L’antifascista Leopoldo Sanniti
Leopoldo Sanniti nacque a Calvi Risorta il 9 ottobre 1871 da Vincenzo e Filomena dei conti SannitiZona.
La sua era una famiglia di conti e baroni originari di Baia e Latina, dove aveva estesi possedimenti feudali.
Successivamente, divenne proprietaria di mezza Calvi.
Il giovane prestò il servizio militare nella Regia Marina per la durata di anni tre in qualità di marinaio semplice.
Successivamente, sposò la compaesana Elisabetta Capuano, dalla quale ebbe tre figli:
- Ester (1894) insegnante elementare e residente ad Almenno S. Bartolomeo (Bergamo) coniugata
- Vincenzo (1898), impiegato presso la Sirti. residente a Potenza, coniugato
- Electra (1903), coniugata con figli, residente a Milano Viale Ranzoni n. 2.
Dopo la morte della moglie, Leopoldo Sanniti si trasferì dal 1921 a Milano in Via Soncino n. 3 presso la Signora Teresa Portaluppi, vedova Motta, rappresentante della ditta Giovanni Balzaretti situata in Via Gesù n. 14 sempre a Milano.
Trovandosi in zona, il caleno andava spesso a trovare la figlia Ester.
Ma dopo diversi anni, avvenne un fatto increscioso a molti chilometri di distanza.
Nel luglio del 1937, la Questura di Potenza venne a conoscenza che la sera del giorno 11 dello stesso mese, in un pubblico esercizio di questa città, gestito da Emanuele Fanciulli, un individuo, mentre consumava del vino, si era rivolto ad altri avventori, che si trovavano nell’esercizio stesso parlando degli avvenimenti di Spagna.
Lo sconosciuto, al riguardo, aveva dichiarato:
“In Italia si va male.
La guerra in Spagna non si vince.
L’Italia presto dovrà chiedere l’elemosina alla Francia“.
Tali affermazioni suscitarono le proteste degli avventori.
Così il forestiero si allontanò dall’attività commerciale.
Le informative delle Questure di Napoli e Milano
Avuta notizia dell’accaduto, i poliziotti della locale Questura avviarono l’indagine e procedettero all’identificazione dello sconosciuto.
Fu individuato nella persona di Leopoldo Sanniti fu Vincenzo nato a Calvi Risorta (Napoli) il 9 ottobre 1871.
Il caleno si trovava da due mesi a Potenza per far visita a suo figlio, impiegato nella società dei telefoni.
Gli avventori, che avevano sporto denuncia, erano domiciliati nel capoluogo lucano:
- Giuseppe Manzi fu Salvatore
- Nicola Vittiglio fu Antonio
- Angelo Jannucci fu Giuseppe
- Giacomo D’Avito fu Saverio
Tutti, unanimemente, dichiararono a verbale che “l’individuo aveva fatto nelle circostanze di tempo e di luogo le affermazioni soprascritte.”
Il Sanniti – che fu immediatamente fermato – cercò in ogni modo di negare gli addebiti che gli furono mossi.
Ma la sua responsabilità, trovando riscontro nelle dichiarazioni rese dalle persone indicate, era evidente.
Nella successiva perquisizione personale e domiciliare, eseguita da un funzionario, furono rinvenute carte e lettere riguardanti l’attività svolta come piazzista dal Sanniti.
La Questura di Napoli riferì che l’indagato aveva una pessima condotta morale.
Dichiarò però che nulla era emerso dalla sua condotta politica poiché mancava da molti anni da Calvi Risorta.
La Questura di Milano comunicò che il Sanniti, colà domiciliato dal 1921, non ebbe mai fissa dimora nella città lombarda.
Inoltre, ribadì che politicamente non aveva precedenti sfavorevoli.
Aggiunse, però, che risultava pregiudicato per furti, truffa, oltraggio al pudore e usurpazione di titoli.
Il confino di polizia
Il questore potentino, alla luce dei fatti, propose di comminare al Sanniti il confino di polizia per la durata di tre anni.
Il 17 agosto 1937, la Commissione preposta in base alla legge di P.S. inflisse al caleno due anni di confino.
L’organo preposto decise di far scontare la misura di prevenzione a Navelli (L’Aquila) ove venne straordinariamente tradotto.
Ma l’obbligo di dimorare in un luogo lontano da quello abituale durò solo pochi mesi.
Infatti, Leopoldo Sanniti fu prosciolto condizionalmente con atto di clemenza del Duce in occasione del Natale 1937.
Il 1° gennaio 1938 fu rimpatriato.
Dopo pochi giorni si allontanò da Potenza dove, peraltro, non fece mai più ritorno, dirigendosi nel suo comune di origine.
Infatti, si rifugiò temporaneamente a casa del fratello Casto in via Napoli a Visciano.
Il Ministero dell’Interno chiese informazioni sulla sua condotta tenuta posteriormente al suo proscioglimento dal confine.
Ma le sue disavventure non finirono qui.
Alle 10:00 del 9 settembre 1941, Leopoldo Sanniti si trovava nella Divisione Politica della Regia Questura di Napoli.
Il maresciallo di P.S. Pasquale Caliri lo interrogò per il reato di usurpazione di titoli.
Dichiarò di essere a Napoli dal 28 agosto 1941 proveniente dalla stazione di Molfetta, dove aveva vidimato il biglietto balneare Milano-Molfetta.
Nella città partenopea non esercitava alcuna attività commerciale e tutti i giorni si recava anche per essere a volte sovvenzionato dal fratello Casto, generale dell’Esercito, console generale della Milizia e direttore di alcune cooperative con studio in via Medina n. 5 e in Via Duomo n. 61.
Leopoldo Sanniti conosceva da diverso tempo Amedeo Alfano, trasferitosi da Salerno a Grosseto per lavorare presso la Regia Procura.
La violenza sulla nipote
I due si incontrarono per pura combinazione il pomeriggio del 6 settembre a Napoli.
Dopo di aver trascorso la serata insieme, presero alloggio nell’Albergo Orientale situato in Piazza Garibaldi 26.
Avendo smarrita la carta d’identità, Alfano lo presentò al proprietario dell’hotel quale persona a lui conosciuta.
Ma Leopoldo Sanniti negò vigorosamente che si fosse qualificato come colonnello del Regio Esercito.
Lui ritenne che questo titolo sarebbe stato dato dall’Alfano all’albergatore forse unicamente per facilitargli l’alloggio nella struttura.
Infine, aggiunse di non essere iscritto al Partito Nazionale Fascista in virtù della sua avanzata età.
Fortunatamente, fu solamente diffidato a tenere un comportamento più regolare a scanso di provvedimenti di polizia.
Il 22 luglio 1942, nell’albergo Centrale di Roma Leopoldo Sanniti “compiva atti di libidine violenti sulla persona della nipote Sanniti Elisa di anni 20, da Cassino, che aveva accompagnata in questa città, dovendo essa prendere bagni di mare a seguito di prescrizione medica.”
Il fatto fu denunciato dalla stessa nipote.
Secondo la ragazza, lo zio si ingelosì perché un sottufficiale dell’aviazione l’aveva telefonata per fissare un appuntamento.
Elisa Sanniti riportò contusioni giudicate guaribili in dieci giorni.
Il responsabile fu tratto in arresto per poi essere segnalato alla Scuola Superiore di Polizia.
Ma il Tribunale di Roma, con sentenza del 20/11/1942, lo assolse “per mancanza di querela e dalle lesioni per amnistia.”
Inoltre, pregarono di assicurare il rintraccio e la disposta vigilanza nei confronti del Sanniti.
Dopo aver dato filo da torcere a diverse questure d’Italia, non sappiamo dove e quando morì.
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