Il clamoroso errore giudiziario
Mani pulite o Tangentopoli furono una serie di inchieste giudiziarie condotte in Italia nella prima metà degli anni novanta.
La magistratura rivelò un sistema corrotto e fraudolento che coinvolgeva in maniera collusa la politica e l’imprenditoria italiana.
Nell’accezione più ristretta, “Mani pulite” fa riferimento al fascicolo aperto alla Procura di Milano da Antonio Di Pietro nel 1991.
Invece, nell’accezione più ampia si intende le indagini condotte anche da altre procure italiane negli anni novanta.
L’impatto mediatico e il clima di sdegno dell’opinione pubblica provocarono il crollo della cosiddetta Prima Repubblica.
La Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano si sciolsero.
Nelle successive elezioni, furono sostituiti in Parlamento da partiti di nuova formazione o che prima erano sempre stati minoritari.
Il terremoto giudiziario provocò un radicale mutamento del sistema partitico e un ricambio di parte dei suoi esponenti nazionali.
Tra le nuove leve della classe dirigente italiana, si affacciò all’orizzonte Silvio Berlusconi.
Alle 17:30 del 26 gennaio del 1994, il Cavaliere doveva tenere un discorso per annunciare il suo ingresso in politica.
Ma in quella giornata, la comunità calena fu scossa da un clamoroso fatto di cronaca.
L’arresto di sei caleni
Alle 5:00 del mattino, i carabinieri di Calvi Risorta e del circondario prelevarono dalle loro abitazioni:
- Antonio Cipro (17/04/1940), sindaco in carica
- Remo Cipro (20/04/1957), assessore alle finanze e al commercio
- Mario Canzano (04/12/1913), consigliere d’opposizione
- Nicola Di Girolamo (27/03/1921), componente della commissione Commercio
- Mario Migliozzi (08/11/1951), componente della commissione Commercio
- Fausto Bonacci (03/04/1950), impiegato comunale
La notizia sconcertante e per certi versi incredibile ebbe notevole risalto sui mezzi d’informazione nazionali e locali dell’epoca.
I sei arrestati furono condotti al Comando Compagnia Carabinieri di Capua nella vecchia sede in un palazzo adiacente Villa Ortensia.
Dopo le pratiche di rito, gli stessi furono trasferiti al vecchio carcere di Santa Maria C.V.
Le gazzelle viaggiavano a sirene spiegate con tanto di tratto di strada in contromano e palette fuori dal finestrino.
Esauriti gli adempimenti dell’ufficio matricola, i caleni furono riaccompagnati nelle loro rispettive abitazioni.
Dunque, il 26 gennaio 1994, i fermati furono sottoposti alla misura cautelare domiciliare in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di S. Maria Capua Vetere Dott.ssa Elena Giordano con ordinanza del 18 gennaio 1994.
Si narra che la sera precedente l’emanazione del provvedimento, il GIP, mosso da dubbi, dispose gli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere.
I provvedimenti adottati
Le indagini furono svolte dai Carabinieri di Calvi Risorta diretti dal Brigadiere Lucio Campanile.
I CC, con l’informativa del 2 settembre 1993, sottoposero al Sostituto Procuratore della Repubblica di S. Maria C. V. Dott. Alessandro D’Alessio il quadro informativo e investigativo completo.
Nei confronti dei sei caleni, in base agli articoli 110 – 112 n.1-323 cpv cp, il pubblico ministero ravvisò gravi indizi di colpevolezza per il reato di abuso in atti d’ufficio in concorso e di concerto tra loro.
Secondo l’accusa, l’illecita condotta dei membri della Commissione Comunale del Commercio arrecò un ingiusto vantaggio patrimoniale alla “FUNERAL HOME SaS”, società formalmente amministrata da Alfredino Boccolato ma di fatto gestita dal padre Emilio.
In particolare, la menzionata commissione rilasciava il parere favorevole all’adozione dell’autorizzazione amministrativa in favore della “FUNERAL HOME SaS” senza che alla relativa domanda fosse allegata la planimetria dei locali ove doveva operare l’esercizio per il quale si chiedeva l’autorizzazione.
Inoltre, per rafforzare la tesi accusatoria, gli inquirenti aggiunsero un altro elemento.
Lo stesso organismo aveva sospeso il 20 settembre 1991 l’esame della pratica “Boccolato” per carenza di documentazione.
Ed infatti, la planimetria fu inserita negli atti solo il 17 settembre 1993 e, quindi, dopo le indagini dei Carabinieri.
Le ulteriori decisioni
Oltre alle restrizioni della libertà personale, la Prefettura di Caserta estromise i tre amministratori dalle cariche ricoperte in Comune.
I comportamenti del sindaco Antonio Cipro, dell’assessore Remo Cipro e del consigliere Mario Canzano e la loro posizione processuale penale apparivano in contrasto con l’esercizio delle funzioni pubbliche cui i medesimi erano preposti.
La permanenza, inoltre, dei tre nel civico consesso rischiava di compromettere la legalità e la trasparenza dell’azione amministrativa del Comune di Calvi Risorta con grave pericolo di turbativa dell’ordine pubblico.
Il Prefetto di Caserta, in presenza di gravi ed urgenti motivi, dispose la sospensione con decreto del 27 gennaio 1994.
Inoltre, formulò la proposta per l’adozione del provvedimento di rimozione dei tre amministratori.
Il 1° febbraio 1995, il Ministro dell’Interno Nicola Mancino sancì la loro decadenza dagli incarichi pubblici.
I decreti furono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 17 e 18 febbraio 1994.
La luce in fondo al tunnel
Ma nonostante i provvedimenti adottati, il quadro accusatorio appariva sempre più contrastante e a tinte fosche.
Così, sulla base degli interrogatori di garanzia e delle richieste difensive, gli arrestati furono rimessi in libertà dopo 10 giorni.
Il GIP Dott.ssa Elena Giordano firmò il provvedimento il 4 febbraio 1994.
Per la prima volta dall’inizio della vicenda, i sei caleni iniziarono a vedere la luce in fondo al tunnel.
La traversia giudiziaria si concluse definitivamente a loro favore alla fine dell’anno dopo quattro sedute dibattimentali.
Il GUP del Tribunale di S. Maria Dott. Federico De Gregorio all’udienza preliminare del 12 dicembre 1994 pronunciò la seguente sentenza:
Visto l’art. 425 c.p.p. dichiarò non luogo a procedere contro gli imputati “perché il fatto non sussiste”.
Tra le motivazioni che indussero il giudice a prendere quella decisione, si segnalavano:
- Nessuna norma di diritto positivo imponeva di produrre la planimetria contestualmente alla presentazione della domanda per il rilascio della licenza.
Il documento serviva unicamente ai soli fini fiscali per verificare l’ampiezza dei locali adibiti all’esercizio dell’attività commerciale. - In base alle note esplicative dell’Ufficio Annona e Mercati del Comune di Caserta, la planimetria non era necessaria.
L’unico elemento essenziale era l’indicatore della superficie di vendita e che il rilascio della licenza costituiva la regola, mentre il diniego solo un’eccezione. - il Sindaco di Calvi Risorta Antonio Caparco asserì che dall’8/11/1988 al 18/8/1994 erano state presentate 12 pratiche.
Tutte risultavano sprovviste di planimetria ma con parere favorevole della Commissione.
Per l’ingiusta detenzione subita, Antonio Cipro, Remo Cipro, Nicola Di Girolamo e Mario Migliozzi richiesero il risarcimento dei danni.
Gli altri due, Mario Canzano e Fausto Bonacci, decisero di soprassedere.
La riparazione dell’errore giudiziario
il 28 gennaio 1997, la 7° Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli riconobbe a ciascuno dei quattro caleni la somma di 500.000 lire a titolo di indennizzo.
Ma ognuno dei sei indagati aveva sborsato precedentemente 2.500.000 lire per difendersi da un’accusa inesistente.
Oltre al danno economico e di immagine, si aggiunse anche la beffa per due amministratori.
Antonio Cipro e Remo Cipro, eletti prima dei fatti rispettivamente Sindaco ed Assessore, avendo vinto la tornata elettorale amministrativa del 6 maggio 1990 tra le fila della Democrazia Cristiana, furono reintegrati nel Consiglio Comunale come semplici consiglieri.
Fatto sta che i carabinieri di Calvi Risorta e i magistrati di S. Maria C. V., con la loro sovraesposizione mediatica in quel particolare periodo storico, commisero un clamoroso errore giudiziario, infangando l’onorabilità di persone integerrime e moralmente irreprensibili.
Antonio Cipro, vice-sindaco dal 1980 al 1990 nelle consiliature dell’Avv. Luigi Izzo, era stato nominato Sindaco il 16 luglio 1990.
Remo Cipro, già consigliere dal 1985, aveva ottenuto la carica di Assessore alle Finanze e al Commercio.
Invece, Mario Canzano risultava eletto consigliere di opposizione nelle fila del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale.
Oltre ai tre amministratori, la Commissione Commercio era composta da:
- Nicola Di Girolamo, conosciuto con il nomignolo “Barbanera”, titolare del bar in Piazza Umberto I a Zuni;
- Mario Migliozzi, dipendente del Poste, in rappresentanza della mamma Teresa Capuano, proprietaria del bar al “Seminario”.
Invece, Fausto Bonacci, impiegato comunale, aveva istruito la pratica.
Nella vicenda, miglior fortuna toccò ad un altro personaggio caleno.
Bruno Zona, storico negoziante del “Seminario”, il giorno del rilascio dell’autorizzazione incriminata risultò assente in Commissione perché impegnato ad accudire i nipoti.
Non riusciva a capacitarsi dello scampato pericolo.
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