L’invio delle truppe di Calvi contro i garibaldini
La condotta scellerata del comandante Scotti scoprì le spalle dell’armata di Ritucci e provocò un duro colpo al morale dei napoletani.
Così Ritucci, avendo le retrovie scoperte, ordinò la ritirata generale dal Volturno, in direzione del Garigliano.
Nella piazzaforte di Capua, il comandante in capo lasciò circa 11000 uomini, compresi i reggimenti 9° e 10° dei fanti.
Per contrastare l’avanzata piemontese da Isernia, schierò la sua armata, da nord verso sud, dal Garigliano fino a Calvi.
- la divisione del Colonna con le artiglierie e le salmerie ordinate a scaglioni presso lo Spartimento
- la brigata di Giovanni D’Orgemont e il reggimento cacciatori a cavallo a Calvi
- la divisione del brigadiere Giovanni Luca Won Mechel a Teano
- la divisione di cavalleria del brigadiere Giuseppe Palmieri scaglionata su tutto il fronte
- la brigata di Vincenzo Polizzy, rivolta a sud, in retroguardia.
Quest’ultimo, neopromosso per il valore dimostrato nel combattimento di S. Angelo, diresse con grande bravura la difesa delle retrovie.
Dunque, Calvi fu invasa da migliaia di soldati del re Francesco II.
Secondo alcune analisi, si stima tra i 4.000 e i 6.000 militi napoletani.
Quindi, il territorio caleno era pieno di soldati.
Ma il grosso delle truppe fu ospitato in due grandi accampamenti militari:
- il primo a Calvi Vecchia nell’area della cattedrale e del castello angioino-aragonese.
- l’altro invece allestito intorno a Taverna Mele al bivio Calvi – Sparanise.
La missiva del ministro della guerra Casella
All’epoca dello sbarco dei Mille a Marsala nel maggio 1860, Francesco Angelo Casella era intendente generale dell’esercito borbonico.
Il 7 settembre 1860 fu incaricato dal re Francesco II delle Due Sicilie di formare un nuovo governo.
Contemporaneamente tenne per sé anche il dicastero della guerra e degli affari esteri.
Il 21 ottobre 1860, Francesco Angelo Casella inviò una missiva al generale in capo dell’esercito borbonico.
Il ministro della guerra chiese a Giosuè Ritucci di:
- attaccare e sconfiggere il nemico prima che giungesse a Teano
- proteggere l’attraversamento del fiume Volturno a Caiazzo e Triflisco
- inviare sul campo di battaglia la prima divisione, le truppe di Calvi e la cavalleria
La lettera, trasmessa per telegrafo, riportava testualmente:
Il movimento d’una parte del corpo di esercito verso Teano si deve regolare in modo da attaccare e battere il nemico prima che giunga nei dintorni di Teano.
Bisogna badare che il Volturno non si passi a Caiazzo o Triflisco alle spalle del corpo di esercito.
La prima divisione, le truppe di Calvi e la cavalleria dovrebbero subito muovere durante la notte.
In S. Agata è per ora anche la batteria n. 4 ai vostri ordini.
Rendete notizie esatte delle forze avverse e tenete costantemente informato questo ministero anche da Teano spedendo i dispacci in S. Agata con ordinanza a cavallo al trotto per la nuova strada abbreviata.
Gaeta 21 ottobre 1860
Firmato – Casella
La risposta del Ritucci
Il Ritucci rispose che la brigata estera non poteva transitare con la sua batteria per Triflisco.
A Caiazzo, poi, era impossibile mantenere la posizione per due motivi:
- se fossero lasciate poche truppe, sarebbero state sopraffatte facilmente
- forze ingenti, invece, avrebbero indebolito l’intero esercito napoletano
Il generale Von Mechel aveva la possibilità di ritirarsi o per Alife o per Triflisco.
Per conoscere le sue intenzioni, il generale inviò a Caiazzo l’alfiere Fiore dello stato maggiore.
Intanto, lo stesso Ritucci ordinò al Polizzy di presidiare Triflisco per breve tempo con un battaglione e due cannoni.
L’unità, in caso di combattimenti, aveva l’obbligo di retrocedere a Sessa e ripiegare per la traversa di Riopersico a Teano.
Date queste disposizioni, il comandante in capo napoletano, con il suo stato maggiore al completo, partì da Capua.
Arrivato a Calvi, si trattenne per accertarsi se le truppe avessero eseguito le disposizioni impartite.
Trenta minuti prima di mezzogiorno, dopo aver ordinato di persona ai tiragliatori di marciare a passo spedito verso la Taverna della Catena, giunse a Teano.
Nella cittadina sidicina effettuò una vasta ricognizione dei luoghi circostanti per individuare tutte le possibili mosse del nemico.
Inoltre, fece predisporre gli spazi necessari per l’accampamento delle soldatesche.
Poi si recò con uno squadrone di cavalleria alla Taverna della Catena.
Qui attese l’arrivo dei tiragliatori.
Al loro comandante, il colonnello Ferrara, comunicò di ritornare frettolosamente a Calvi appena fossero sopraggiunti i rinforzi.
La strategia attendista del generale
Verso sera, il Ritucci intimò al generale Echaniz di marciare ed occupare con la brigata del Grenet la Taverna della Catena.
La presenza del reparto borbonico a Vairano, in sostituzione dei tiragliatori, serviva a spiare ogni movimento del nemico.
Invece, il colonnello Tedeschi, con il settimo battaglione dei cacciatori, era rimasto a guardia di Triflisco.
La pericolosa posizione occupata indusse l’ufficiale a scrivere al comandante in capo.
Quest’ultimo gli concesse la facoltà di spostarsi a Teano o a Cascano.
Contestualmente fu ordinato al colonnello Dentice di perlustrare la strada da Riopersico allo Spartimento con il primo reggimento degli ussari.
Intanto il governatore di Capua comunicò al ministro della guerra che il nemico aveva oltrepassato il Volturno.
Casella lasciò libero arbitrio al Ritucci di decidere alternativamente di:
- dividere l’esercito napoletano in due gruppi per assaltare gli invasori a Venafro e Triflisco
- accampare le truppe tra Cascano e la pianura di Sessa
Sempre il 21 ottobre, il comandante aprì una missiva del giudice regio di Venafro de Bernart diretta al ministro della guerra.
Il latore asseriva che il generale sardo Cialdini si lamentava dei maltrattamenti subiti dai prigionieri garibaldini.
Immediatamente, scrisse al Casella e chiese al giudice di Venafro di distogliere il Cialdini da simili cattivi pensieri, essendo i reclusi trattati bene.
Nonostante le pressioni del sovrano e di tutti i ministri borbonici, il Ritucci preferì continuare ad adottare una tattica attendista.
Come affermò in un opuscolo pubblicato nel 1861, desiderava recarsi negli Abruzzi per:
- combattere i sabaudi alle spalle con l’aiuto dai partigiani del re
- impedire l’assedio di Gaeta
- dare più tempo alla diplomazia di svolgere il proprio lavoro a favore del reame
Ma questo pensiero rimase solamente nella sua mente.
Nemmeno a Tommaso Bertolini, capo di stato maggiore dell’esercito napoletano, comunicò la sua strampalata strategia.
© Riproduzione riservata