I coltivatori caleni durante il periodo fascista
L’Opera Nazionale Combattenti (ONC) era un ente assistenziale fondato durante la prima guerra mondiale.
L’organismo, costituito all’indomani della sconfitta di Caporetto, nacque inizialmente con il motto “terra ai contadini“.
Al termine del conflitto diventò “terra ai reduci“.
L’ente ottenne l’autorizzazione ad operare il 16 gennaio 1919. dopo violente assegnazioni abusive di terreni avvenute nel centro-sud.
L’ONC si proponeva compiti organizzativi e formativi verso i reduci, e varie iniziative riguardanti:
- le bonifiche agrarie
- l’assistenza finanziaria
- l’opera di reinserimento dei reduci nel mondo del lavoro
Inoltre, erogava mutui e assicurazioni a condizioni vantaggiose agli ex-combattenti della grande guerra.
Nel 1919 l’ONC fu suddivisa in tre sezioni:
- la parte “sociale” proseguiva l’attività assistenziale
- quella “finanziaria” garantiva l’accesso al credito degli ex combattenti
- la sezione “agraria” assumeva l’importante funzione di coordinare l’attività di esproprio di terre e la loro colonizzazione
L’istituto sotto il regime fascista passò attraversò due riforme del suo statuto, nel 1923 e nel settembre 1926.
Ciò consentì un processo di cambiamento dell’Opera in ente economico con compiti di trasformazione fondiaria e d’incremento della piccola e media proprietà.
Le riforme diedero nuovo impulso alle attività di propaganda del partito fascista, orientandole verso lo sviluppo dell’agricoltura a scapito di quello finanziario e sociale.
Nel secondo dopoguerra, l’ONC beneficiò della gestione di vasti comprensori agricoli grazie alla riforma agraria del 1950.
L’ente fu soppresso nel 1977.
Gli ex combattenti caleni
Nel 1930 tutti gli agricoltori caleni ex combattenti furono invitati, a mezzo della locale sezione, ad acquistare una quota di terreno di circa due ettari, situata nel Demanio di Calvi Risorta e di proprietà dell’Opera Nazionale.
Allettati dalle promesse del signor Romano, Presidente del Sindacato fascista dell’Agricoltura di Napoli, molti aderirono a tale invito.
Ma all’atto della stipula del relativo contratto di compravendita, molti coltivatori non furono in grado di firmarlo.
Questo perché i pressi fissati per le singole quote di terreno erano esagerati, variando da un minimo di Lire 7.000 ad un massimo di Lire 24.000.
Le somme richieste erano superiori a quelli del mercato locale, tenendo presente anche:
- la rilevante distanza di tali appezzamenti dal centro abitato
- la mancanza assoluta di viabilità
- la zona malarica sulla quale si estendevano i terreni
Solo poche persone decisero di apporre le firme, invogliati dalle continue ed incessanti promesse dei dirigenti fascisti, i quali prospettarono loro l’acquisto conveniente sotto ogni punto di vista, sia perché l’Opera si assumeva l’obbligo di eseguire a proprie spese il risanamento di tutta la zona con costruzione di strade, fossi di scolo ed altro, sia perché per la durata di 10 anni gli acquirenti erano esentati dal peso fondiario.
Inoltre, l’attività lavorativa costituiva un’occupazione adatta a lenire la miseria in cui versavano le loro famiglie a causa della guerra.
Ma non tennero d’occhio le condizioni e gli obblighi ai quali si sottoponevano.
La disperazione dei coltivatori
Ben presto si accorsero dell’errore in cui erano incorsi.
Infatti, per pagare la prima rata anticipata all’Opera e per far fronte ai lavori urgenti e necessari di sistemazione del terreno per la semina, furono costretti a contrarre debiti con un interesse del 10% su base annua.
La speranza e la prospettiva era di rimborsare il debito stesso con i frutti della terra.
Ma gli agricoltori rimasero delusi in quanto il raccolto fu appena sufficiente per il pagamento della seconda rata all’Opera.
Così, alcuni di loro preferirono abbandonare le quote.
I restanti, sottoponendosi ad ulteriori sacrifici, riuscirono per il secondo anno a mantenere ed arricchire la fertilità del suolo.
Però, proprio mentre tutto lasciava presagire un abbondante raccolto, nel maggio del 1932 sopravvenne la ruggine.
I coltivatori caleni non riuscirono a raccogliere il quantitativo di grano sperato.
Così, dallo scoraggiamento passarono alla disperazione!
La domanda ricorrente fu: “Come far fronte agli impegni assunti?”
I malcapitati si rivolsero all’ONC affinché, tenendo presente il cattivo raccolto e le direttive emanate da Benito Mussolini in quell’anno ai sindacati fascisti degli agricoltori per siffatto malanno, gli accordasse una dilazione nel pagamento della terza rata.
Ma l’Opera non volle saperne nulla.
Anzi, ad aggravare maggiormente le loro pietose condizioni finanziarie sopraggiunse l’avviso di pagamento del tributo fondiario dall’Esattore Imposte Locali.
La tassa variava da centocinquanta a duecento lire per ettaro.
L’intervento del Principe Ereditario
Esasperati, invocarono l’intervento di Sua Altezza Reale il Principe Ereditario anche perché l’esattore diede inizio alle espropriazioni forzate.
Con il suo appoggio, ottennero la sospensione dei pignoramenti.
L’Opera, invece, accordò la ripartizione della rata scaduta in tante quote bimestrali con l’interesse del 3%.
Il pagamento doveva avvenire entro il mese di giugno 1933.
Il raccolto dell’anno colonico 1932 – 1933 fu molto scarso a causa di una nuova malattia, il verme.
Quindi nessuno poté versare le quote dell’anno precedente e successivo perché il prezzo del grano fu poco remunerativo.
Altre minacce sopravvennero da parte dell’Opera Nazionale Combattenti.
L’associazione decise di apportare delle modifiche radicali al contratto di compravendita, trasformando i proprietari in semplici fittavoli.
Inoltre, si riservava in ogni istante la facoltà di togliere le porzioni di terreno che i coltivatori con tanto sudore e sacrifici avevano migliorato.
A queste condizioni diversi quotisti preferirono abbandonare il terreno.
I fondi caddero nelle mani di facoltosi proprietari e parte in quelle di artigiani.
Costoro preferirono lasciarli incolti con la speranza di poter raccogliere semplicemente il fieno, essendo essi per giunta insolvibili.
Altri coltivatori, invece, decisero di non sottoscrivere il nuovo contratto, avendo la coscienza di aver migliorato la loro quota.
Inoltre, chiesero che il pagamento scaduto delle due rate 1932 – 1933 fosse ripartito in 10 anni.
La missiva inviata a Benito Mussolini
L’opera non volle accettare tale proposta.
Poi tramite l’esattore delle II.LL. di Capua, inviò la notifica dell’intimazione di pagamento delle due rate scadute coi relativi interessi di mora dell’8%.
Alle somme richieste aggiunse per ogni anno 100 lire di contributo straordinario e 60 lire per il Consorzio di Carditello.
I coltivatori fecero presente che il Consorzio era conosciuto di nome e non di fatto.
Questo perché ogni volta che qualcuno richiedeva semi e concimi chimici mediante pagamenti dilazionati non avevano mai soddisfatto le richieste, né avevano dato un valido aiuto per migliorare il rendimento dei terreni.
Stanchi e affranti, i caleni scrissero direttamente a Benito Mussolini.
“A S. E. Mussolini Capo del Governo Roma
Noi qui sottoscritti agricoltori ex combattenti, domiciliati nel Comune di Calvi Risorta, ci rivolgiamo a S. E. affinché, conoscendo ciò che esponiamo, intervenga con la consueta prontezza e giustizia, a stroncare lo sconcio al quale tendono dar vita i rappresentanti provinciali dell’Opera Nazionale per i Combattenti.“
…..
Per le ragioni sopraesposte “invochiamo il benevolo intervento di B. E. per evitare pignoramenti a nostro danno che ci getterebbero nella più squallida miseria.
Siamo disposti a corrispondere all’Opera l’importo delle due rate maturate in 10 annualità.
E se ciò non possiamo ottenere preferiamo lasciare la quota in possesso, rinunziando non solo alle due annualità già versate ma anche a tutti i sacrifici fatti per porre il terreno nelle migliori condizioni produttivi.
Sperando nel benevolo interessamento di N. E. con devozione illimitata, inviamo saluti fascisti.”
Le angherie perpetrate dal segretario del fascio
Durante il periodo fascista, gli agricoltori caleni subirono altre angherie e soprusi.
Il 1° agosto 1940, era in programma a Calvi Risorta la visita del Segretario Federale.
Alle due di notte, il segretario politico dei fasci di Calvi Risorta collocò i camerati di guardia alle strade comunali.
L’obiettivo era di impedire ai contadini di andare al lavoro e di conseguenza radunare più gente possibile per accogliere l’ospite.
Poi obbligatoriamente sfilarono in riga e quando arrivò il federale gli fecero credere che tutti i volontari lo stavano aspettando.
I contadini andarono su tutte le furie e uno di loro prese carta e penna e scrisse al Prefetto di Napoli.
“Noi abbiamo figli che dobbiamo sfamare e vogliamo lavoro, ci hanno strappato intanto un tozzo di pane per sembrare belli coi superiori.
Domandate ai carabinieri che la popolazione di notte era già sotto le finestre del Podestà per reclamare contro questo pazzo che è segretario politico e che farà ricordare Calvi nell’avvenire per qualche brutta cosa.
Non sono fascista e scrivo a voi.
Guardate ai ripari.
Calvi Risorta, 2 agosto 1940”
La missiva era firmata da un certo Filippo Patrizio.
Malgrado le rimostranze, resta il fatto che le stesse autorità non adottarono alcun provvedimento nei confronti del gerarca fascista caleno.
Ma fortunatamente per gli agricoltori e la popolazione intera, dopo un po’ il camerata uscì di scena.
Il 14 luglio 1941, la federazione dei fasci di combattimento di Napoli comunicò alla Regia Prefettura di Napoli che “il fascista Marrocco Giovanni era stato nominato Segretario del Fascio di Combattimento di Calvi Risorta in sostituzione del fascista Cotecchia Nicola richiamato alle armi.”
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