La funesta sorte di Giuseppe De Filippo nel 1963
Giuseppe De Filippo nacque a Pignataro Maggiore il 9 agosto 1912 da Pasquale e Angela Mastrogiovanni.
Il papà era tagliamonte (scavatore di pietre) e la mamma donna di casa.
I coniugi ebbero altri cinque figli: Pietro, Salvatore, Marta, Angela (suora) ed Elisabetta.
Sin da ragazzo Giuseppe lavorò sodo nella cava di pietra del papà in qualità di manovale.
Il 3 giugno 1933, il soldato di leva classe 1912 del distretto di Caserta fu collocato in congedo illimitato.
L’anno seguente, il 6 aprile 1934, lo chiamarono alle armi nel Reggimento Genio Ferrovieri a Castel Maggiore (Bologna).
Dopo i canonici 18 mesi di leva, fu trattenuto alle armi ai sensi del Regio Decreto 246 del 14 marzo 1935.
Il 5 marzo 1936, partì per l’Eritrea con la 31° Compagnia per esigenze A.O.
Imbarcatosi l’8 marzo a Napoli, sbarcò dopo 9 giorni di navigazione a Massaua, capoluogo dell’omonimo distretto.
Terminata la missione in Africa Orientale, partì da Massaua il 24 settembre per arrivare a Napoli il 1° ottobre 1936.
Immediatamente, fu ricoverato all’Ospedale Militare di Portici e inviato in licenza di convalescenza di 60 giorni a Pignataro Maggiore.
Rientrato al corpo il 10 dicembre 1936, ricevette il premio di smobilitazione di 300 lire e lo collocarono in congedo illimitato.
Ma la sua carriera militare non finì qui.
L’arruolamento volontario
Giuseppe De Filippo si arruolò volontario il 12 novembre 1938 per Africa Orientale Italiana (sigla A.O.I.) con ferma indeterminata.
Così ottenne di essere nuovamente destinato in Eritrea.
Imbarcatosi a Napoli il 19 novembre 1938, sbarcò a Massaua il 28 dello stesso mese.
Fu mobilitato nel Reggimento Ferrovieri d’Africa e operò in territorio dichiarato in stato di guerra.
Purtroppo, il 21 aprile 1941 fu catturato dagli inglesi ed internato presumibilmente in uno campo ad Addis Abeba.
Rimase prigioniero degli anglo-americani per quasi 5 anni (dal 21 aprile 1941 al 15 aprile 1946).
Una volta liberato dalla prigionia, sbarcò finalmente a Taranto il 10 gennaio 1947.
Il giorno seguente, dal centro alloggio n. 904 della città pugliese, fu inviato in licenza di rimpatrio di 60 giorni.
Il 12 marzo 1947, il Distretto Militare di Caserta lo collocò definitivamente in congedo illimitato.
A Giuseppe De Filippo conferirono la croce al merito di guerra in virtù del d. c. 14-12-1942 n. 1729 (per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940 – 1943 con determinazione del Comando Militare Territoriale di Napoli in data 15-05-1960 n. 66705 di concessione).
Inoltre, lo decorarono con la medaglia commemorativa delle operazioni militari in A.O. per aver partecipato con il Reggimento Ferrovieri d’Africa:
- alla campagna in Africa Orientale nel periodo 1935-1936
- alle operazioni di guerra dall’11 giugno 1940 al 21 aprile 1941
Infine, gli attribuirono i benefici di cui all’art. 4 D.Lgs. 4/3/1948 n. 137 per essere stato prigioniero degli anglo-americani dal 21/4/1941 al 15/4/1946.
Le nozze con Caterina Pomaro
Giuseppe De Filippo, una volta tornato a casa, si trasferì a Latina presso le sue sorelle Marta ed Angela.
Invece, l’altra sorella, Bettina, abitava in una masseria nell’area dell’antica Cales.
I miei nonni materni Luigi Pomaro e Giuseppina Di Nuzzo, avendo un terreno al Capitolo, la conoscevano bene perché si incontravano spesso.
Un giorno Bettina chiese a mia nonna di far conoscere il fratello a una delle sue figlie.
La primogenita Caterina Pomaro, veramente bella, era appena uscita da una storia con Amedeo Capuano di Zuni.
Così Giuseppe e Caterina si fidanzarono.
I due convolarono a nozze domenica 4 aprile 1948 nella chiesa di San Nicola a Zuni.
Il rito fu celebrato dal parroco pignatarese Don Pietro Pettrone.
I coniugi fissarono la propria dimora per un paio d’anni in un vicoletto di via Napoli a Visciano per poi trasferirsi definitivamente a Pignataro Maggiore.
Dalla loro unione nacquero due figlie:
- Angela nel 1950
- Anna Maria nel 1956
Altri due morirono al momento della nascita o in tenera età: Pasquale (1949) e Pasqualina (1954).
Giuseppe De Filippo divenne un imprenditore con:
- due cave (una a Pantuliano e l’altra in località “Masseria la Carità” a Pignataro Maggiore) per ricavare pietre di tufo (ciummèntole)
- un camion utilizzato per consegnare il materiale edile
L’autista del suo automezzo era un certo Amedeo di Petrulo.
Un giorno, i due si recarono fuori regione per una commissione.
Sostarono in un ristorante per il pranzo.
Generalmente il suo assistente lo chiamava per nome, ma quella volta pronunciò il cognome De Filippo.
Sentendo ciò, gli altri clienti della struttura immaginarono di trovarsi davanti il celebre commediante napoletano.
Così tutti gli chiesero un autografo e lui non si sottrasse, sorridendo compiaciuto.
All’uscita i due si lasciarono andare in fragorose risate.
La profezia non rivelata
Ma un altro avvenimento più serio si inserì nel percorso della sua vita.
Giuseppe De Filippo voleva comprare un terreno a Pantuliano per poter ricavare le pietre di tufo.
Ma prima di effettuare un investimento considerevole, decise di consultare un chiromante.
Negli anni ’50 diversi caleni si recavano da Nicola Russo, sensitivo e cartomante di S. Maria Capua Vetere.
Dopo essersi seduto al tavolo del Russo, il chiromante non riuscì nemmeno a girare una seconda carta.
Subito gli disse di andarsene.
Il De Filippo non si capacitò del perché di quella risposta a prima vista incomprensibile.
E spesso ripeteva “chigliu f’tente ‘e merda nun ma vulutu legge l’ cart’ “.
Ma non sapeva che dal mazzo era uscita la carta della morte.
Il 6 febbraio 1963 era un giorno come gli altri.
La mattina si recò a scuola per parlare con i professori della primogenita Angela che allora frequentava la 2° media.
Poi decise di non lavorare per pranzare con la famiglia e riferire l’esito dei colloqui avuti con gli insegnanti.
All’inizio del pomeriggio, preferì passare il tempo leggendo Famiglia Cristiana.
Ad un certo punto sentì bussare alla porta.
Il suo autista Amedeo lo convinse con insistenza ad andare insieme a lui a Giano Vetusto.
La ragione addotta riguardava l’eventualità di incassare i soldi dal sindaco del paese collinare a cui stavano costruendo la casa.
Lungo la strada di ritorno da Giano Vetusto, s’imbatterono a Partignano con un camion fermo.
L’autista dell’altro mezzo, Domenico Melone di Visciano, chiese a mastu’ Peppe di tirarlo fuori dal fosso.
Dopo averlo agganciato, rimisero in strada il camion.
Ma i due autisti non riuscirono a slegare la corda d’acciaio.
Lui scese dal proprio automezzo e sganciò la fune.
Improvvisamente, il camion di Domenico Melone indietreggiò velocemente.
La tragica fine di Giuseppe De Filippo
Giuseppe De Filippo rimase schiacciato contro l’altro mezzo.
Gravemente ferito, il cugino Pietro Di Filippo (cognome originato da un errore di trascrizione), Luigi Vito (un suo operaio di 18 anni) e Mario D’Auria con la propria auto lo portarono all’ospedale Palasciano a Capua.
Giunti allo Spartimento, Giuseppe De Filippo chiese di essere riaccompagnato a casa per vedere le figlie.
Ma quando giunsero nella sua abitazione, il poveretto era già morto.
Sdraiato sul letto per la vestizione, i presenti notarono solo una macchia rossa dietro la schiena.
Presumibilmente, il violento urto gli perforò il polmone.
Intanto, l’autista avvisò la moglie Caterina Pomaro dicendole che il diciottenne Gino, un loro lavoratore, era rimasto gravemente ferito.
Amedeo e Caterina partirono con il camion alla volta dell’ospedale, ma non trovarono nessuno.
Tornando indietro, Caterina notò un capannello di curiosi in lontananza vicino casa sua a Pignataro.
Chiese all’autista cosa stesse succedendo ma lui, pur sapendo, non aprì bocca.
Giunti a destinazione, vide una moltitudine di persone nel suo portone.
Immediatamente capì e svenne.
Giuseppe De Filippo, una brava, onesta e stimata persona, morì all’età di 50 anni.
In vita fece credito ai propri clienti basandosi sulla fiducia.
Alcuni onesti saldarono il dovuto alla moglie.
Altri farabutti, invece, negarono spudoratamente quanto ricevuto.
Giuseppe De Filippo disse in sogno a Vincenza Pomaro, sorella della moglie:
“Vicè, mi hanno portato ‘o spitale ma non ci so’ arrivato.
Ho visto una colomba che portava una lettera in bocca.
Vedendo ciò, nun ce sta’ niente ‘a fa’.
M’ ne ggia ì’.
Ma comm’ e’ brutta ‘a spartenza.”
Intanto, la moglie portò avanti l’attività del coniuge per due anni.
Poi divenne una lavoratrice dipendente.
Caterina Pomaro si è addormentata tra le braccia del Signore il 21 agosto 2012.
Adesso risposa accanto al suo amato marito.
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