L’epidemia di colera del 1837

L’epidemia di colera del 1837

Il colera è un’infezione dell’intestino tenue provocata da alcuni ceppi del batterio gram-negativo dalla caratteristica forma a “virgola“.

Tipicamente, il contagio avviene per ingestione di cibo o acqua contaminati, anche se ciò non rappresenta l’unico caso; in particolare, i mezzi con i quali la malattia giunge all’uomo sono riassunti, in ambito anglosassone, con le cosiddette 7 F (Faeces, Fingers, Foods, Fluids, Flies, Fomites e Fornication).

Partito nel 1817 dall´India dove era endemico, il mortifero colera orientale arrivò nel 1829 in Russia e nel 1830 a Mosca.

Negli anni successivi, si portò fino in Francia attraversando l´Europa centrale.

Nell’estate 1835 dalla Francia penetrò nel Regno di Sardegna, e cominciò così il suo funereo cammino nella nostra Penisola, invadendo dapprima il Lombardo-Veneto e via via le regioni centrali e il Regno delle Due Sicilie.

La città di Calvi, ai primi dell’800, come riportato nella “Istorica descrizione del Regno di Napoli” dell’incisore Giuseppe Maria Alfano del 1798 e 1823, contava una popolazione residente di circa 1813 individui sparsi nelle quattro frazioni:

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Calvi città, che in latino Cales e Calenum fu città degli Ausoni … fa di popolazione 60

Petrulo casale Reg. in piano, d’aria mediocre, Dioc. Di Calvi, un miglio distante da detta Città.
Produce grani, granidindia, legumi, frutti, vini, olj, e canapi. Fa di pop. 886

Visciano casale Reg. In una quasi pianura, d’aria mediocre, Dioc. Di Calvi, un miglio distante da detta Città, e 24 da Napoli.
E’ unito al casale Martini.
Produce grani, granidindia, legumi, frutti, vini, olj, e canapi. Fa di pop. 528

Zoni casale Reg. in piano, d’aria mediocre, Dioc. Di Calvi, un miglio distante da detta Città, e circa 25 da Napoli.
Produce grani, granidindia, legumi, vini, e canapi. Fa di pop. 339

La mortalità

Per quanto concerne la mortalità, nel quinquennio 1832 – 1836 si registrò nella cittadina calena una costante diminuzione dei decessi passando dai 68 del 1833 ai 46 del 1836.

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Anche nel primo semestre del 1837, il trend della mortalità evidenziò un andamento progressivamente decrescente con 19 decessi registrati da gennaio a giugno ed una stima di 40 morti per l’intero anno.

In realtà, dalla seconda metà del 1837 la mortalità subì un’impennata con 9 decessi a luglio, 32 ad agosto, 55 a settembre per poi decrescere progressivamente a ottobre e novembre.

Il tutto scaturì dalla repentina diffusione del batterio del colera.

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Pur in assenza di dati sulla causa di morte di ognuno di loro, è ragionevole ritenere che, dei 126 decessi registrati in quei cinque mesi, 110 siano imputabili al terribile morbo e 16 a cause naturali.

L’epidemia di colera del 1837, favorita dalla calura estiva, fu particolarmente virulenta per una serie di ragioni:

  • la difficoltà dell’approvvigionamento idrico
  • l’assenza dell’igiene privata
  • l’estrema povertà in cui versava la popolazione
  • l’arretratezza medica
  • le gravissime deficienze dell’organizzazione sanitaria.

La città di Calvi non era dotata di un acquedotto comunale.

E’ bene ricordare che per avere l’acqua nelle case bisognava attingerla con carrucole dai pozzi.

L’unica fonte pubblica di approvvigionamento idrico era quella di Visciano in prossimità della chiesa.

Al contrario, il borgo di Zuni, sviluppatosi nell’ottocento attorno alla piazza, era caratterizzato dall’assenza della falda acquifera.

La popolazione “aveva costruito cisterne profonde vestite di fabbrica ove conservava lacqua piovana” oppure si recava a Visciano per attingerla.

Petrulo disponeva di pozzi privati con accumuli d’acqua in quantità tali da soddisfare il proprio fabbisogno.

Le scarse condizioni igieniche

In aggiunta, l’intero paese era sprovvisto di un sistema fognario.

Per smaltire i liquami domestici, le famiglie utilizzavano i pozzi neri o addirittura le pubbliche strade.

Ed è innegabile affermare che era veramente scarsa la propensione alla cura dell’igiene personale e degli ambienti di vita.

Inoltre, l’alimentazione era insufficiente, precaria e non equilibrata per mantenere buone condizioni di salute perché nell’800 ci trovavamo di fronte ad un territorio a prevalente coltura granaria, con coltivazione di legumi, frutti, canapa, olive ed uve, insomma ad una economia esclusivamente agricola.

Solo a Petrulo vi era una fornace dove si fabbricavano i mattoni.

Infine, gli interventi medici si dimostrarono inefficaci se non addirittura controproducenti;
si passò dalla prescrizione dell’oppio e dell’ossido di zinco al sottoporre i malati al salasso con le sanguisughe.

Per quanto concerne i decessi, tenendo presente il numero dei residenti nelle diverse borgate, appare evidente che la frazione di Calvi ad essere maggiormente colpita fu Visciano con 61 morti, seguita da Zuni con 24.

Petrulo, invece, pur essendo il villaggio più popoloso di Calvi, subì 39 morti in virtù della sua posizione “riparata”.

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Nello specifico, l’unico evento di rilievo a Petrulo fu la morte dei fratelli, Simone di anni tre, Dea di anni cinque e Vincenzo Izzo, figli di Andrea e Maria Zona, che abitavano nella Giudea.

L’esplosione dell’epidemia

L’epidemia esplose in tutta la sua gravità nella prima decade di settembre.

In dieci giorni si registrarono venticinque vittime a Visciano.

In questo luogo, i fratelli Domitilla, di anni sei, e Antonio Grillo, di mesi cinque, figli di Decio e Maria Cipro, morirono a pochi giorni di distanza.

Per di più, il 5 settembre passò a miglior vita una ragazza di ventisei anni, Ippolita diElia.

La sfortuna volle che, dopo solo quattro giorni, anche il papà di quest’ultima, Bernardo, di anni sessanta, morisse.

A Zuni, ad agosto, nell’arco di cinque giorni, morirono i fratelli Pietro, di anni tre, e Nicola Florestano Ferra, di mesi dieci, figli di Vincenzo e Angela Caparco.

Il 6 ottobre, sempre a Zuni, la comunità rimase colpita da un evento straziante:
la prematura dipartita a poche ore di distanza delle sorelle Maria Giuseppa e Maria Rosa Caparco, rispettivamente di anni otto e cinque, figlie di Giovanni e Rosalina Sibillo.

Inoltre, il 1° ottobre morì Fascia Marianna, una bambina di quattro anni, figlia di Lorenzo e Angela Teresa Capuano, quest’ultima all’ottavo mese di gravidanza.

Per un tragico destino, la neonata Emilia Rosa Fascia, venuta alla luce a novembre, morì l’8 dicembre verosimilmente per cause non imputabili al colera.

Infine, a novembre, persero la vita i fratelli Nunzia e Francesco di Lettera, rispettivamente di anni settantacinque e ottantaquattro.

Il terribile morbo colpì anche alcuni componenti della nobiltà calena.

Nello stesso giorno, e precisamente martedì 12 settembre, morirono D. Francesco Zona, figlio del Barone di Zuni D. Girolamo e di D. Marta Fusco, e D. Domenico Sanniti, figlio del Conte di Visciano D. Pasquale e di D. Ippolita Zona, aventi entrambi quaranta anni.

Il numero dei decessi

L’epidemia di colera del 1837, analizzando la distribuzione per età delle vittime, provocò a Calvi un numero di decessi molto elevato nei bambini perché erano più soggetti a contrarre l’infezione.

Nel complesso (124 su 126 perché nel registro dei morti non fu annotata l’età di Sacco Rosa di Visciano e Izzo Vincenzo di Petrulo), la fascia di età da 0 a 6 anni superò il 48%.

Valori molto bassi presentò la classe tra gli 7 e i 20 anni, fermandosi al 6,45%.

Le fasce invece comprese tra i 21 e i 40, tra i 41 e 60 e tra i 61 e gli 80 anni subirono lievi scostamenti attestandosi rispettivamente al 13,71%, all’11,29% e al 16,94%.

L’incidenza sugli ultraottantenni fu irrisoria superando di poco il 3%.

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Secondo i dati ufficiali, i decessi furono 126, di cui 67 femmine e 59 uomini.

Naturalmente, sarebbe interessante sapere quale fu la resistenza al morbo nei due sessi, ma non è stato possibile calcolarlo perché non si conosce il numero di coloro che si ammalarono.
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Il sindaco Francesco Mandara fu Marco di Petrulo applicò le disposizioni sanitarie impartite dalle autorità centrali e predispose controlli anche sui liquami putridi.

Il vecchio cimitero di Via Cales

Inoltre, avendo la legge vietato di seppellire i morti di colera nelle chiese cittadine e nelle cappelle gentilizie, si aprì il vecchio cimitero di Via Cales (situato dopo l’ultima casa a sinistra scendendo verso il bivio di Rocchetta), nel quale i cadaveri erano sepolti in tombe a terra o nelle fosse scavate nei terrazzamenti.

Quest’ultime, fino a diversi anni fa, erano ben visibili per la presenza, ad intervalli regolari, di rientranze semicircolari nei muri a secco di pietre calcaree.

Fortunatamente, dopo la prima decade di settembre, l’epidemia cominciò a declinare finché, alla fine del 1837, scomparve del tutto.

Il bilancio fu pesante: 110 morti e un numero imprecisato di contagiati.

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