Il feudo della Rocchetta
L’origine di Rocchetta è testimoniata da una serie di eventi che hanno interessato sin dall’antichità il territorio cittadino, abitato da gruppi etnici di origine indigena e nomade.
Recenti scoperte hanno evidenziato l’esistenza di un antico insediamento fortificato sannitico a ridosso di un costone di montagna.
La presenza dei reperti preistorici avvalora la tesi di una stratificazione che, proprio a partire dal neolitico, si spinse progressivamente alle epoche successive.
La fortificazione deve avere svolto un ruolo di fondamentale importanza, specie all’epoca della lega etrusco-campana, nella competizione con i greci di Cuma e con quelli proveniente dalla Magna Grecia.
La sua eccezionale posizione topografica consentiva il controllo strategico su tre valli sottostanti:
la spianata di Formicola – Pontelatone, la piana di Riardo – Pietramelara e quella più ampia dell’agro caleno.
Non meno rilevante fu la centralità dell’insediamento nei traffici commerciali essendo la più breve ed importante via tratturale di collegamento tra gli ager Campanus e Stellatis e la media valle del Volturno attraverso le asperità del Montemaggiore.
Il sito presentava una cinta muraria indicativamente con sviluppo quadrangolare per circa due chilometri essendo ampiamente degradata dai secoli e dai saccheggi.
Inoltre, si rinvennero pochi avanzi di rozze costruzioni, ma numerosi frammenti di ceramiche e terracotte architettoniche in prevalenza di epoca osca e sannitica.
In età romana, la politica di espansione verso sud consentì all’Urbe di accrescere la sua potenza militare, politica ed economica in Campania.
A tale scopo, i romani, dopo un conflitto con gli Ausoni, fondarono nel 334 a.C. la colonia di Cales per contrastare il dominio sannita nel territorio di Teano.
L’antico popolo dei Sanniti
Nel 305 a. C., durante la seconda guerra sannitica, una battaglia coinvolse i territori in una zona limitrofa ai monti Trebulani.
I sanniti tentarono l’impresa di conquistare, verosimilmente con il sostegno delle truppe di stanza a Rocchetta, il Campus Stellatis sotto il controllo dei romani.
Gli eserciti consolari di Lucio Postumio Megello e Tiberio Minucio Augurino respinsero l’attacco e passarono alla controffensiva.
Secondo Tito Livio (1), entrambi i consoli si diressero nel Sannio seguendo però percorsi diversi.
Postunio, al comando della colonna orientale, attraversò Cales e batté una forte resistenza sannita a Tiferno, prima di ricongiungersi con le truppe guidate da Minucio.
I due eserciti riuniti sconfissero i sanniti agli ordini del comandante Stazio Gellio nella decisiva battaglia di Boviano.
La guerra si concluse nel 304 a. C.
I romani trasformarono i vinti in alleati e poi in cittadini, e le città assoggettate divennero “foederate civitates”, ovvero dovevano agire in stretta collaborazione tra loro e con le vicine colonie latine.
Nella seconda guerra punica, tra il 217 e il 216 a. C., particolarmente interessante si manifesta nel racconto liviano la chiamata in causa del monte Callicola o monte Maggiore a Rocchetta nella descrizione del famoso stratagemma dei duemila buoi con le corna in fiamme, utilizzato da Annibale per rompere l’accerchiamento che Quinto Fabio Massimo “il temporeggiatore” aveva disposto attorno alle truppe cartaginesi stanziate nella pianura di Cales.
“Hannibal vastata Campania inter Casilinum oppidum et Calliculam montem a Fabio clusus sarmentis ad cornua boum alligatis et incensis praesidium Romanorum, quod Calliculam insidebat, fugauit et sic transgressus est saltum.
Idemque Q. Fabi Maximi dictatoris, cum circumposita ureret, agro pepercit, ut illum tamquam proditorem suspectum faceret.” (2)
I ritrovamenti archeologici
È peraltro plausibile che proprio le operazioni militari della guerra annibala abbiano rappresentato l’ultimo atto dell’utilizzo stabile per fini bellici dell’insediamento fortificato della Rocchetta.
In ogni modo, la presenza dei romani nel territorio rocchettano è provata da consistenti ritrovamenti archeologici avvenuti nella zona.
In un campo ai piedi di una collinetta furono rinvenuti materiale ceramico e tegole risalenti ad un periodo compreso tra l’età repubblicana e quella augustea-tiberiana.
Il sito di età romana, ubicato in località Ciataniti, va interpretato come una fattoria o villa rustica di piccole dimensioni.
Nella medesima zona, il ritrovamento di ceramiche comuni, di vasellame a vernice nera ed anfore fa propendere per la presenza di un’altra piccola fattoria costruita tra il 187 e il 27 a. C.
Lungo la provinciale che conduce a Rocchetta, nei pressi di una sorgente, si rinvenne nel 1960, durante i lavori alle condutture d’acqua ad opera del consorzio idrico di Terra di Lavoro, una stipe votiva contenente fra l’altro un piede, una testa femminile e una statuetta di Eros consegnate alla Soprintendenza ed altre terrecotte che invece furono trafugate e disperse.
I reperti raccolti farebbero supporre l’esistenza in loco di un santuario rurale di età repubblicana.
Il collegamento con la madrepatria Cales era assicurato da una strada lastricata in calcare ancora ben visibile e conservata che, dal passo di Rocchetta, scendeva a valle lambendo le mura poligonali di una villa rustica in località Castelluccio, tra Ciataniti e Loreto.
La concessione del feudo al Vescovado di Calvi
Nel medioevo, il borgo di Rocchetta nacque in seguito all’abbandono dell’antica Cales, più volte saccheggiata e poi distrutta dai Saraceni nel 879.
La popolazione trovò rifugio sui monti circostanti e si aggregò prudentemente nella seconda metà del IX secolo in un abitato fortificato d’altura protetto persino dalle mura di un castello.
Il toponimo è di origine medioevale e ci riporta al periodo dell’incastellamento.
Rocchetta è un diminutivo di “rocca“, nel senso di roccia.
Il nome deriva dalla presenza sul posto di uno sperone di roccia sporgente dal terreno.
La costruzione della fortezza a 460 metri s.l.m. avvenne senza dubbio nello stesso lasso di tempo in cui sorsero i castrum di Calvi Vecchia e di Petrulo.
I Saraceni vi rimasero saldamente rintanati per parecchi anni e ne fecero un luogo sicuro per la raccolta di schiave che poi vendevano sui mercati arabi.
Era un fortilizio praticamente imprendibile tanto che i primi Normanni non tentarono neppure di occuparlo.
Dopo la cacciata dei saraceni, il feudo della Rocchetta fu concesso al Vescovado di Calvi.
In virtù della sua posizione, i vescovi caleni trasformarono il castello in una specie di eremo, luogo isolato dedicato alla vita religiosa e contemplativa.
Così, fra le molte prerogative, la chiesa di Calvi poté vantare di essere la più antica istituzione nel Regno di Sicilia a trarre beneficio dal vassallaggio della popolazione assoggettata e il suo rappresentante supremo ottenne il titolo di barone del feudo della Rocchetta di S. Maurizio.
La restituzione del feudo ai vescovi caleni
La prima notizia certa del borgo collinare risale al 1091, allorquando Riccardo II, principe di Capua nell’undicesimo anno del suo Principato, restituì il possedimento di Rocchetta al vescovo Falconio di Calvi usurpato dal padre Giordano molto tempo prima.
Ciò avvenne per intercessione della mamma di Riccardo, la principessa Gaitelgrima, sorella del principe salernitano Gisulfo II.
Il privilegio di restituzione riportava la data del 1091 nei seguenti termini:
“Ego Quiriacus N. in annis Domini N. I. C. millesimo nonagesimo primo, et undecimo anno principatus ipsius Domini Ricchardi glorios Principi. Datum in Aversa pridie Kal. Martii pro indict. Quartadecima Sig. Domini Ricchardi Principis.”
Nel marzo del 1222, come si rileva da una copia legale estratta dal Regio Archivio della Zecca, il vescovo di Calvi Giovanni II esibì a Canforo, castellano di Capua e messo del re di Sicilia, duca di Puglia e principe di Capua, il diploma di Riccardo II concernente la restituzione del feudo ai vescovi caleni.
Il sovrano Federico II di Svevia confermò il privilegio concesso alle autorità ecclesiastiche di Calvi.
Il medesimo beneficio fu rinnovato il 22 Luglio 1468 dal re Ferdinando II d’Aragona.
Ciò nonostante, il vescovo Giovanni Antonio del Gallo, non avendo altro modo per pagare la Decima imposta da Papa Clemente VII, con l’intervento di don Luca Cangiano, Canonico di Napoli e Deputato del Nunzio, vendette nel 1529 il possedimento della Rocchetta a Girolamo Pellegrino di Napoli al prezzo convenuto di 161 ducati.
L’intervento dei capuani
L’anno successivo, essendo la città di Calvi con tutti i villaggi e i casali sotto la giurisdizione di Capua (compresa quella criminale), i capuani, preoccupati per le conseguenze degli ultimi avvenimenti, invitarono in un General Consiglio le parti coinvolte a compiere ogni sforzo per ricomprare il tenimento della Rocchetta venduta a Girolamo Pellegrino.
Tuttavia, solamente dopo un ventennio, Berengario Gusmano, di nobilissima stirpe, promosso al soglio vescovile di Calvi, si preoccupò di rivendicare alla propria Mensa il possesso del feudo della Rocchetta.
Il 26 giugno 1549 a Napoli il Sacro Regio Consiglio, in base alla relazione di D. Galeotto Fonseca, regio consigliere e commissario della causa, pronunciò nella Banca del magnifico Giovanni Bernardino Balsamo la sentenza di restituzione della terra di Rocchetta alla Mensa Episcopale calena, come utile padrona e baronessa, essendo posseduto da tempo immemorabile dai Vescovi di Calvi.
All’atto della presa di possesso della diocesi, fu stipulato il 18 luglio 1549 un rogito dal notaio Marco Di Costanzo contenente le prescrizioni del S.R.C.
Il 22 dicembre 1573, il vescovo caleno, tramite il notaio Mario Marigliano di Capua, conferì la procura al dottor Giovanfrancesco di Siena, unitamente agli eletti della Rocchetta, al fine di proseguire la controversia giudiziale nel Sacro Regio Consiglio per la divisione del territorio e fissazione dei confini tra le Università di Calvi, Teano e Rocchetta.
La copia della suddetta procura la si trova nel foglio 152 della relazione della visita pastorale compiuta dal metropolita Fabio Maranta.
Quest’ultimo, accompagnati dai familiari, dopo aver sostato alla chiesa vecchia di San Nicandro a Petrulo, il 12 aprile 1583 si portò a Rocchetta per una santa visita.
La chiesa parrocchiale
Edificata al centro dell’abitato nel XV secolo, la chiesa parrocchiale era intitolata all’Annunziata, raffigurata su una tavola di legno e collocata sull’altare maggiore.
Il tempio, ben curato, disponeva di un tabernacolo dorato dove si conservava il Sacramento, di un fonte battesimale e degli oli santi.
Il parroco D. Nicola Canzano, nativo del luogo, era stato nominato dal vescovo Paolo I Terracina nel 1570.
Le famiglie di Rocchetta erano 22, gli abitanti 106 e la rendita di 15 ducati.
Il prelato riportò nella relazione che i vescovi pro tempore di Calvi detenevano sul borgo la giurisdizione “in temporalibus et spiritualibus“.
Nel 1722, la parrocchia dell’Annunziata si mostrava discretamente attrezzata.
Svolgeva la funzione di parroco don Marco Zeppettella di anni 40, uomo colto e intelligente.
Inoltre, vi erano l’ebdomadario don Andrea Palmiero di anni 34 ed altri due sacerdoti, D. Rocco e Pietro Laurenza rispettivamente di 33 e 24 anni, tutti forniti di “cotta e berretta“.
In seguito, l’affidamento del feudo alla chiesa di Calvi riemerse nell’istruttoria della Regia Camera della Sommaria nel 1725 per l’assoluzione dal pagamento dei Quindenni presso l’attuario Filippo Dotra e in un altro procedimento conservato nell’archivio della medesima Regia Camera.
In tal modo, i vescovi pro tempore e gli altri baroni del regno continuarono a prestare il dovuto giuramento di fedeltà al Re.
Rocchetta e Croce
Nel 1804, Lorenzo Giustiniano, nel “Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli”, tomo VIII, scriveva:
“Rocchetta prope Calvi, terra in provincia di Terra di Lavoro in diocesi di Calvi.
È situata in una collina.
Vi si respira aria non insalubre, e gli abitanti ascendono a circa 370 tutti addetti all’agricoltura.
ll suo territorio produce ogni sorta di frumento, vino, olio, e vi si fa pure del canape, e del lino.
Nel 1532 ne ritrovo la tassa di fuochi 20, nel 1545 di 25, nel 1561 di 20, nel 1595 di 18, nel 1648 di 22, e nel 1669 di 20.
Nel suddetto territorio vi sorgono delle acque minerali, segni non equivoci di essere situata su di un suolo vulcanico.
Si appartiene in feudo alla mensa Vescovile di Calvi.”
Nel primo decennio del 1800, la borgata diventò autonoma con la fine del feudalesimo.
Il 26 giugno 1810, il comune di Rocchetta rivendicò cinquanta moggia di terreno demaniale situate in località Montelillo, volgarmente chiamato dietro le Pagliare, usurpati dagli ex-feudatari.
La commissione per le liti tra i baroni e i comuni, in base al rapporto del Cancelliere, intese le parti e il Regio Procuratore Generale, ordinò al comune di adire i giudici ordinari competenti ritenendo la pratica non sufficientemente istruita.
Con delibera del 14 dicembre 1862, il consiglio comunale, su sollecitazione del Ministero degli Interni, modificò, anche in virtù dell’accorpamento dell’adiacente frazione autonoma di Croce, il nome del comune in Rocchetta e Croce.
Bibliografia:
1) Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro IX, 44
2) Tito Livio, Ab Urbe Condita, Periochae, Libro XXII, 8-9
© Riproduzione riservata