Il console Quinto Fufio Caleno – terza parte

Uno dei protagonisti della scena politica romana

Fufio Caleno fu tra i protagonisti della scena politica romana in quel periodo convulso dopo l’assassinio di Giulio Cesare.

Avversario politico di Marco Tullio Cicerone, in un primo momento, si schierò con i triumviri e poi si unì a Marco Antonio.

La lotta per il potere fu inizialmente una vera e propria guerra degli editti.

Alla fine di novembre del 44 a.C., Antonio intendeva dare seguito alla campagna diffamatoria degli editti contro Ottaviano, facendo dichiarare il giovane nemico pubblico.

La mozione era stata già preparata dal consolare Quinto Fufio Caleno.

Ottaviano rispose agli attacchi denigratori del suo avversario, sottraendogli le milizie con laute promesse.

La defezione della 4° legione indusse Antonio a rigettare il parere avanzato in precedenza e a partire per la Gallia.

Il primo gennaio del 43 a.C., la seduta del Senato fu presieduta dai nuovi consoli Irzio e Pansa.

Durante l’assemblea, intervenne per primo il senatore Q. Fufio Caleno, suocero di Pansa e fervido sostenitore di Antonio.

Il Caleno caldeggiò una politica di mediazione e di riconciliazione, proponendo di inviare un’ambasceria ad Antonio.

Seguì l’intervento di Cicerone, il quale, disapprovò energicamente la proposta di Caleno.

L’arpinate promosse invece un intervento più incisivo: la dichiarazione dello stato di guerra.

Il suggerimento di quest’ultimo sembrava aver convinto la maggior parte dei senatori.

Ma l’autorevole Lucio Pisone, in contrasto con la posizione ciceroniana, ritenne fortemente ingiusto il fatto che non si ascoltasse Antonio prima di muovergli guerra, avvicinandosi così al pensiero di Caleno.

Nella seduta del 4 gennaio, il Senato si dimostrò favorevole ad una politica di conciliazione, verso ad Antonio.

Il 5 gennaio 43, partì una delegazione composta da S. Sulpicio Rufo, Lucio Pisone e L. Marcio Filippo.

L’ambasceria tornò a Roma il 1° febbraio e il 2 s’intavolò una discussione riguardante gli ultimi avvenimenti. (1)

Ulteriori prese di posizione

Pochi giorni dopo, ebbe inizio un altro acceso dibattito in Senato.

Marco Bruto aveva inviato un dispaccio a Roma nel quale dichiarava che i territori della Macedonia, dell’Illiria e della Grecia erano in suo potere.

Il console Pansa, perciò, propose il conferimento a Bruto dell’imperium maius nelle province occupate.

Caleno, sostenitore di Antonio, si oppose ed avanzò l’ipotesi di affidare tali territori a Gaio Antonio, fratello di Marco Antonio.

Ma in risposta a tale mozione, Cicerone pronunciò un’orazione, pervasa da una tagliente ironia nei riguardi di Caleno, in cui elogiava l’operato di Bruto.

Inoltre, sottolineò ancora una volta che molti dei territori della repubblica romana erano “ostili agli Antonii”.

Pertanto, l’oratore suggerì al Senato di conferire a Bruto l’imperium e, in aggiunta, di lasciare Ortensio quale proconsole di Macedonia.

Tali proposte furono poi approvate dall’assemblea. (2)

Nella seconda metà di febbraio giunse a Roma la notizia che il proconsole d’Asia, Gaio Trebonio, era stato assassinato dall’ex console Publio Cornelio Dolabella.

Subito dopo, si riunì l’assemblea e su iniziativa di Caleno l’assise dichiarò Dolabella hostis publicus cioè nemico pubblico.

All’inizio di marzo, Fufio Caleno consigliò di affidare la guerra contro Dolabella ai nuovi consoli Pansa e Irzio.

Cicerone si adoperò invece per assegnare il compito a Gaio Cassio. (3)

L’arpinate scrisse a Cassio di agire anche senza aver avuto l’autorizzazione del Senato.

Sempre a marzo del 43, Q. Fufio Caleno, Cicerone, L. Calpurnio Pisone Cesonino, L. Giulio Cesare e P. Servilio Isaurico avrebbero dovuto essere i membri di un’ambasceria per M. Antonio.

La missione diplomatica, però, non fu inviata. (4)

L’invettiva anticiceroniana di Caleno

I primi 28 capitoli del libro XLVI della Storia Romana di Cassio Dione riportano una vicenda sconosciuta a tutti relativa al condottiero di Cales.

Nei primi mesi del ’43, in un lungo discorso durante una drammatica seduta al Senato, Fufio Caleno inveì violentemente e rudemente contro Cicerone.

Io adunque son di parere, che per sì fatte ragioni vi dobbiate guardar da un tal uomo;
imperocché è un’impostore, ed un furbo, che colle altrui disgrazie accresce le ricchezze, e le proprie sostanze, calunniando, strascinando in giudizio, e lacerando gl’innocenti all’usanza dei cani.

Né può già un simile oratore nutrirsi dell’amicizia e della scambievole nostra benevolenza, imperocché con qual’altro artificio pensate voi, che sia egli giunto alle ricchezze, ed a tanta eccellenza?
Di fatti il padre non gli lasciò né nobiltà né sostanze, facendo l’arte del lavatore, ed andando prezzolato a pestar le uve, ed a franger le olive, contentandosi di sostentar la sua vita con quel guadagno, e col lavare i panni, e saziandosi di giorno e di notte di vilissimi cibi.
” (12)

Fufio respinse energicamente gli attacchi ricevuti precedentemente da Cicerone e difese a spada tratta l’attività politica di Marco Antonio.

Inoltre, attaccò l’arpinate non solo come uomo, ma anche come oratore, scrittore, filosofo e accusatore.

ricordati come accusasti Verre; benché col farti addosso l’orina, impiegasti in detta accusa una cosa appartenente al mestiere di tuo padre.” (5)

Caleno fece queste affermazioni per rinfacciare a Cicerone che suo padre era stato un lavatore di panni.

Infatti, l’urina era utilizzata ed apprezzata come detersivo per lavare i vestiti.

Caleno asserì che “è più da lavatore che da medico il trattar di orina.

Il giorno successivo, Marco Tullio Cicerone dedicò tutto il tempo ad attaccare il suo avversario.

I rapporti con Marco Tullio Cicerone

I rapporti dell’illustre cittadino di Arpino con l’altrettanto di Cales furono alquanto controversi.

Cicerone polemizzò diverse volte con Fufio Caleno chiamandolo talora Q. Fusius talora Calenus.

Excogitare, que tua ratio sit, Calene, non possum. Antea deterrere te, ne popularis esses, non poteramus; exorare nunc, ut sis popularis, non possumus. Satis multa cum Fusio ac sine odio omnia, nihil sine dolore.” (6)

La precisazione che Fusio e Caleno erano la medesima persona avvenne a margine della decima Philippica:

sententia eius qui rogatus est ante me” (7)

Nonostante le aspre critiche rivolte al contendente, l’arpinate non risparmiò elogi e apprezzamenti nei confronti di Fufio.

Ecco che anche il fermo e valoroso mio amico, Quinto Fufio, mi ricorda quali sono i vantaggi della pace.

Hic mihi etiam Q. Fufius, vir fortis ac strenuus, amicus meus, pacis commoda commemorat.” (8)

In un altro scritto, arrivò a definirlo “onestissimo cavaliere romano”.

Per onestà intellettuale, mi preme sottolineare che, secondo un’opinione prevalente, quest’ultimo non è il nostro condottiero.

Et quidem vide, quam te amarit is, qui albus aterne fuerit ignoras. Fratris filium praeterit, Q. Fufi, honestissimi equitis Romani suique amicissimi, quem palam heredem semper factitarat” (9).

Non mancarono commenti sarcastici al suo pensiero.

Ma per piacere, Caleno, che cosa vuol dire? Chiami pace la servitù?

Sed quaeso, Calene, quid tu? Servitutem pacem vocas.” (10)

La morte di Quinto Fufio Caleno

Dopo la morte di Cesare, Marco Antonio, conducendo una colonia a Capua e a Casilinum, occupò una villa di Marco Terencio Varrone presumibilmente nella campagna di Cales, e la deturpò con vergognose orge e gozzoviglie. (11)

Quando Antonio ed Augusto, una volta riconciliati, compilarono le liste di proscrizione, Varrone fu inserito nell’elenco dei condannati a morte.

Ma Fufio Caleno gli salvò la vita, nascondendolo in casa propria. (12)

Non riuscì invece a mettere in salvo la biblioteca del letterato romano e nell’occasione alcuni dei suoi scritti andarono dispersi.

Successivamente, Quinto Fufio fu inviato in Francia.

Tra il 41 e il 40 a.C., durante le fasi iniziali della guerra di Perugia, Fulvia sollecitò Ventidio, Asinio, Ateio e Caleno a muovere dalla Gallia in aiuto di Lucio Antonio.

Ma, all’indomani della caduta della città umbra, lo sfaldamento delle forze antoniane lasciò campo libero a Cesare Ottaviano per impossessarsi definitivamente dell’Italia settentrionale.

L’ultimo ostacolo per l’egemonia nella penisola era tuttavia rappresentato dal comandante antoniano Fufio Caleno.

Costui, a capo di ben 11 unità legionarie nella Gallia Narbonese, durante i mesi del Bellum Perusinum stanziava ai piedi delle Alpi francesi per presidiare, congiuntamente a Ventidio Basso sul versante italiano, i valichi alpini, impedendo così qualunque tentativo dei generali nemici di entrare nella Gallia Cisalpina.

Il proconsole Quinto Fufìo Caleno morì nel giugno del 40 a. C. per malattia.

Fortunatamente per Ottaviano, il figlio di Caleno, che era molto giovane, consegnò le legioni al futuro imperatore senza combattere.

A tal proposito, ecco il racconto di Cassio Dione:

Ὁ δὲ δὴ Καῖσαρ τὴν Γαλατίαν πρότερον μὲν δι᾽ ἑτέρων, ὥσπερ εἴρηται, καταλαβεῖν ἐπεχείρησε, μὴ δυνηθεὶς δὲ διά τε τὸν Καλῆνον καὶ διὰ τοὺς ἄλλους τοὺς τὰ τοῦ Ἀντωνίου πράττοντας αὐτὸς τότε κατέσχε, τόν τε Καλῆνον τεθνηκότα νόσῳ εὑρὼν καὶ τὸ στράτευμα αὐτοῦ ἀκονιτὶ προσθέμενος ” (13)

Le monete in ricordo di Quinto Fufio

La serie monetale RRC 403 fu emessa nel 70/69 a. C. sotto la supervisione di due magistrati monetali, Caleno e Cordo.

In realtà, Cordius era Gaio Muzio Scevola, fratello minore di Publio e pontifex maximus dal 69 a. C.

Sul dritto, le teste aggiogate di Honos e Virtus, due personificazioni divine particolarmente legate a Gaio Mario, incarnarono un richiamo appena velato al grande avversario di Silla.

Invece, la raffigurazione di Italia e Roma presente sul rovescio alludeva, come noto, alla generosità romana:

l’Italia ritrovò la sua usuale abbondanza agricola (la cornucopia) grazie alla pace con Roma.

Secondo il numismatico francese Jean Foy-Vaillant, una seconda moneta argentea ricordava le gesta di Caleno.

La medaglia riportava su una faccia la parola LIBERTAS e il capo velato della Libertà.

Sull’altra vi erano Q CALENUS Cos e un altro nome con gli strumenti dei sacrifici:
il coltello, la scure e il pileo.

Questa moneta fu coniata dopo la pugna farsalica e l’uccisione di Pompeo.

La parola Libertas significava che, una volta estinti il Magno e i pompeiani, Cesare chiamò il popolo romano alla libertà.

Inoltre, una terza medaglia di rame e d’argento mostrava tre personaggi, tra i quali Q. Fufio Caleno, illustre capitano di Giulio Cesare.

Infine, su una quarta di rame battuta si notava la testa della Vittoria con la dicitura CALENO.

Dall’altra, vi era un toro con il volto umano e il medesimo nome in basso.

Pertanto, tali monete furono coniate e battute per onorare la memoria del più grande comandante e politico di Cales.

Bibliografia:

1) Marco Tullio Cicerone, Philippica IX
2) Marco Tullio Cicerone, Philippica X, par. 5
3) Marco Tullio Cicerone, Philippica XI, par. 15
4) Marco Tullio Cicerone, Philippica XII, par. 3, 4, 18
5) Dione Cassio Cocceiano, Storia Romana, Libro XLVI, Capitolo I
6) Marco Tullio Cicerone, Philippica IIX, par. 19
7) Marco Tullio Cicerone, Philippica X, par. 2
8) Marco Tullio Cicerone, Philippica VIII, par. 11
9) Marco Tullio Cicerone, Philippica II, par. 41
10) Marco Tullio Cicerone, Philippica VIII, par. 12
11) Marco Tullio Cicerone, Philippica IX, par. 104
12) Appiano Alessandrino, b. c. IV, 47
13) Dione Cassio Cocceiano, Storia Romana, Libro XLVIII, Capitolo II

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