La lite legata al Palio di Calvi del 1678

La lite legata al Palio di Calvi del 1678

Il Palio di Calvi si correva il 23 maggio in occasione dei solenni festeggiamenti di San Casto, patrono della diocesi.

L’evento, unico nel suo genere in tutta la zona, costituiva il giusto coronamento del periodo festivo.

Il gioco contribuiva a creare un’atmosfera festosa e la festa trovava nel gioco un’espressione gioiosa di partecipazione e di coinvolgimento.

La corsa, dall’esito incerto fino al traguardo, aveva le sue regole certe.

Si correva alla lunga, cioè in linea “alle cerque di Santo Lazzaro“.

Dall’interno delle mura della città vecchia, ci si spostava all’esterno su strade sterrate e sconnesse.

Partendo dalla Cattedrale, si svoltava a sinistra e si proseguiva attraversando il Ponte dei Lanzi.

Raggiunto il bivio di Pignataro Maggiore, si deviava in direzione del centro del paese fino a spingersi più avanti.

Da qui, per la stessa strada si tornava a Calvi.

La cartina illustra con sufficienti dettagli il percorso della corsa a cavallo.

Percorso_Palio

Una gran folla si assiepava lungo il tragitto, attratta dalla singolare manifestazione.

A differenza del Palio di Siena (una sfida tra le diverse contrade della medesima città), quello di Calvi era una gara a cui partecipavano i cittadini della Diocesi.

La connotazione originaria della “giostra equestre” era di natura aristocratica.

Infatti i partecipanti erano persone facoltose appartenenti al clero e ai proprietari terrieri.

La conduzione invece si affidava a qualche garzone, che correva il pericolo di farsi male, cadendo dalla giumenta.

La vittoria del cavallo eventualmente costituiva un onore e un privilegio per il padrone dell’animale.

Ciò rendeva la competizione particolarmente sentita.

Il prete rissoso e violento

Un fatto spiacevole accadde domenica 22 maggio 1678 nel giorno della ricorrenza di San Casto.

Il giorno appresso si doveva svolgere il palio.

Nel corso dei solenni festeggiamenti, un prete di Pignataro Maggiore, don Leonardo Borrello, ingaggiò un rabbioso litigio.

Ai fatti assistettero diverse persone:

  • Il padroncino Geronimo Borrello
  • il garzone Francesco Barricella
  • il patrigno di quest’ultimo, anche lui di nome Francesco Barricella
  • il prete nonché padrone del cavallo don Leonardo Borrello, zio del padroncino
  • un suo fratello; Pietro Borrello
  • le cognate del prete Candida Valente e Maria di Feola
  • la mamma di Maria Isabella Santagata
  • il cognato del prete Giovan Antonio de Tofano
  • un altro prete Vincenzo De Vita

Il motivo del litigio, provocato dal rissoso e violento sacerdote, fu questo:

il prete si rivolse a Geronimo, suo nipote carnale, affinché questi ordinasse a un proprio garzone “di far correre la sua giumenta al Palio“.

A questo punto però intervenne il patrigno del garzone che consigliò al figliastro di non partecipare perché poteva farsi male.

Il prete allora rivolse ingiurie e minacce all’uomo e spinse il nipote a dare una lezione al patrigno del garzone.

Inoltre, lo stesso prete “arranca” una mazza per colpire l’uomo.

Alla scena erano presenti il fratello del prete, due sue cognate, un cognato ed altri.

La continuazione della lite

Il diverbio poi continuò.

Il patrigno Francesco Barricella disse al figliastro suo omonimo:

non la correre figlio mio, perché ti puoi far male et sono guai miei“.

Don Leonardo rivolse al Barricella patrigno le seguenti ingiurie:

Guittone, Bardascione, Cornutone!

Il prete poi disse al nipote:

Cane, curre, ménali ‘na scoppiettata!”. (Cane, corri, tiragli una schioppettata!)

Isabella Santagata riferì le parole che Candida Valente rivolse a suo cognato don Leonardo:

tutti li pensieri ti vuoi piglià tu!

E lui replicò:

Che pensieri, è necessario che è imbriaco chi te l’ha detto“.

Il patrigno del garzone, sentendosi oltraggiato, si avvicinò a don Leonardo e questo gli disse:

Vavatende, che vuoi, è necessario che tu sia imbriaco!

Francesco Barricella immediatamente eccepì:

Se sono imbriaco, non sono imbriacato alla … tua: aggio bevuto? …

Questa risposta non è chiara.

Verosimilmente voleva dire: “se sono ubriaco, non mi sono ubriacato a casa tua con una bevuta offerta”.

Don Leonardo ribatté con altre ingiurie.

E poi disse al nipote:

Forfante, che fai che non li scassi la scoppetta in capo?

Infine, rivolse al proprio familiare l’invito ad andarsene.

Nonostante la violenta disputa, alla fine ad avere la meglio nella contesa fu il prete.

Lunedì 23 maggio 1678, il garzone dovette partecipare al palio, acconsentendo alla volontà e al desiderio del proprietario del cavallo.

Durata e svolgimento del processo

Dove si svolgeva la corsa?

Don Leonardo Borrello dichiarò “alle cerque della strada di Santo Lazzaro”.

Riferì Isabella Santagata:

Arrivati che fùimo alla via che volta a Pignataro, ce fermàimo a vedere la carrera del Palio che si correva a cavallo et passando detti corritori a cavallo etc“.

Sempre lunedì 23 maggio 1678, Francesco Barricella presentò una querela alla Curia Vescovile di Calvi.

Il giorno seguente, i testimoni indicati dal querelante ricevettero il mandato di comparizione.

Ma nei giorni successivi non si presentò nessuno.

Giovedì 26 fu convocato don Leonardo.

Venerdì 27, davanti al vicario a Partignano, deposero il fratello del sacerdote, la Santagata e il De Tofano.

Don Leonardo e suo fratello firmarono i documenti.

Invece Isabella Santagata, Giovan Antonio di Tofano e il querelante Francesco Barricella apposero un segno di croce.

Dalla deposizione di Pietro Borrello emerse altresì che don Leonardo, con riferimento a Francesco figliastro, dichiarò:

Chisso sta a garzone, ha d’obedire il padrone“.

Al che il padrino gli disse:

Certo stai ubriaco!“.

Il prete gli rispose con altre offese:

Te voglio far vedere se cani e porci rispondono!“.

Insomma, il povero Barricella, secondo la mentalità “padronale” dell’epoca, non aveva il diritto di controbattere.

La scandalosa sentenza

Ma per quali motivo il patrigno non voleva che il giovane corresse il palio?

Inizialmente aveva espresso la preoccupazione che il figliastro potesse farsi male.

Poi alla domanda del Borrello rispose: “Così piace a me“.

Con tale affermazione, il Barricella volle affermare la propria autorità e quindi ribellarsi alla “legge del padrone“.

Successivamente, l’autorità competente volle sentire anche le ragioni del querelato.

Infine, sempre il 27 maggio 1678, si giunse alla conclusione.

Il giudice del Tribunale ecclesiastico pose fine al processo decretando che don Leonardo “non dev’essere più molestato“.

Il procedimento si risolse in quattro giorni, a differenza dei tempi biblici attuali.

Chiaramente la decisione fu scandalosa ma soprattutto sconcertante.

Tutti sapevano che il sacerdote era irascibile, volgare, irrispettoso e rabbioso.

Come detto in precedenza, la testimone Santagata riportò le parole rivolte da Candida Valente a suo cognato parroco:

Tutti li pensieri ti vuoi piglià tu!

La donna, saggia e avveduta, rimprovera il prete manifestando anche un po’ di fastidio per il suo comportamento.

Si vede che conosceva bene il suo carattere presuntuoso, dal linguaggio violento e ingiurioso.

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