Annibale Barca
Il secondo conflitto punico o guerra di Annibale fu combattuta tra Roma e Cartagine nel III secolo a. C., dal 218 al 202 a. C., per la maggior parte del tempo in Italia e successivamente si concluse in Africa con la vittoria romana.
Le cause dello scontro affondarono le proprie origini nella spiccata e manifesta volontà dei cartaginesi a recuperare l’influenza politica e la potenza militare perduta dopo la sconfitta subita nella prima guerra punica.
Alcuni studiosi l’hanno definita “la prima guerra mondiale dell’antichità” per il numero dei popoli coinvolti, per gli incalcolabili costi economici e umani, e soprattutto per le notevoli implicazioni sul piano storico, politico e sociale dell’intera area del Mediterraneo.
Dopo aver valicato le Alpi, Annibale Barca, uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi per la sua perfetta capacità di comando e la grande lungimiranza e abilità strategica in ogni situazione bellica, riportò nel territorio italico una lunga serie di vittorie.
Il comandante cartaginese proseguì la sua marcia fino alla Puglia per poi raggiungere la Campania.
Le pianure intorno Capua erano le migliori d’Italia per fertilità, bellezza, vicinanza al mare e presenza dei porti commerciali.
Al loro interno, inoltre, si trovavano le più belle e famose città della penisola, alcune sulla costa e altre come Cales e Teano nell’entroterra.
δὲ τὸ τῶν Νουκερίνων ἔθνος. τῆς δὲ μεσογαίου τὰ μὲν πρὸς τὰς ἄρκτους Καληνοὶ καὶ Τιανῖται κατοικοῦσι, τὰ δὲ πρὸς ἕω καὶ μεσημβρίαν (1)
Nel 217 a. C. Annibale, percorrendo il territorio degli Irpini nel Sannio, saccheggiò il territorio beneventano ed espugnò la città di Telesia.
Tra i numerosi alleati italici catturati da Annibale al Trasimeno e poi rilasciati, vi erano tre cavalieri campani, che egli aveva lusingato con doni e promesse affinché gli procurassero l’apprezzamento dei loro concittadini.
Annibale a Cales
In seguito ordinò personalmente alla guida di condurlo nel territorio di Cassino, essendo stato informato dai conoscitori dei luoghi che, se avesse occupato quel passo, avrebbe impedito ai romani di soccorrere gli alleati, sbarrandone la strada.
Ma, “non prestandosi bene la bocca cartaginese a pronunciare i nomi latini“, la guida intese Casilinum (l’odierna Capua) per Casinum; e Annibale per la strada opposta, attraverso i territori di Alife, Caiazzo e di Cales, discese nella pianura Stellatina.
Hannibal ex Hirpinis in Samnium transit, Beneventanum depopulatur agrum, Telesiam urbem capit … Inter multitudinem sociorum Italici generis, qui ad Trasumennum capti ab Hannibale dimissique fuerant, tres Campani equites erant, multis iam tum inlecti donis promissisque Hannibalis ad conciliandos popularium animos … Ipse imperat duci ut se in agrum Casinatem ducat, edoctus a peritis regionum, si eum saltum occupasset, exitum Romano ad opem ferendam sociis interclusurum; sed Punicum abhorrens ab Latinorum nominum [locutione os, Casilinum] pro Casino dux ut acciperet, fecit, aversusque ab suo itinere per Allifanum Caiatinumque et Calenum agrum in campum Stellatem descendit. (2)
Dunque, Annibale, attraverso la Valle del Calore, penetrò in Campania da oriente nella zona di Caiazzo seguendo un percorso tortuoso tra i monti Trebulani.
Come apprendiamo da Tito Livio, che a sua volta attinse da scrittori contemporanei agli avvenimenti, quali Quinto Fabio Pittore e Lucio Cincio Alimento, nonché partecipanti loro stessi alla guerra, le alture furono valicate sicuramente in prossimità del monte Callicula (l’attuale monte Maggiore).
“Calliculam montem et Casilinum occupat modicis praesidiis …” (3)
Polibio, invece, afferma che l’armata numida attraversò il passo dominato dal colle Eribiano, la stretta gola denominata “passo La Colla” sovrastata dal monte Castellone tra Pontelatone e Bellona.
Ἀννίβας μὲν οὖν τοιούτοις χρησάμενος λογισμοῖς καὶ διελθὼν ἐκ τῆς Σαυνίτιδος τὰ στενὰ κατὰ τὸν Ἐριβιανὸν καλούμενον λόφον κατεστρατοπέδευσε παρὰ τὸν Ἄθυρνον ποταμόν, ὃς σχεδὸν (4)
Le truppe numide nell’ager Falernus
Le truppe cartaginesi percorsero un antico tracciato stradale che collegava Alife, scendendo verso sud nella media valle del Volturno situata nel circondario di Caiazzo, alla città di Cales dopo una deviazione a nord – ovest.
Le stracce di questo percorso sono state rintracciante da una equipe di studiosi francesi nel 1987.
Superato l’agro di Cales e trovandosi nella pianura Stellatina, Annibale, dopo aver notato il luogo tutto intorno chiuso da monti e fiumi, chiamò la guida e gli chiese in quale zona fossero.
Avendogli risposto che quel giorno avrebbero sostato a Casilino, si scoprì finalmente l’errore in quanto Cassino si trovava in un’altra regione, assai lontana.
Fatta fustigare con le verghe e crocifissa la guida per provocare terrore negli altri, fortificò il campo e inviò Maarbale con i cavalli a compiere razzie nell’agro Falerno.
Ubi cum montibus fluminibusque clausam regionem circumspexisset, uocatum ducem percontatur ubi terrarum esset. cum is Casilini eo die mansurum eum dixisset, tum demum cognitus est error et Casinum longe inde alia regione esse; uirgisque caeso duce et ad reliquorum terrorem in crucem sublato, castris communitis Maharbalem cum equitibus in agrum Falernum praedatum dimisit. (5)
Appena accampati sul fiume Volturno, quando bruciava la più bella contrada dell’Italia e dalle ville qua e là si alzavano colonne di fumo, mentre Fabio Massimo guidava l’esercito per le alture del monte Massico, si riaccese la ribellione.
Infatti, i romani si erano acquietati per pochi giorni poiché, avendo marciato più celermente del solito, credevano che ci si affrettasse per salvare la Campania dal saccheggio.
Fabio Massimo, il temporeggiatore
Ma, quando giunsero alle ultime vette del Massico e videro da vicino il nemico che metteva a fuoco il territorio del Falerno e i coloni di Sinuessa, e non si parlava di combattere, Marco Minucio Rufo disse: “siamo forse venuti qui a godere, quasi fosse uno spettacolo, degli incendi e delle stragi degli alleati? … Rimaniamo ora immobili ad osservare Annibale scalare le mura di una colonia romana.”
… scandentem moenia Romanae coloniae Hannibalem laeti spectamus (6)
Nonostante le sollecitazioni di Minucio, Fabio Massimo, il temporeggiatore (“cunctator“), si mostrò irremovibile.
Com’è noto, la sua tattica militare era quella di stremare le forze nemiche con operazioni di “guerriglia” e di evitare lo scontro in campo aperto mantenendosi su terreni scoscesi, dove la cavalleria numidica non avrebbero potuto dare il meglio di sé.
Egli sapendo bene che Annibale sarebbe tornato indietro passando per i medesimi stretti passaggi da cui era entrato nel territorio del Falerno, occupò con piccoli distaccamenti il monte Callicula e la terra di Casilino, la quale, attraversata dal fiume Volturno, divideva l’ager Falernus da quello Campanus.
Di persona ricondusse l’esercito per le medesime alture ed incaricò Lucio Ostillo Mancino di scrutare innanzi le mosse di Annibale con 400 cavalieri federati.
Come vide i cartaginesi girovagare qua e là per i villaggi, ne uccise anche qualcuno nell’occasione; e subito il suo animo fu pervaso dal desiderio di combattere senza tener conto delle indicazioni ricevute da Fabio.
I numidi lo attirarono fin quasi sotto al loro accampamento, sfiancando i suoi uomini e cavalli.
Quindi Cartalone, comandante supremo della cavalleria, andandogli incontro a spron battuto, avendo già messo in fuga i romani ben prima di averli a tiro, rincorse i fuggitivi per quasi cinque miglia.
Le scaramucce tra i romani e i cartaginesi
Mancino, accortosi che il nemico non desisteva dall’inseguirlo, incitò i suoi e tornò a combattere con forze del tutto impari.
Pertanto, lui e i cavalieri scelti, circondati, furono uccisi; gli altri, fuggendo di nuovo a briglia sciolta, si ripararono prima a Cales, poi, percorrendo sentieri quasi impraticabili, presso il dittatore.
Inde Carthalo, penes quem summa equestris imperii erat, concitatis equis inuectus, cum priusquam ad coniectum teli ueniret auertisset hostes, quinque ferme milia continenti cursu secutus est fugientes. Mancinus postquam nec hostem desistere sequi nec spem uidit effugiendi esse, cohortatus suos in proelium rediit, omni parte uirium impar. Itaque ipse et delecti equitum circumuenti occiduntur; ceteri effuso rursus cursu Cales primum, inde prope inuiis callibus ad dictatorem perfugerunt. (7)
Intanto, quel giorno Minucio, proveniente dalle gole di Terracina, si era ricongiunto per caso con Fabio.
Riuniti gli eserciti, il dittatore e il maestro della cavalleria trasferirono l’accampamento sulla via attraverso la quale Annibale avrebbe condotto l’esercito.
I nemici erano a due miglia di distanza.
Il giorno seguente, i cartaginesi occuparono con le loro truppe il tratto di strada compreso tra i due accampamenti.
Pur essendosi i romani sistemati a ridosso della palizzata, in una posizione senz’altro più vantaggiosa, il generale punico avanzò con i suoi cavalieri e, per provocare il nemico, combatterono non di continuo, spingendosi in avanti per poi arretrare.
Il temporeggiatore rimase fermo al suo posto.
Lo scontro si rilevò privo di dinamismo più per volontà del dittatore che di Annibale.
Caddero 200 romani, 800 nemici.
I romani presidiavano la strada per Casilino e Capua, il Sannio e altri ricchi alleati rifornivano loro di viveri dalle retrovie.
Al contrario, i cartaginesi avrebbero trascorso l’inverno tra le rocce di Formia e le sabbie e le putride malsane paludi di Literno.
Il geniale stratagemma
Perciò, non potendo dunque allontanarsi dalla parte di Casilino e dovendo dirigersi verso i monti e superare la vetta del Callicula, affinché i romani non attaccassero il suo esercito chiuso tra le vallate, Annibale escogitò uno stratagemma impressionante alla vista per ingannare il nemico.
All’imbrunire decise di avvicinarsi furtivamente ai piedi dei monti.
Qui fece legare delle fascine di rami e sarmenti secchi raccolti dovunque nei campi alle corna dei buoi, che portava con sé in gran numero dopo averne fatto razzia nelle campagne insieme ad altri beni.
Radunati oltre duemila buoi, ordinò ad Asdrubale di spingere quella mandria verso i monti, fin sopra i valichi occupati dal nemico, dopo aver dato fuoco alle corna degli animali.
Fallacis consilii talis apparatus fuit. Faces undique ex agris collectae fascesque uirgarum atque aridi sarmenti praeligantur cornibus boum, quos domitos indomitosque multos inter ceteram agrestem praedam agebat. Ad duo milia ferme boum effecta, Hasdrubalique negotium datum ut nocte id armentum accensis cornibus ad montes ageret, maxime, si posset, super saltus ab hoste insessos. (8)
Al calar delle tenebre riprese la marcia in silenzio, spingendo i buoi un bel po’ davanti alle forze schierate in campo.
Quando giunse alle falde dei monti, inviò all’improvviso il segnale di dirigere le mandrie con le corna accese verso le montagne prospicienti.
La paura stessa causata dalla fiamma che scintillava dalle loro teste e il bruciore che già saliva alla base delle corna spingeva i buoi a correre avanti all’impazzata.
In virtù di questa agitazione, tutti i cespugli intorno si incendiarono e il movimento delle teste dei buoi, alimentando il fuoco, diede l’impressione visiva di uomini che correvano sparsi qua e là.
I romani, quando videro in cima alle montagne e sopra di sé simili fuochi, pensando di essere stati circondati, abbandonarono il presidio.
Annibale lascia il territorio di Cales
Quando in seguito apparve loro chiaro che si trattava di un inganno ideato dall’uomo, allora pensarono a un’imboscata e con ancor maggiore concitazione si diedero alla fuga.
Intanto, Annibale fatto passare tutto l’esercito attraverso il valico e sopraffatti alcuni nemici sullo stesso attraversamento, pose l’accampamento nel territorio di Alife.
Fabio si rese conto del trambusto; ma, sospettando un’imboscata ed essendo assolutamente contrario al combattimento notturno, trattenne i suoi entro i ripari.
Il mattino seguente, alle pendici del monte Callicula, il dittatore romano subì un’altra sconfitta ad opera di una schiera di ispanici.
Allontanatosi il nemico, Fabio riprese la marcia e, superato il valico, si fermò sopra Alife, in una posizione alta e protetta.
Cales, dunque, fu teatro senza ombra di dubbio del geniale stratagemma messo in atto dal condottiero cartaginese.
Tutti gli storici antichi, da Tito Livio a Polibio, da Silio Italico a Cornelio Nepote, concordano nel descrivere fatti e personaggi “della notte delle torce accese sulle corna dei buoi”.
Bibliografia:
1) Polibio, Storie, Libro III, 91
2) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 13
3) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 15
4) Polibio, Storie, Libro III, 92
5) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 13
6) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 14
7) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 15
8) Tito Livio, Ad Urbe Condita, XXII, 16
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