Il Collegio degli Ebdomadari
Il Capitolo della Cattedrale di Calvi, come ampiamente illustrato in precedenza, era un collegio di canonici che amministrava l’omonima diocesi.
Nel corso del tempo, al suddetto organismo di ecclesiastici, si affiancarono gli ebdomadari.
Alle nuove figure ecclesiastiche si applicava pedissequamente quanto disposto e prescritto per i canonici.
Il collegio degli ebdomadari trae la sua origine nell’anno 1700.
Mons. De Silva assegnò una dote sufficiente alla corporazione, riservando ai Vescovi pro tempore i diritti di Patronato.
Gli atti furono stipulati rispettivamente il 1° giugno 1700 e il 9 marzo 1701 dai notai Giuseppe De Vita e Muzio Di Lonardo, entrambi di Capua.
Nell’aprile 1726, Mons. Filippo Positano istituì nella Cattedrale di Calvi il quinto ebdomadario con istrumento redatto dal notaio Francesco Barricelli di Pignataro “pro exequutione” di quanto disposto dal Vescovo De Silva nel suo il testamento del 1702.
Le autorità religiose, “Deo favente“, auspicarono di incrementarli fino ad otto unità “per maggior servizio del coro”.
Gli ebdomadari detenevano la Prebenda o sia Prestimonio separata dalla massa canonicale.
Il beneficio ecclesiastico ammontava a circa venti ducati all’anno come da Fondazione.
Le rendite, che crescevano con l’impiego del suddetto capitale, si distribuivano tra i membri del sodalizio.
Gli organi elettivi
Uno dei suddetti ebdomadari aveva il privilegio di esercitare la carica di Cancelliere della Curia Vescovile.
Ogni anno, poi, si eleggeva dai medesimi il Cellerario o Procuratore, i cui uffici dovevano esercitarsi per turnum.
Tuttavia, gli ebdomadari dal 1700 non avevano ancora la Platea, ovvero un registro di tutti i beni e rendite posseduti.
Solamente a distanza di 30 anni dalla loro costituzione, fu stilato il prezioso documento da “portar avanti a futura cautela“.
Ai prelati “si inculcava l’esatta disciplina del coro, come da lettera pastorale di Clemente XI del 16 marzo 1703.”
Inoltre, erano tenuti ad osservare quanto disposto nello strumento di fondazione dall’illustrissimo De Silva.
A coloro che non partecipavano alle funzioni corali si applicava la puntatura, ossia una multa.
Nei giorni festivi, in tutta la settimana santa, vigilia di Pentecoste e del santo Natale, e in tutte le processioni di rito soggiacevano ad una pena pecuniaria di cinque grana.
Negli altri giorni, due grana e mezzo.
In aggiunta, se fossero risultati assenti per sei mesi senza alcuna motivazione, incorrevano nella privazione di tutti i frutti spettanti.
I mancati compensi passavano “metà alla Sacristia di nostra Chiesa e l’altra metà a benefizio degli assistenti Edomadari.”
Il Puntatore
Il collegio degli ebdomadari eleggeva un altro Puntatore diverso da quello dei canonici.
In caso di assenza di uno dei due, l’altro svolgeva la funzione sia per i canonici che per gli ebdomadari.
Una volta al mese si riunivano “assieme con fare li notamenti giusti, esatti e puntuali.”
Gli aggiustamenti erano importanti affinché ognuno avesse a fine anno il consuntivo completo delle multe del proprio Collegio.
Gli Ebdomadari utilizzavano la Cotta come loro insegna, tanto in chiesa quanto nelle processioni.
Con i canonici e quelli del Seminario erano “un corpo sotto la istessa Croce“.
Nel corso del tempo, avrebbero potuto servirsi di quella d’argento lasciata da Monsignor De Silva.
Il canonico nelle vesti di ebdomadario doveva recitare dal Breviario e non a memoria:
- la prima Antifona
- il Capitolo
- il principio dell’Inno
- le Antifone ad Magnificat & Benedicius
- le eventuali Preci e Orazioni
All’ebdomadario assente in tale circostanza, subentrava il canonico successivo in ordine di sequenza.
Se invece fosse stato l’ultimo, sarebbe stato sostituito “da quello che nella parte superiore è il più prossimo, acciocché non vi sia scandalosa mancanza.”
Per quanto concerne la celebrazione dei funerali, gli eredi dei defunti avevano la possibilità di contattare diversi sacerdoti.
Dopo il Capitolo, s’intendevano interpellati tacitamente gli ebdomadari, i prelati del Seminario e infine gli altri del clero diocesano.
Ognuno contrattava separatamente con l’erede il proprio compenso.
Le Adunanze Canonicali
Gli ebdomadari e i canonici intervenivano in sacrestia alle adunanze canonicali ogni lunedì al termine delle funzioni religiose.
Il Teologo, fatta l’invocazione dello Spirito Paracleto, spiegava un capitolo del sinodo diocesano.
Successivamente, faceva “spianare la materia Morale corrente da uno dei congregati avvisato otto giorni prima.”
In terzo luogo, due religiosi estratti a sorte dovevano risolvere il caso morale studiato già la settimana precedente.
A seguire, si teneva “la Cerimonia del Maestro” dopo aver ascoltato la risoluzione di un caso legato ai sacri riti.
Infine, si eseguiva un quarto d’ora di ”orazione mentale” con la recita delle litanie lauretane.
A riguardo dei Sacramenti e dei Sacramentali, l’ebdomadario era tenuto a verificare spesso la loro presenza e consistenza.
Inoltre, dava notizia al Primicerio che tutto fosse ben disposto “in ogni tempo dell’anno e nella santa visita.”
Nel 1730, i cinque ebdomadari di Calvi erano:
- Giuseppe Borrelli
- Geronimo Capozzuto
- Fabiano de Silvestro
- Giuseppe Ferro
- Andrea Palmiero
Dunque, la chiesa calena esortò “li nostri dilettissimi figli Primicerio, Canonici e Edomadarj a scolpirli nel proprio cuore il dettame di queste leggi per pontualmente eseguirle, raccordando a ciascuno d’essi l’avvertimento memorabile di San Gregorio:
Non auditores legis justi sunt apud Deum, sed factores justificabuntur: Quisquis ergo vult audita intelligere, festinet ea, quae jam audire potuit opere implere.”
Non limitarsi solamente ad ascoltare la parola divina ma anche eseguirla.
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