La Questura di Cales
Fin dai primi tempi dell’impero romano, con l’aumento delle province e l’introduzione del consolato, si rese necessario l’istituzione di nuovi funzionari.
I quattro alti ufficiali, la cui carica costituiva il primo gradino del cursus honorum, erano chiamati questori italici o classici.
Cales, per la sua eccellente posizione geografica, per essere l’avamposto della penetrazione romana in Campania nonché per la sua innovatività istituzionale (prima colonia di diritto latino), rivestì una fondamentale importanza strategica nei nuovi assetti geopolitici dell’antichità classica ospitando la sede di uno dei magistrati.
Publio Cornelio Tacito, negli Annales, narrava che nell’estate del 24 d. C. solo il caso annientò i germi, già sparsi in Italia, di una guerra servile.
Ad organizzare la rivolta fu Tito Curtisio, un tempo soldato di una coorte pretoria, il quale, dapprima con riunioni clandestine con gruppi isolati a Brindisi e nelle città confinanti, poi con l’invio di manifesti di incitamento alla rivolta in località più remote, chiamava a libertà gli schiavi impiegati nei campi e nei pascoli di quel vasto territorio, particolarmente esasperati nella sofferenza fisica.
Ma, quasi per grazia degli dèi, approdarono tre biremi, impiegate a protezione dei trasporti marittimi su quel tratto di mare.
Sempre in loco si trovava il questore Curzio Lupo, cui, secondo un antico costume, era toccata la giurisdizione sulle vie di comunicazione.
et erat isdem regionibus Cutius Lupus quaestor, cui provincia vetere ex more calles evenerant (1)
Costui, fatti intervenire quei reparti di marina, stroncò sul nascere la sommossa popolare.
E il tribuno Staio, inviato in tutta fretta da Cesare con ingenti forze, trascinò il capo e gli organizzatori più audaci a Roma, già allarmata per la massa degli schiavi in vistosa crescita, mentre la plebe nata libera diminuiva di giorno in giorno.
Le asserzioni di Marco Tullio Cicerone
Sulla base di questo controverso passo di Tacito, per sostenere la tesi dell’istituzione a Cales di una Questura tra quelle disposte dal senato romano a partire dalla metà del III secolo a. C., si presuppone per chiarezza di pensiero ed onestà intellettuale l’accettazione della difficile correzione della parola calles in Cales.
Per di più, l’insigne Marco Tullio Cicerone nell’aprile del 59 a. C., in una delle epistole indirizzate all’amico Tito Pomponio Attico scritta dal suo podere nelle vicinanze di Anzio, accennava ad un Caecilius Quaestor.
subito cum mihi dixisset Caecilius quaestor puerum se Romam mittere (2)
Ma l’ipotesi che il questore Cecilio avesse la residenza a Cales sembrerebbe assai incerta in assenza di un riferimento esplicito al nome della cittadina campana.
Lo stesso arpinate, nell’ambito del processo a Publio Sestio, pronunziò nel 56 a. C. l’orazione “In Vatinium” denunciando le malefatte e i raggiri del questore Publio Vatinio, ex tribuno della plebe di parte cesariana:
“Ti ricordi che Sestio divenne questore a pieni voti, mentre tu arrivasti a stento ultimo degli eletti e non per favore del popolo – nessuno ti voleva – ma del console?
Durante quella magistratura ti toccò di sovrintendere al controllo della “provincia aquaria” suscitando grande scalpore; era l’anno del mio consolato:
rammenti che ti inviai a Pozzuoli perché impedissi l’esportazione di oro e argento dalla città?”
Quaero abs te teneasne memoria, cum P. Sestius quaestor sit cunctis suffragiis factus, tunc te vix, invitis omnibus, non populi beneficio sed consulis, extremum adhaesisse? In eo magistratu cum tibi magna clamore aquaria provincia sorte obtigisset, missusne sis a me consule Puteolos, ut inde aurum exportari argentumque prohiberes? (3)
Le quattro Questure
Da queste parole, sembra ancora più improbabile ravvisare nella “provincia aquaria” una competenza questoria riconducibile all’antica Cales.
Tuttavia, la stragrande maggioranza degli storici moderni ritiene che nella ex capitale dell’Ausonia vi fosse la sede di una delle quattro questure d’Italia.
Tertiam Calibus, ad Vulturnum flumen qui Quaestor tractui Campano Sidicinoque praefuit Brundisium ufque.
Theodor Mommsen asserì che “la creazione dei quattro provveditori della flotta (Quaestores classisi) fu decretata l’anno 487 = 267 a. C.
Il primo di questi magistrati ebbe la sua dimora a Ostia, la porta marittima della città di Roma;
il secondo fu destinato a vigilare da Cales, allora capitale della Campania Romana, sui porti della Campania e della Magna Grecia;
il terzo da Ariminum (Rimini) sui porti transappennini.
Non ci giunse notizia dove il quarto provveditore esercitasse il suo ufficio” (4).
Probabilmente risiedeva a Lilybaeum (Capo Lilibeo, estrema punta occidentale della Sicilia nel territorio di Marsala).
Inizialmente, il Questore di Cales era incaricato di sorvegliare le coste e proteggere l’accesso ai principali porti commerciali.
In seguito, divenne un vero e proprio magistrato con specifiche attribuzioni: l’esazione delle entrate, la revisione dei conti di colui che prendeva in appalto la riscossione delle imposte, l’incameramento delle ammende, i procedimenti contro i debitori e la giurisdizione in materia penale, in particolare l’inquisizione per i crimini contro la persona.
La giurisdizione di Cales
La Questura di Cales, dall’ampia competenza territoriale, si estendeva dal fiume Garigliano sino al Golfo di Taranto e dal mar Tirreno al mar Adriatico.
Esercitava la giurisdizione sulle città di Aesernia, Bovianum, Saepinum e Venafrum in Molise, Brundisium e Luceria in Puglia, Eraclea e Venusia in Basilicata, Acerrae, Allifae, Atellae, Baiae, Beneventum, Caiatia, Cumae, Herculanum, Neapolis, Paestum, Puteolos, Saticula, Sinuessa e Suessa in Campania, comprese Capua Vetere (seconda città dell’Impero e per questo chiamata “altera Roma”), Pompeii e tante altre comunità minori.
Cales, dimora del quaestor, rimase senza ombra di dubbio il centro nevralgico dell’amministrazione capitolina nel sud Italia anche in virtù del fatto che tra il 216 e il 215 a. C. divenne il quartier generale delle forze armate romane operanti in Campania.
Bibliografia:
1) Publio Cornelio Tacito, Annales, Libro IV, 27
2) Marco Tullio Cicerone, Epistulae – ad Atticum, 2, 9, I
3) Marco Tullio Cicerone, Orationes – In Vatinium, 5, 11-12
4) Theodor Mommsen, Storia di Roma, Vol I, pp. 417 – 418
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