La clamorosa protesta dei cirogini
Sospese tra sacro e profano, in un trionfo di luci, colori e profumi, le feste patronali hanno rappresentato un importante appuntamento annuale.
Il popolo sentiva il bisogno di onorare i santi patroni, riaffermando insieme la fede cristiana e la tradizione culturale.
Sin dai tempi remoti, i giorni canonici erano scanditi da messe, processioni, fuochi pirotecnici, concerti bandistici e manifestazioni varie.
Ma, negli ultimi 100 anni, gli aspetti più rilevanti divennero le “apparate”.
Le parazioni o luminarie sono apparati effimeri utilizzati per addobbare strade e piazze.
Durante i periodi di festa, la loro bellezza si riconosce dalle luci, dai colori, dall’architettura e dall’aspetto scenografico.
Le luminarie nacquero intorno al XVI secolo e si diffusero prettamente nell’Italia Meridionale.
Nel corso degli anni, i maestri artigiani hanno realizzato vere e proprie opere d’arte.
Le luminarie sono anche chiamate “luci d’artista” per il loro aspetto visivo.
Ultimamente, i designer, inventando una nuova forma d’arredo, le hanno inserite negli ambienti interni.
Inoltre, la pratica di utilizzare luci e giochi di luce si è affermata anche durante il periodo natalizio.
La tradizione trae spunto dalla antica abitudine di addobbare l’albero natalizio prima con delle candele e poi con lampade elettriche.
Dunque, da sempre le feste sono state caratterizzate dall’utilizzo di fonti di luce per diffondere la gioia e l’allegria.
L’idea è di realizzare una scenografa veramente mozzafiato.
Le luminarie a gas
Nelle nostre contrade, le luminarie apparvero per la prima volta dopo la fine della prima guerra mondiale.
A quei tempi le “allummate” erano alimentate a gas.
Due pali di legno sostenevano una sola arcata, dove erano collocate a ugual distanza paralumi rivolti verso il basso.
Alla base di uno palo si posizionava un contenitore di ferro, simile all’attuale bombola del gas, diviso in due serbatoi.
Nella parte superiore, si versava l’acqua.
In basso, si collocavano le pietre di carburo di calcio di colore nero se non ossidate oppure di colore bianco.
Tramite un apposito regolatore, l’acqua scendeva nel serbatoio inferiore.
La reazione chimica dava luogo alla formazione di acetilene, un gas altamente infiammabile.
Il gas, poi, si incanalava in un condotto che saliva lungo il palo e poi attraversava tutta l’arcata.
Un addetto, avvicinando una fiamma collocata all’estremità superiore di una lunga asta alla parte interna di ciascun paralume, accendeva letteralmente “le luci”.
L’accensione generava una fiamma particolarmente resistente allo spegnimento, di colore bianco e molto luminosa.
Per lo spegnimento, invece, si ricorreva alla chiusura della valvola per interrompere la discesa del sottile filo d’acqua.
I caleni dell’epoca rimanevano estasiati nel vedere all’opera un certo Ciro, conosciuto come “mastu Giru“.
La mattina del giorno successivo, i ragazzi recuperavano i residui delle pietre per utilizzarle nei loro giochi.
L’alimentazione a gas continuò anche diversi anni dopo l’introduzione dell’energia elettrica, avvenuta a Calvi nel 1926.
La festa di San Nicandro del 1971
Un cambiamento radicale nell’organizzazione delle feste patronali avvenne all’inizio degli anni ’70.
Il predominio assoluto di Zuni, durato 16 anni con tanto di festival della canzone, iniziò a scemare.
Così. le altre frazioni di Visciano e Petrulo iniziarono ad organizzare manifestazioni di pari livello.
Nel 1971, il comitato festeggiamenti di San Nicandro a Petrulo era composto da:
- Mario Allocca
- Giovanni Bonacci
- Luigi Bovenzi
- Antonio Colella
- Vincenzo D’Onoftio
- Giovanni Izzo
- Gregorio Izzo
- Nicandro Santillo
- ed altri
Il presidente era Luigi Bovenzi, una persona stimata e conosciuta da tutti.
Lavorava per conto SETAC e poi ENEL alla lettura dei contatori e alla riscossione delle bollette ogni tre mesi.
Inoltre, da piccolo imprenditore, possedeva dei mezzi agricoli.
Il cassiere, invece, era il ventunenne Giovanni Izzo.
Il comitato si diede un gran da fare per organizzare un grande evento.
Nonostante ciò, sabato 21 agosto 1971, all’atto dell’accensione delle luminarie, gli abitanti constatarono loro malgrado la tenuità delle luci.
Sconcertati e attoniti, diverse persone, le cui generalità non sono note, decisero di inscenare una clamorosa protesta.
Il giorno seguente, al calar delle tenebre, un folto gruppo di persone si radunò in strada tenendo in mano i “cirogini” accesi.
Qualcuno, addirittura, sorreggeva un cartello di protesta.
Ovviamente l’ironia si riferiva all’uso della luce delle candele per rimediare al “buio” delle luminarie.
Il corteo attraversò le strade principali di Petrulo con sit-in finale “ngoppa a s’ll’cata“, dove abitava il presidente Bovenzi.
Alla fine, tra i componenti della commissione festeggiamenti la delusione era palpabile per gli sforzi profusi e i sacrifici affrontati.
In realtà, l’inconveniente era attribuibile alla ditta installatrice delle luminarie perché posizionarono insufficienti punti luce.
Comunque, la protesta non portò a nulla.
La festa si chiuse come era iniziata.
E soprattutto, negli anni seguenti l’impegno degli organizzatori si accentuò per ottenere risultati migliori.
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