L’ufficio del Procuratore
Il Capitolo della Cattedrale di Calvi, come ampiamente documentato (http://www.lorenzoizzo.it/il-capitolo-della-cattedrale-di-calvi-1-parte/), era un collegio di religiosi che condividevano con il Vescovo l’amministrazione della diocesi calena.
Oltre ai ruoli di Primicerio, Teologo, Penitenziero, Sacrista Maggiore, Archivista e Maestro di Cerimonie, vi era l’ufficio di Procuratore.
La carica durava un anno e si esercitava per turnum affinché ogni componente fosse a conoscenza del patrimonio posseduto dall’istituzione.
Il Procuratore teneva un registro d’introito ed esito annuale delle rendite.
In esso, annotava all’inizio tutti i beni redditizi del Capitolo e le scritture dei fitti, censi, o note di essi.
All’uopo, aveva l’onere di rimediare le copie autentiche dei contratti stipulati durante il suo mandato.
Con il passar del tempo, non fu più possibile dare in affitto i terreni o altri beni senza l’atto notarile.
In aggiunta, concedeva in locazione le suddette proprietà di quattro in quattro anni, “appoggiata dall’inveterata consuetudine della nostra Diocesi.”
Terminato l’anno, presentava tutto l’introito e l’esito al razionale deputato dal Capitolo con altri due religiosi alla revisione dei conti.
L’assegnazione degli incarichi del collegio di presbiteri non era procrastinabile, salvo l’approvazione del Vescovo.
Il servizio dei Canonici del Capitolo
I sacerdoti risiedevano in loco al fine di svolgere “il quotidiano servizio, presenza ed interessenza nella chiesa ed altre ecclesiastiche funzioni“.
Durante l’anno, i canonici con il primicerio e gli ebdomadari “in coro” recitavano l’Ufficio Divino e cantavano la messa conventuale “con l’applicazione Pro Populo“.
Erano tenuti, ancora, a cantarne due nei giorni prescritti dal Rituale o in altre occasioni, come la festa di San Casto abbinata alla ricorrenza dell’Ascensione.
Detenevano il privilegio di recitare le ore di vespro e compieta dopo la nona (metà pomeriggio) per le abitazioni lontane.
Ciò non gli consentiva facilmente di ritornare dopo pranzo.
I canonici erano obbligati ad adempiere e soddisfare i legati perpetui e quelli “pro una vice tantum“.
Inoltre, ricevuta la notizia di un legato perpetuo, presentavano in Curia il testamento, l’atto di donazione o altro documento pubblico.
In tal modo, si assicuravano il decreto di accettazione per poi descriverlo in tabella, registrarlo nel campione di tutti i pii legati della Diocesi, annotarlo nei libri delle messe e nell’inventario del Capitolo.
I divini Uffici
I religiosi narravano il martirologio in ogni festa di precetto ed in una con il Te Deum.
Nei giorni della Nascita del Signore, triduo della Settimana Santa, primo di Pasqua di Resurrezione, primo di Pentecoste, S. Casto, Assunta di Nostra Signora e commemorazione dei defunti recitavano il mattutino con le laudi.
Viceversa, nell’Epifania, secondo e terzo di Pasqua di Resurrezione, secondo e terzo di Pentecoste, Ascensione, Corpo di Cristo, nascita di S. Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, e Ognissanti cantavano le laudi.
Il 22 dicembre, invece, data fissata convenzionalmente per la consacrazione del Vescovo pro tempore, celebravano la messa, oltre la conventuale.
Infine, “nelle ferie di Quaresima recitare il primo Notturno con le Laudi dei Morti; nel lunedì dopo il Benedicamus Domino delle Laudi del Signore; nella feria quarta recitare li Graduali ante Matutinum; e nella feria festa li Penitenziali dopo le Laudi del Signore.”
Durante le funzioni in chiesa, dal primo all’ultimo canonico per turnum, si prestavano reciproca assistenza indipendentemente dall’anzianità o dall’appartenenza alla maggioranza.
Nel caso che uno dei prelati fosse stato impossibilitato a servire la chiesa, avrebbe provveduto a recuperare l’assenza nella festività successiva, dalla quale era esentato solamente il Primicerio, come prima ed unica Dignità, “ab immemorabili“.
L’organizzazione del collegio religioso
Il Sacrista Maggiore osservava la tabella oraria e si serviva del famoso orologio situato nella cappella del Seminario.
Trascorsa “la mezz’ora arenaria o sia ambollina“, il rintocco della campana segnalava l’inizio della funzione.
All’interno, il tintinnio della campanella preannunciava l’entrata dei prelati come si praticava in tutte le cattedrali.
I canonici, in perfetto ordine, uscivano processionalmente dalla sacrestia a due a due secondo quanto prescritto dal cerimoniale e dichiarato più volte dalla Sacra Congregazione dei Riti.
Nella stagione invernale, l’ente ecclesiastico si rimetteva alla prudenza e discrezione dei reverendi, non potendo gli stessi trovarsi in tempo e nelle ore stabilite per iniziare la celebrazione liturgica a causa della neve o pioggia tra le strade dissestate e percorsi disagevoli.
Almeno una volta al mese, tutto il Capitolo si riuniva per discutere della propria situazione economica.
Al suo interno, si assumevano le decisioni più appropriate per incrementare le rendite mensali.
Per di più, la collegialità consentiva ad ogni componente di essere informato su tutto quello che accadeva.
In caso di grave infermità di un canonico, il Capitolo avrebbe inviato due colleghi “a consolarlo e soccorrerlo sul vitto“.
A tale scopo, il denaro si reperiva dalla massa comune posseduta dal procuratore.
I medesimi avevano anche l’obbligo di assisterlo spiritualmente.
E, nel caso di imminente pericolo di vita dell’infermo, non lo avrebbero lasciato fino all’ultimo istante della sua vita terrena.
I ministri del culto cattolico partecipavano agli esercizi spirituali che si svolgevano ogni anno e interessavano tutto il clero della Diocesi nella sala e nella cappella del Seminario caleno.
Coloro che risultavano legittimamente impediti, dovevano recarsi a Napoli per esercitarsi nella casa dei PP. della Missione.
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