastero in virtù di due atti che egli esibiva.
“pro duobus scriptionibus”
Le decisioni del giudice
Il giudice li fece leggere pubblicamente.
In uno si attestava la vendita di due terreni all’abate da un certo Pergoaldo.
Nello altro era scritto che quest’ultimo aveva donato al monastero un’ulteriore terra.
Gaido, inoltre, dichiarò di poter provare a mezzo di testimoni che i beni erano appartenute a Pergoaldo per trenta anni.
Il giudice, ascoltate tali dichiarazioni, chiese a Gualfrid se avesse documenti o ragioni per far valere i suoi diritti.
Ma avendone avuta risposta negativa, ordinò “iudicavimus” (sentenza condizionale), alle parti di dare la guadia (garanzia).
Inoltre, chiese di effettuare una ricognizione in loco dove i testimoni dell’abate avrebbero mostrato a Gualfrid i confini delle terre.
Successivamente, tornati gli attori al cospetto del giudice, i testimoni, uno ad uno, tenendo nelle mani le “cartule” esibite, dovevano pronunciare la formula testimoniale da lui stesso predisposta
“sao cco kelle terre per kelle fini que tebe monstrai pergoaldi foro que ki contene, et trenta anni le possette”
rafforzando la dichiarazione con il giuramento.
Le parti allora dettero la guadia, posero i fideiussori e si recarono sulle terre chiedendo al giudice di partecipare al sopralluogo.
Tornati a Sessa, Gualfrid portò i Santi Evangeli per ricevere le deposizioni e il giuramento dei testi.
Il giudice ricevette le dichiarazioni dei testimoni nella formula in volgare parzialmente differente da quella preparata in precedenza e li fece giurare sui Santi Evangeli.
“sao cco kella terra per kelle fini que tebe monstrai pergoaldi foro que ki conteno et trenta anni le possette”
L’unico appezzamento di terreno
L’espressione, con la pronuncia separata dai tre testimoni, è riportata nel documento in questione quattro volte.
La formula ripetuta “toti tres quasi uno hore” evidenzia un altro aspetto rilevante.
Non si parla più, dunque, di tre appezzamenti ma di un’unica terra.
La contraddizione però è solo apparente.
A seguito del sopralluogo, i convenuti presero atto che le tre porzioni di terreno formavano un unico fondo.
“L’appezzamento è situato nell’attuale territorio di Santa Maria a Valogno (ridente frazione del comune di Sessa Aurunca).
Tale identificazione è netta dal punto di vista storico-linguistico in quanto Baloneu è il corrispettivo mediolatino del toponimo attuale Valogno.
L’opinione è suffragata dall’indicazione “ecclesia sancte marie“, l’odierno santuario della Vergine del Mirteto intorno alla quale è sorto il borgo.” (2)
Per di più, i tre testimoni indicarono i confini precisi del fondo:
“gualfrid terris ipsis per as fines. ab una parte fine fossatu qui descendit da ecclesia sancte marie ubi sunt ipse pentome maiori et mittit in flumen, secunda parte fine terra romani et benedicti filiastro eius, tertia parte fine alio fossatu qui descendit da pinie et mittit in predicto flubio, da quarta namque parte fine isto flubio”
Era dunque un terreno fertile circondato da diversi corsi d’acqua e collocato su un pendio assolato digradante sul fiume.
Le conclusioni del giudizio
Tornando ai fatti, anche l’abate e i dodici sacramentali giurarono sui testi sacri.
La controversia risultò “finita et deliberata in omnibus“.
Il giudice Maraldo, con sentenza definitiva, decise la causa in favore del monastero e dei suoi abati.
Le conclusioni furono accolte senza problemi da Gualfrid e dai suoi uomini.
A ricordo perpetuo di quanto era stato compiuto, il Maraldo ordinò ad Ildecaro, chierico e notaio, di metterlo per iscritto.
L’incartamento riporta alla fine le seguenti firme: giudice Maraldo, presbitero Giovanni, chierico Rachisi, Garando e Magelgando.
Infine, nella parte inferiore della pergamena si leggono queste due righe:
“prima parte ribo qui venit da ecclesia sancte marie et inde abet passus mille C.C.LXXIII.
Alia parte fine alio ribo qui venit da pinge et inde habet passus mille LX. ”
Si tratta verosimilmente di una postilla riguardante ulteriori informazioni non annotate in precedenza nello scritto.
Il documento, quindi, evidenzia due elementi particolarmente interessanti:
- un volgare locale che diede le basi alla futura lingua italiana
- il 1° abitante di chiara origine longobarda che si conosca del Castello di Calvi, Gualfrid detto Occi.
Bibliografia:
1) Mauro Inguanez, I Placiti Cassinesi del secolo X con periodi in volgare (4ª edizione), Montecassino 1942
2) Domenico Proietti, Sui luoghi dei placiti: note sulla toponomastica dei giudicati di Capua (960) e Sessa Aurunca (963), 2018
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