Il gelido inverno del 1956
Quello del 2024 è stato il febbraio più caldo mai registrato a livello globale.
La temperatura media dell’aria superficiale di 13,54°C è risultata di 0,12°C più elevata del precedente primato,
Quindi nulla di paragonabile a quanto successo quasi 70 anni fa.
L’inverno del 1956 fu particolarmente rigido con abbondanti nevicate e gelate i cui effetti si protrassero per diverso tempo.
Gli anziani ricordano nitidamente quel capitolo indimenticabile della loro vita, consapevoli dell’eccezionalità dell’evento.
La neve aveva un aspetto particolare, essendo granulosa, simile al riso.
I fiocchi sospinti dai venti si posarono nelle vie sottoposte rispetto al piano dei terreni rendendo le strade impraticabili.
Tra loro vi erano alcune arterie principali: via dei 48, via Rocioloni, via Bizzarri, via Barone Sanniti e via Martini.
Il transito di carretti e delle sparute automobili rimase bloccato per diversi giorni anche in conseguenza della presenza di ghiaccio.
In molti casi i cittadini dovettero intervenire con il piccone (“scimarru“) per rompere le spesse lastre di ghiaccio.
Il sindaco dr. Guido Gaito emise un’ordinanza di sospensione dell’attività didattica a causa delle forti nevicate.
Diversi caleni si ritrovarono obbligati a restare a casa e a non poter andare al lavoro.
Anche l’approvvigionamento del foraggio destinato al bestiame si rese estremamente problematico.
Dunque, la vita quotidiana divenne una lotta contro un nemico invisibile ma onnipresente: il freddo glaciale.
Il grande pupazzo di neve di Zuni
Ma in mezzo a questo scenario molto complicato, emerse una figura particolare.
Il grande pupazzo di neve di Zuni portò con sé un sorriso sui volti dei bambini e degli adulti.
Ma cosa c’era di così speciale in questo cumulo di neve compattata?
Gli zunesi grandi e piccini riuscirono a creare con impegno, maestria e pazienza una grande scultura invernale.
Inoltre, rafforzarono la struttura con dei sostegni.
In questa foto potete ammirare tutta la sua grandezza e bellezza.
Luigi Parisi, conosciuto in paese per essere un operatore ecologico, si sedette addirittura sulla sommità fumando una sigaretta.
Tutt’intorno vi erano alcuni adulti, tra i quali Salvatore Izzo, il papà di Girolamo (“Gino u mesce“) e due fratelli.
Ma soprattutto un nutrito gruppo di bambini e ragazzi.
Uno di questi indossava dei pantaloncini corti nonostante il freddo pungente.
Il pupazzo di neve, dunque, rappresenta un simbolo di gioia, di divertimento e di risate.
Ma è anche un custode di segreti.
Si narra che quando cala la notte, i pupazzi di neve prendano vita, danzando sotto la luna e guardando il mondo con occhi pieni di meraviglia.
Inoltre, il pupazzo di neve è un ambasciatore della speranza.
Nel cuore dell’inverno, quando tutto sembra sopito sotto uno strato di neve, ci ricorda che basta un po’ di fantasia per far risplendere una nuova “primavera“.
Pertanto, il pupazzo di neve è un simbolo di gioia e di speranza, che porta con sé il sorriso di chi lo costruisce.
La difficoltà di seppellire i morti
Come detto in precedenza, l’altra faccia della medaglia del gelido inverno fu la difficoltà del vivere quotidiano.
Una famiglia abitava nella 2° casa a sinistra salendo in via delle Acacie 20 dopo il ponte sul rio Maltempo.
Antonio Di Nuccio (Antonio ‘e Pauletta) aveva sposato Angela Pitocchi (Ngiulina ‘e Pauletta).
Il 14 febbraio 1956, nel giorno di san Valentino, purtroppo la signora di anni 48 passò a miglior vita.
Il funerale non si poté celebrare nelle ore successive a causa delle forti nevicate e dell’impraticabilità delle strade.
Il corpo della povera donna rimase nel letto di casa a Petrulo oltre il tempo dovuto.
Successivamente, dopo un temporaneo miglioramento delle condizioni meteorologiche, le esequie furono celebrate nella vicina chiesa di San Nicandro.
Tuttavia, il corteo funebre si ritrovò impossibilitato a proseguire per il cimitero perché via Rocioloni era completamente sommersa dalla neve.
In alternativa, si incamminò per via IV Novembre in direzione Zuni.
Arrivati al “Seminario”, svoltò a sinistra in via Cales, che era praticabile.
Solo così la salma di Angela Pitocchi raggiunse il cimitero caleno.
In conclusione, l’inverno del 1956 ha rappresentato un capitolo indimenticabile nella nostra storia recente.
Un esempio di come la comunità calena si sia unita per affrontare insieme le avversità riservate dalla vita.
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