Le distribuzioni del Capitolo
Il Capitolo della Cattedrale di Calvi era un ente ecclesiastico fornito di personalità giuridica.
L’istituzione di rado lucrava distribuzioni quotidiane e “adventizie“.
Solitamente partecipava a quelle aventi una massa grossa e comune, e idonee all’incremento del culto divino.
Le distribuzioni quotidiane da assegnare costituivano la terza parte di tutte le entrate del Capitolo.
I proventi si dividevano fra gli interessati solamente dopo che il Procuratore pro tempore, sotto la pena di venticinque once, avesse detratto la puntatura dalla terza parte.
Inoltre, per le funzioni straordinarie, si adottavano gli stessi usi dei Capitoli vicini, “senza estorcere i devoti per non retrarli dalle opere pie.”
Alla fine di giugno, il Procuratore esibiva ai Razionali il registro con l’elenco degli “Affitti, Stagli, Cenzi, ed altri emolumenti”.
La finalità è che “consideratis considerandis“ si faccia la divisione con ripartire le partite solvende e non solvende pro rata Canonicali dei grani buoni d’Aria astricata e degli inferiori d’aria a terreno, non essendo di ragione, che tutti servano ugualmente, e poi le porzioni siano dissuguali.”
Alla fine dell’anno, il Procuratore presentava il libro dei conti al Razionale e a due Canonici incaricati dal Capitolo.
I preposti vagliavano attentamente le somme e i beni mancanti per accrescere le rendite da distribuire agli interessati.
Il Puntatore del Capitolo
Il Puntatore, colui che annotava le assenze dei Canonici, si eleggeva ogni anno nel periodo stabilito.
Appena nominato, si presentava al Vescovo o suo Vicario Generale per prestare giuramento.
Giudiziosamente, infliggeva le multe non solo agli assenti ma anche a tutti coloro che:
- entravano nel gruppo dei sacerdoti senza l’abito corale;
- rimanevano in chiesa o in sacrestia “fuor dal Coro tempore Divinorum Officiorum“;
- chiacchieravano, dormivano, leggevano le scritture o recitavano l’ufficio divino sottovoce maliziosamente;
- non si presentavano “uniformi nella recita e cantilena“;
- uscivano dalle funzioni religiose privi della licenza del Prefetto e senza giusta causa.
Inoltre, comminava una pena pecuniaria a quelli che entravano:
- “in Coro nel Mattutino terminato l’inno e nelle altre ore recitato il primo salmo“;
- nella messa dopo l’ultimo Kyrie.
Infine, sanzionava chi usciva dal Coro prima del “Fidelium animae“.
In caso di mancata presenza alla Predica e all’Esposizione del Venerabile, si applicava il doppio della sanzione.
Se l’assenza del Puntatore si fosse protratta per più di dieci giorni, sarebbe stato sostituito da un altro noto al Capitolo.
Ugualmente, nell’eventualità che un canonico fosse impedito, avrebbero comunicato il nome del supplente di quel giorno al Puntatore.
Quest’ultimo non accettava le più comuni scuse per giustificare un’assenza come il mal di testa o il mal di pancia.
La malattia era certificata da un altro canonico o da una fede giurata del medico.
Al contrario, la concessione all’ammalato di un altro periodo di convalescenza spettava al Capitolo “con amor fraterno e caritativo“.
Nel caso, poi, che l’infermo avesse ripreso a celebrar messa, gli altri esprimevano gratitudine al Signore nella Cattedrale di Calvi.
L’applicazione delle multe
Per rendere certa l’applicazione delle multe nelle mancanze, la puntatura si otteneva “dalla terza parte del Corista“.
Considerando che la terza parte dei frutti totalizzava trenta ducati, le sanzioni pecuniarie si applicavano nel seguente modo:
- gli assenti nel giorno del Santo Natale soggiacevano alla puntatura di cinque carlini;
- nelle festività di prima classe, Epifania, S. Giuseppe, SS. Annunziata, Triduo della Settimana Santa, Triduo di Pasqua di Resurrezione, Ascensione, San Casto, Triduo di Pentecoste, Corpo di Cristo, San Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, Assunta, San Gennaro, Tutti i Santi e Commemorazione dei Morti, a tre carlini;
- in tutte le feste di precetto a dodici grana “per annum“;
- nei giorni feriali a otto grana, da dividersi solamente “inter praesentes“.
Ogni primo giorno del mese di luglio, nove canonici dovevano intervenire in coro.
Essendo giorno feriale, la partecipazione assicurava ai sacerdoti una ricompensa di otto grana.
Le somme spettanti agli assenti erano ripartite equamente fra i presenti.
Invece, quelle ottenute nei giorni festivi di prima classe e nelle altre festività si dividevano in proporzione per annum.
Per le Prebende Penitenziaria e Teologale si teneva un conto separato e distinto dalle puntature canonicali.
Le somme ricavate non erano distribuite ai canonici, ma impiegate secondo quanto disposto dalla Bolla “Pastoralis Officii nostri“.
Per ogni assenza s’infliggeva una multa di sei carlini e mezzo al Teologo e sedici grana al Penitenziero.
Le somme erano sottratte dai frutti delle loro rispettive Prebende.
I funerali
I Vescovi di Calvi auspicarono la stipula di una convenzione tra il Capitolo e il Clero caleno.
L’accordo avrebbe obbligato ogni sacerdote a celebrare una messa per il fratello defunto, “come anticamente si era introdotto per consuetudine“.
In più, avuta la notizia della morte del canonico, consentiva di cantare “il primo notturno con le Laudi dei Defunti, con Messa e Libera“.
Il giorno seguente la commemorazione dei defunti “si cantava da tutti i Coristi solennemente l’officio“.
A seguire, nella nostra Cattedrale si commemoravano tutti i vescovi deceduti della diocesi.
In ultimo, nell’ottava, si celebrava il funerale “pro omnibus Confratribus Canonicis defunctis“.
Il Puntatore dava notizia di coloro che non erano intervenuti e, analogamente, degli assenti al funerale.
Il Capitolo, chiamato a celebrare un rito funebre, fissava il costo in base alla distanza del luogo dove si svolgeva la cerimonia e per non meno di venticinque ducati.
La somma si divideva nel modo seguente:
- un ducato per ciascun canonico;
- quindici carlini al Primicerio;
- cinque carlini per ogni Ebdomadario;
- due carlini al Crocifero;
- la restante parte al Seminario.
Oltre al pagamento della tariffa, gli eredi del defunto somministravano le cere.
Nel distretto dell’antica Città di Calvi vi era l’antica usanza di far “l’offizio del Notturno con le Laudi, Messa e Libera senza alcun pagamento” per la morte di cittadini o forestieri poveri.
Le stesse funzioni dovevano farsi per i non indigenti al costo fissato dal Capitolo.
Qualora gli eredi del defunto avessero contattato i sacerdoti per le esequie, si intenderebbero chiamati gli ebdomadari, quelli del seminario e gli altri del clero diocesano.
Ognuno concordava separatamente il quibus con gli eredi.
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