San Nicola, Vescovo di Myra
Nicola nacque a Patara, importante città della Licia, una provincia del sud dell’Asia Minore (l’attuale Turchia), intorno al 270 dopo Cristo.
Il giovane, imprigionato per la sua fede cristiana e perseguitato sotto Diocleziano, divenne in seguito Vescovo di Myra, ad un centinaio di chilometri dalla sua città natale ove probabilmente si era trasferito con i suoi genitori.
Nicola partecipò al concilio di Nicea del 325 unendo la sua voce alla condanna dell’eresia ariana.
Morì una ventina d’anni dopo.
Al santo dei miracoli si attribuirono, tra l’altro, l’elargizione di monete d’oro a un poveraccio che voleva costringere le tre figlie a prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al loro matrimonio.
Nel purgatorio (XX, 31-33), Dante accennava alla “larghezza / che fece Niccolò alle pulcelle, / per condurre ad onor lor giovinezza”.
Altre fonti agiografiche aggiunsero che lo stesso Vescovo di Myra avrebbe resuscitato cinque bambini rapiti e uccisi da un oste, soccorso dei marinai dal naufragio, condotto dei ladri a più miti consigli e debellato terribili carestie.
Fatto sta che le reliquie del santo furono trafugate e traslate a Bari nel 1087.
Nacque così San Nicola di Bari, la cui leggenda conquistò il mondo.
Il giorno della ricorrenza fissato convenzionalmente al 6 dicembre segnava nell’antichità l’inizio dell’inverno.
La venerazione di San Nicola a Calvi
Anche nella nostra Calvi la devozione a San Nicola si diffuse ampiamente; ne era una chiara testimonianza l’affresco raffigurante il santo risalente ai primi secoli dell’anno mille che impreziosiva la Grotta delle Fornelle.
La venerazione del vescovo turco a Calvi è sicuramente correlata alle vie di comunicazione (Via Latina, Via Appia e Via Traiana) percorse dai pellegrini che, risalendo la penisola da Bari, favorirono così la penetrazione del culto.
Per di più, nell’anno 1613, tra i possedimenti nella disponibilità del Capitolo (istituzione religiosa) della Curia di Calvi trovavamo due fondi denominati “S. Nicola a Visciano” e “S. Nicola a Volpiciello“.
In ultimo, ma più importante di tutti, la comunità calena di Zuni lo adottò come suo protettore intitolandogli la chiesa eretta tra il 1623 e il 1650 e la confraternita costituita il 22 novembre 1804.
Il popolo di Zuni, fin dai secoli scorsi, attribuì all’intercessione del santo dalla folta barba, dal bastone pastorale e dalla mitra numerosi miracoli, prodigi e segni, tanto da alimentare ancor di più la fede di numerosi parrocchiani.
L’inizio dei prodigi
Secondo la tradizione popolare, il primo fu quello di aver messo fine all’epidemia di colera del 1837.
Infatti, questa terribile malattia fu debellata completamente con la preghiera a San Nicola nei primi giorni di dicembre del 1837 all’avvicinarsi della sua festa.
L’antico inno a lui dedicato ricordava per qualche verso il provvidenziale miracolo.
All’inizio degli anni ’20, una sbalorditiva vicenda riguardò il recupero dei suoi oggetti preziosi.
Un individuo di Zuni, emigrato per ben due volte negli Stati Uniti d’America, fu rispedito in patria perché si era reso protagonista di alcuni furti.
Ritornato nel suo paese d’origine, una sera entrò di nascosto in chiesa e portò via tutti gli oggetti preziosi donati dai fedeli per voto o per devozione a San Nicola.
La mattina successiva, di buonora, l’ignaro parroco don Agostino Tudone, nell’aprire la chiesa, si accorse del furto sacrilego.
Sconvolto, avvertì il popolo dell’accaduto e ben presto diversi abitanti del borgo si radunarono davanti all’entrata del tempio.
Del fatto furono informati i carabinieri reali che all’epoca stazionavano nel palazzo baronale.
Senza indugio, due militari dell’arma si recarono in chiesa per avviare le prime indagini del caso.
Intanto, l’autore del misfatto, fischiettando come se nulla fosse accaduto, giunse sul posto, con le mani in tasca e con la faccia da strafottente, chiedendo cosa fosse successo.
Il recupero dei suoi gioielli
I presenti risposero che erano stati rubati i preziosi cimeli del santo.
Intanto, tutte le persone cominciarono ad avanzare supposizioni o congetture su come si fossero svolti i fatti.
Il farabutto, in presenza dei militi, esclamò: “secondo me, a puostu ‘nu père là, nàtu ccà e m’ so menat rent’.”
Invece di dire “si sono”, affermò “mi sono” buttato dentro.
I carabinieri, ascoltando queste parole, scoprirono che era stato lui.
Fu arrestato e condotto in caserma.
Messo alle strette, il malfattore condusse i militi ai piedi del Monte Curicuzzo attraversando Via Laurenza.
Ed è lì che rinvennero il malloppo nascosto all’interno del tronco di una pianta di olivo.
Secondo un’opinione comune, il santo, alterando la parola del ladruncolo, consentì alle forze dell’ordine di recuperare i suoi gioielli.
Per quanto riguarda le guarigioni da malattie e infermità, San Nicola ha contribuito nell’immaginario collettivo a migliorare le condizioni fisiche delle persone colpite da gravi patologie ed alleviare le conseguenze di drammatici incidenti.
Sull’argomento, i familiari degli interessati non hanno mai aperto bocca.
Ultimamente si narra che un ragazzo sarebbe scampato alla morte grazie alla sua intercessione.
Come se non bastasse, ai fini delle carestie e delle avversità meteorologiche, in passato i suoi prodigi erano auspicabili perché le mutevoli condizioni climatiche rischiavano di mettere in ginocchio un’intera comunità locale che viveva unicamente di agricoltura.
Le avversità meteorologiche
Tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta un clima secco con scarse precipitazioni arrecò gravi danni alle coltivazioni con i terreni induriti dalla siccità che resero difficoltose le tradizionali lavorazioni per la preparazione delle semine e la scarsa disponibilità d’acqua per l’irrigazione delle piante durante la fase di crescita primaverile, soprattutto del granturco e dei fagioli.
Verso la fine di maggio di quegli anni, persistendo una grave penuria d’acqua, la comunità zunese decise di far uscire in solenne processione San Nicola per invocare il “miracolo della pioggia”.
Il corteo, con in testa il parroco don Pietro Pettrone originario di Pignataro Maggiore, seguito dagli uomini che portavano in spalla il busto reliquiario del patrono fissato su due assi di legno e tutti i fedeli, si avviava in discesa per via Duca degli Abruzzi evitando in tal modo di transitare per il palazzo baronale.
Superato il Convento dei Padri Passionisti, la processione proseguiva per via Cales.
Arrivata in fondo alla strada, in prossimità dell’attuale palazzina di Raffaele Bovenzi e Carla De Biasio, la folta schiera di credenti, attraversando un varco, accedeva ad un’aia lastricata con un pozzo (simbolo dell’attività rurale di un tempo del borgo caleno) di proprietà della baronessa di Zuni utilizzata dai mezzi agricoli per la trebbiatura del frumento e dai contadini per la battitura e la sgranatura dei legumi.
La reliquia del santo
In quel luogo, con il simulacro collocato al centro dello spiazzo su due tavoli di legno, i fedeli tutt’intorno pregavano e cantavano salmi, inni, litanie o canti popolari religiosi per chiedere il prodigio della pioggia tanto desiderata.
Dopo giorni e giorni di sole splendente, immediatamente il cielo iniziò ad annuvolarsi fino a diventare in poco tempo coperto.
Sulla strada del ritorno, all’imbocco della salita in Via Duca degli Abruzzi, le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere.
Arrivati a Zuni, un violento acquazzone per intercessione di San Nicola si abbatté sul territorio caleno.
All’interno del tempio, tutti i componenti del corteo bagnati fradici salutarono il santo con un fragoroso applauso liberatorio.
Questi eventi, che si ripeterono nelle primavere assolate per un quinquennio tra il 1948 e il 1953, non si possono spiegare con la ragione.
Tuttavia, il miracolo più grande avvenne nel marzo del 2013, allorché il parroco di Zuni, Padre Amedeo De Francesco, recuperò da don Pasquale Pellegrino sacerdote di Torre Orsaia, situato alle estreme propaggini meridionali della Provincia di Salerno all’interno del Parco Nazionale del Cilento, una teca con un frammento osseo del corpo di San Nicola e di altri sei beati, autenticata sul retro mediante sigillo vescovile in ceralacca del ‘700.
Ciò consentirà alla devotissima comunità zunese di poter venerare il sacro ossame del “vincitore fra i popoli” durante le solenni festività di maggio e del 6 dicembre.
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