Greciano e il concilio di Rimini
Il III Vescovo di Calvi, per lo più sconosciuto a molti, fu Greciano.
Alla fine di maggio del 359 d. C., si aprì il conciliabolo o Concilium Ariminense in una chiesa alle porte di Rimini.
L’assemblea sinodale, voluta dall’imperatore della dinastia costantiniana Flavio Giulio Costanzo, meglio noto come Costanzo II, aveva l’obiettivo di condannare apertamente l’arianesimo ed altre eresie.
Al concilio parteciparono all’incirca quattrocento vescovi provenienti da tutte le parti dell’occidente latino.
Sant’Ilario di Poitiers, “dottore della chiesa”, sottolineò con particolare enfasi la presenza e le parole di Greciano, riprese poi dal Mansi.
Cum apud locum Ariminensem episcoporum synodus fuisset collecta, et tractatum fuisset de fide, et sedisset animo, quid agi deberet, Grecianus Episcopus a Calle dixit: (1)
Il 21 luglio 359, sotto il consolato di Eusebio e Ipazio, il vescovo caleno pronunciò di fronte all’assemblea un discorso memorabile in difesa del cristianesimo:
“Fratelli carissimi, per quanto fu possibile, il sinodo cattolico portò pazienza e la chiesa si mostrò commiserevole verso Ursacio, Valente, Germinio e Gaio, che cambiando ogniqualvolta ciò che avevano creduto, turbarono tutte le chiese, e ora cercano di insinuare il loro spirito eretico nelle coscienze cristiane.
Essi vogliono sovvertire gli atti del Concilio di Nicea, che fu convocato contro l’eresia ariana e contro le altre miscredenze.
Ci hanno portato per giunta un atto di fede, sottoscritto da loro, che noi non potevamo accogliere.
Già da tempo li abbiamo dichiarati eretici e ciò è provato da molti giorni.
Non li abbiamo ammessi alla nostra comunione, condannandoli con voce unanime, mentre erano presenti.
Ora di nuovo dichiarate il vostro pensiero nei loro riguardi e ciò sia sottoscritto personalmente da tutti”.
Accoglimento delle sue tesi
I vescovi presenti accolsero all’unanimità la proposta di Greciano, dichiarando:
Siamo d’accordo che i suddetti eretici siano condannati, affinché la Chiesa possa rimanere in pace per sempre con una fede indiscussa, che è la fede cattolica.
Quantum decuit, fratres carissimi, catholica synodus patientiam habuit et piam ecclesiam totiens exhibuit iuxta Ursacium et Ualentem, Germinium, Gaium, qui totiens mutando, quod crediderant, omnes ecclesias turbauerunt et nunc conantur haereticum animum suum inserere animis Christianis. Subuertere enim volunt tractatum habitum apud Niceam, qui positus est contra Arianam haeresim et ceteras. Attulerunt nobis praeterea conscriptam fidem a se, quam recipere nos non licebat. Iam quidem haeretici antehac nobis pronunciati sunt et multis diebus est comprobatum. Quos et ad nostram communionem non admisimus voce nostra damnantes eos praesentes. Nunc iterum quid vobis placet, iterum dicite, ut singulorum subscriptione firmetur.
Universi episcopi dixerunt: Placet, ut haeretici suprascripti damnentur, quo possit ecclesia fide inconcussa, quae uere catholica est, in pace perpetua permanere. (1)
Ritornando alla località di provenienza di Grecianus, Calle, rafforzativo di Cale, la questione merita dei chiarimenti e approfondimenti adeguati.
Servio, commentando un passo del libro VII dell’Eneide di Virgilio, asserì l’esistenza di alcune città aventi un nome simile: Cales in Campania, Cale nella Flaminia (intesa come regione augustea) e un’altra in Gallia.
Cales linquunt civitas est Campania; nam in Flaminia quae est Cale dicitur. Est et in Gallia hoc nomine, quam Sallustius captam a Perperna commemorat. (2)
Secondo il commentatore romano, queste città erano abbastanza distinguibili perché presentavano diversa grafia e si trovavano in regioni distanti tra di loro.
Cagli o Calvi?
In realtà, l’accostamento della sede episcopale di Cale alla città di Cagli è privo di qualsiasi fondamento realistico.
La località marchigiana all’epoca dei fatti era solo un vicus, ossia un borgo di campagna.
La sua diocesi è storicamente accertata solamente dall’VIII secolo.
Cale, invece, è riconducibile alla città campana e costituisce l’ablativo della parola Cales.
Secondo una corrente di pensiero predominante, il plurale della forma antica Cales – Calibus generò nel tardo latino un singolare Cales – Calis o Cale – Cales.
Non c’è dunque da meravigliarsi se nel IV secolo si diceva “a Cale” invece di “a Calibus“, cioé di Calvi.
Questa tesi, inoltre, è confermata dalla lettura della famosissima Tabula o Tavola Peutingeriana, che riporta l’antica città della Campania con il nome di Cale.
Ecco dunque come è stato rintracciato il terzo alto prelato caleno, ritrovamento prezioso in quanto si tratta di un vescovo della metà del IV secolo, tra Calepodio e Liberio, energico assertore della fede cattolica.
Il volto di Greciano, purtroppo, non è noto perché Angelo Mozzillo, in base ad un elenco (oggi incompleto) fornito del teologo Giuseppe Cerbone, non lo dipinse sulle pareti della sacrestia della Cattedrale di Calvi Vecchia.
Bibliografia:
1) Joannes Dominicus Mansi, Sacrorum Conciliorum, Tomus Tertius, Ab anno CCCXLVII ab annum CCCCIX, Firenze 1759
2) Servio Mario Onorato, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros
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