I fossili di 120 milioni di anni fa
All’inizio degli anni 2000, a Calvi vi fu una scoperta sensazionale e probabilmente anche del tutto inaspettata.
Nel nostro territorio, oltre alle numerosissime tracce lasciate da diverse civiltà sepolte, venne fuori la ciliegina sulla torta.
Il dott. Raffaele Izzo, conosciuto e stimato medico veterinario di Petrulo nonché appassionato naturalista, rinvenne un blocco calcareo mai visto prima durante una delle tante escursioni sulle colline calene.
Lo studioso, profondo conoscitore dei luoghi nostrani, riconobbe l’importanza paleontologica del ritrovamento e lo segnalò immediatamente.
Il primo ad essere contattato fu il compianto geologo Pasquale Iorlano.
Il professionista, sulla base di un’analisi sommaria, rivelò che erano resti di organismi vissuti milioni di anni fa.
Successivamente, Raffaele Izzo, dopo aver dato la notizia all’amico Alfredo Maciariello, coinvolse Giuseppe Zona, nipote di Angelo Capuano.
Il giovane chiamò a raccolta a Calvi dei paleontologi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Gli esperti certificarono che si trattava senza ombra di dubbio di fossili risalenti a 120 milioni di anni fa.
Gli organismi primitivi si trovano incastonati nella roccia sedimentaria e si presentano perfettamente conservati grazie a particolari condizioni ambientali verificatesi nel tempo.
Il blocco, del peso di circa un quintale, venne sicuramente alla luce quando costruirono la strada periferica sottostante.
Il grosso ammasso di macrofossili del Cretacico o Cretaceo presenta evidenti impronte di molluschi bivalchi.
Tali invertebrati marini estinti appartengono alla famiglia delle Rudiste, il cui termine deriva dal latino rudis, ovvero ruvido.
Questi molluschi vivevano fissi sulla roccia sottomarina poco profonda, in gruppi numerosi.
Le Rudiste erano composte da due valve asimmetriche.
La prima, ancorata al fondo del mare, diveniva cilindrica o cronica.
La seconda, invece, era un organo mobile, simile ad un coperchio, che aderiva al substrato duro.
La morfologia calena in epoche remote
La notizia del ritrovamento, da parte di Raffaele Izzo, ebbe il giusto risalto sulla stampa locale.
La sensazionale scoperta pone un grande interrogativo.
Come si presentava il territorio caleno in ere geologiche remote?
Sicuramente il paesaggio non era come quello che possiamo ammirare adesso.
Calvi all’epoca era bagnata dal mare tropicale dell’antica Tetide.
Il Mar di Tetide era un oceano che separava longitudinalmente l’Africa settentrionale dall’Europa nei tempi geologici passati.
Il nome derivava dalla dea greca Teti, moglie di Oceano e madre delle ninfe Oceanine e degli dèi fluviali.
Nei nostri luoghi, dunque, in un contesto caratterizzato da acque calde e poco profonde, si accumularono le successioni di calcari ricche di organismi marini tra cui conchiglie, crostacei, molluschi e pesci.
Secondo i geologi, milioni di anni fa Calvi era meravigliosamente somigliante ad un atollo delle Maldive.
Un atollo si presenta come una scogliera ad anello formata da un agglomerato di organismi in cui predominano elementi calcarei.
Gli atolli delimitano le lagune, che sono collegate al mare aperto mediante uno o più canali.
Quindi, a Calvi vi era un ambiente lagunare.
Poi, negli ultimi 5 milioni di anni, i fondali si sono sollevati in modo definitivo.
Ciò ha determinato l’attuale configurazione morfologica del territorio.
Per quanto concerne i fossili, nonostante le segnalazioni alla soprintendenza e a tutti gli organi competenti, il blocco calcareo è rimasto ancora al suo posto.
Fortunatamente solo poche persone conoscono la sua ubicazione esatta.
Ma soprattutto la natura lo ha mimetizzato sotto i rovi in modo da non essere individuato.
La speranza è che i nostri amministratori possano prendere a cuore il problema, affinché si metta fine a questa vicenda.
La sua degna collocazione, per poter essere ammirato e apprezzato, sarebbe all’interno di uno degli edifici scolastici caleni.
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