Giuseppe Garibaldi e l’ordine di abbandonare Calvi
Garibaldi ritornò amareggiato e deluso nella “sua” Calvi (già accolto calorosamente il giorno precedente) per trascorrere le notti del 26 e 27 ottobre 1860 dopo lo storico incontro con Vittorio Emanuele II.
Nella seconda ed ultima sera, alle ore 20:00, arrivò a Calvi a far visita al Generale nell’antico corpo di guardia dei carabinieri una deputazione del Comune di Palermo con altre del clero, della guardia dittatoriale e della guardia nazionale e di vari altri comuni.
Alla testa vi era il pretore o presidente del Municipio di Palermo, Giulio Benso Sammartino Duca della Verdura, il principe di Resuttana, il patriarca per anzianità, dopo Ruggero Settimo, dei liberali dell’aristocrazia siciliana, il dottor Gaetano la Loggia, capo della guardia dittatoriale, Gabriello Lancillotto Castelli principe di Torremuzza, l’avvocato Filippo Santocanale.
Inoltre, vi erano la famiglia Verdura, la principessa Niscemi e la principessa di Torremuzza.
La Loggia portava con sé i dispacci del prodittatore Mordini per Garibaldi e le medaglie al merito che il Municipio di Palermo aveva fatto coniare per i mille sbarcati con lui a Marsala sulle quali era inciso, da un lato lo stemma civico di Palermo con la legenda (redatta dal professore Daita) “Marsala, Calatafimi, Palermo”, e dall’altro lato, “a’ valorosi seguaci di Garibaldi, il municipio di Palermo redento“.
Lo scansato pericolo
Alle 22:30 circa, finiti i discorsi e partiti gli oratori, un allarme ruppe il silenzio della notte:
una pattuglia di soldati borbonici a cavallo provenienti da Capua avanzavano speditamente verso Calvi Vecchia.
Il Generale, ricevuta la notizia, ordinò immediatamente ad Alberto Mario di intercettare i nemici.
Mario uscì con calma dal tempietto ed immediatamente uno, due, tre soldati si unirono compatti in un sodalizio di generosi combattenti per tentare l’impresa.Incamminandosi, altri ufficiali dei corpi ivi accampati, caporali e soldati si unirono al gruppo che si ingrossò a vista d’occhio.
In breve raggiunse il numero di 50 unità.Oltrepassate le ultime sentinelle degli avamposti, si addentrarono in un territorio sconosciuto in cerca della pattuglia, il cui arrivo era annunciato in anticipo dal suono degli zoccoli dei cavalli.
Ufficiali e soldati a piedi si allargarono su due ali in modo da accerchiarla e colpirla con il fuoco incrociato, mentre la cavalleria la affrontava frontalmente sulla strada.
I garibaldini, circondato il mezzo, con pistole e carabine spianate, intimarono: “Ferma, giù le armi, prigionieri!”.
Il conducente, sbigottito ed impaurito, depose la frusta e arrestò immediatamente il carretto tirato da quattro cavalli carico solamente di mattoni.
Era sera inoltrata.
Svanita ormai la possibilità di combattere in loco i borbonici, Garibaldi doveva comunicare allo Stato Maggiore il ripiegamento dei suoi 5000 soldati verso Sant’Angelo il giorno successivo (28 ottobre).
Ad uno impartito a voce, preferì scrivere di suo pugno la seguente disposizione
La missiva
Calvi, 27 ottobre 1860
Sig. Brigadiere
Domattina alle 5, riprenderemo la marcia
su S. Angelo ritornando per la stessa strada che
percorremmo venendo. Dia ordine a tutti i corpi
nostri che si trovino a quell’ora sullo stradale,
per marciare simultaneamente.
L’ordine di marciare sarà eseguito in ragione
del posto che occupavamo sullo stesso stradale –
e sul quale arriveranno quei corpi che si
trovino laterali.
che inviò la sera stessa al Brigadiere Generale Friedrich Wilhelm Rustow che aveva il suo quartier generale a Visciano, frazione di Calvi, nella Taverna Mele.
Ordine che il Brigadiere prussiano conservò con cura perché fu l’unico che ricevette “dall’eroe dei due mondi”.
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