Il fuoco di Natale
La suggestiva e spettacolare tradizione del fuoco di Natale appassiona da tempo immemore gli abitanti di Calvi Risorta e non solo, richiamando numerosi spettatori e curiosi.
Il rito del falò traeva le proprie origini da antiche usanze pagane.
Nella notte del 31 ottobre i celti si recavano nei boschi per accendere i fuochi e trascorrere la notte tra balli e offerte agli dei.
All’alba del 1° novembre, inizio del nuovo anno, raccoglievano i tizzoni ardenti e li distribuivano alle famiglie, che li utilizzavano per accendere il fuoco in casa.
Nell’anno 274 d. C. l’imperatore Aureliano introdusse a Roma il culto del “Sol Invictus” e proclamò per la prima volta in Occidente il 25 dicembre giorno di festa in onore del nuovo dio: il Dies Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto.
Successivamente, la religione cristiana raccolse e adottò come propria la tradizione del falò secondo la quale il fuoco serviva a riscaldare l’ambiente per la nascita di Gesù Bambino durante la gelida notte di Natale.
L’evento, ricco di significato, costituiva nel contempo un punto di aggregazione per i residenti della zona, ricreando un ambiente familiare, un’atmosfera per molti versi simile alle riunioni attorno al camino.
Sin dall’antichità la catasta di legna, dalla forma quasi piramidale, ardeva al centro delle tre frazioni di Calvi.
La preparazione, lunga e laboriosa, richiedeva la festosa collaborazione di tre generazioni di caleni.
Le fasi preparatorie
Nelle prime fasi il falò era preparato dai ragazzi che, dalla fine di ottobre iniziavano a raccogliere la legna trascinando i ceppi legati ad una corda o al fil di ferro, o semplicemente trasportandoli su una carriola o su una “sciarrettella” (mezzo di trasporto con un sistema di propulsione ecologica a gravità costituito da un telaio di legno, quattro cuscinetti a sfera al posto delle ruote e da un sistema di sterzatura e frenatura originale).
Nei giorni prossimi al Natale, ai più giovani si affiancavano gli adulti e gli anziani che utilizzavano i carretti a due ruote spinti a mano o i traìni (carri trainati dagli asini) per trasportare radici di piante, tronchi, rami e frasche raccolti nei campi.
Inoltre, al motto “u bambino a friddu“, giravano tra le case chiedendo legna da ardere.
Con l’incrementarsi del traffico veicolare agli inizi degli anni ‘70, gli organizzatori nelle varie frazioni furono costretti, onde evitare di intralciare la circolazione, ad ammonticchiare il legname in strade secondarie o a ridosso di abitazioni per poi innalzare la catasta solo due giorni prima della vigilia di Natale.
Come affermato in precedenza, si narra che un tempo il fuoco bruciava alto solo nelle piazze delle tre frazioni e la sua accensione spettava di diritto al più anziano del borgo.
A Visciano, la pira era posizionata in Piazza Garibaldi al centro della sede stradale in corrispondenza del minimarket Lilì.
Zuni, la patria della tradizione
La legna era raccolta soprattutto in Via Taverna Mele perché ai lati della sede stradale infossata erano presenti numerose querce e altre piante.
In passato, come da consuetudine, l’accensione del fuoco era esclusivamente appannaggio di Vincenzo Capuano.
Alla fine degli anni ’70, questa bella usanza sparì.
Tuttavia, un gruppo di giovani volenterosi continuarono la tradizione per un altro quinquennio preparando la pira in località “Cortemanna” anche con i preziosi ciocchi forniti da alcuni nostalgici di Visciano.
A Petrulo, la catasta bruciò fino al 1979 in Piazza Gregorio Nucci, centro nevralgico della frazione prima della costruzione della grande piazza, con la legna raccolta principalmente ai piedi dei monti Trebulani, nelle vicinanze dello stabilimento di Moccia.
Ad ogni modo, la patria per antonomasia di questa tradizione popolare legata indissolubilmente alla religione cattolica è sempre stata Zuni.
Il grande falò si accende al termine della messa serale della vigilia di Natale.
A seguire, preannunciata dal suono delle campane a festa, dalla porta laterale della chiesa s’incammina una processione composta da due ali di fedeli con i ceri accesi e dal parroco che sorregge tra le mani il Santissimo Sacramento nell’ostensorio a raggiera accompagnato da un parrocchiano con l’ombrellino processionale.
Il corteo, sfilando intorno alla catasta fiammeggiante e senza effettuare soste, rientra in chiesa ove si procede alla benedizione conclusiva.
I mastri attizzatori di Zuni che si sono avvicendati negli anni sono stati Casto Zona, “zi castigliu”, Mario Santillo, “u picu”, Antonio Di Girolamo, “u mutigliu” e Michele Bonacci, quest’ultimo tuttora in attività.
La tradizione dell’albero di Natale
Agli inizi degli anni ’60, lo sviluppo urbanistico della cittadina calena ridiede slancio a questa tradizione con l’istituzione dei “roghi natalizi” anche “o Simminariu“, in piazza dei Platani a Petrulo, ai Martini di Visciano e in altri rioni.
“O Simminariu” un gruppo di ragazzi composto da Luigi Antonelli, Franco Borrelli, Antonio e Giuseppe Caparco, Franco e Gianni Cardillo, Franco Nicola Di Girolamo, Tonino Di Girolamo, Armando Nassa, Pietro Pitocchi, Mario Migliozzi e Nicolino Zona, oltre al falò, iniziarono in quel periodo ad allestire un grande albero di Natale.
I giovani caleni, coordinati da Tommasino Bovenzi e Antonio Migliozzi (conosciuto con il nomignolo “Totonno“) chiedevano l’autorizzazione al Corpo Forestale dello Stato per procedere al taglio di un pino o di un abete dalla montagna di Zuni.
Una volta tagliata la pianta su indicazione delle guardie forestali, s’iniziava la discesa verso la valle sottostante con il pesante tronco sostenuto da Franco Di Girolamo, dotato di una notevole forza fisica, e i rami sorretti dai restanti componenti del gruppo.
L’albero, infilato in un bidone di ferro e zavorrato con pietre calcaree, era collocato al centro del paese in prossimità di un traliccio di trasmissione dell’energia elettrica.
Alle decorazioni e agli addobbi lavoravano da casa Antonietta De Angelis e Matilde Pitocchi, mentre Liliana Cardillo e Nicolina Migliozzi operavano sul campo.
Pietro Feola di Pignataro Maggiore, invece, si occupava delle luci, sinonimo di allegria e gioia.
Riconosciuto universalmente come un genio dell’elettrotecnica, aveva escogitato un sistema originale per consentire la loro accensione ad intermittenza.
Creò un disco magnetizzato solo a metà.
Inserito in un giradischi, la testina, percorrendo il solco calamitato, accendeva le luci e le spegneva passando sulla superficie non magnetizzata.
L’accesa rivalità fra le frazioni calene
Per quanto concerne il fuoco, durante la raccolta dei ceppi, spesso i ragazzi, e Gianni Cardillo in particolare, spronavano l’asino, di nome “campione”, alla corsa tanto da far innervosire Totonno Migliozzi.
“L’accesa” rivalità tra le diverse frazioni calene spinse gli organizzatori a far sorvegliare ciascuna catasta da due persone soprattutto di notte per scongiurare possibili furti di legname e il conseguente sfottò dei concittadini.
Non mancarono sporadicamente piccoli grattacapi a causa delle avverse condizioni meteorologiche.
A metà degli anni ’70, il caldo, sospinto da folate di vento, provocò la deformazione dell’insegna del bar Migliozzi in piazza San Paolo della Croce.
A Zuni, agli inizi degli anni ’90, per una telefonata di uno sconosciuto che si spacciava per l’allora sindaco Antonio Cipro, dovettero intervenire i pompieri del distaccamento di Teano.
Il caposquadra Nicandro Marrapese, manco a farlo apposta di origine zunese, ordinò per precauzione lo spegnimento della pira.
Dopo essere caduta nel dimenticatoio per diversi anni, la manifestazione è stata riportata in vita in tutte le frazioni calene durante le festività natalizie del 2008 grazie all’impegno ostinato del compianto Pasqualino De Stefano, presidente della proloco “Cales Novi”, e di Carmine Bonacci, assessore della giunta Zacchia, con il sostegno dalla Camera di Commercio di Caserta.
In Piazza San Paolo della Croce, Gianni Cardillo organizzò l’evento e tributò un doveroso omaggio alla memoria di Totonno assegnando il ruolo di mastro attizzatore a suo figlio Mario Migliozzi.
Anche quest’anno si potrà ammirare il falò solo a Zuni, a testimonianza della sua vitalità da diversi secoli.
Il fuoco abbaglia lo sguardo con la luce, riscalda il corpo con il calore e dilata il cuore con le vampate.
E questa fiamma accende, consuma e incenerisce, quasi a rappresentare il corso della nostra vita terrena.
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