La Confraternita di Petrulo

La Confraternita di Petrulo

La Confraternita di Petrulo, eretta sotto la protezione della Vergine SS. del Rosario nella chiesa parrocchiale di San Nicandro, è un’antica associazione avente tra i suoi scopi istituzionali le pratiche religiose e le opere di mutuo soccorso.

I dettami dell’istituzione calena prevedevano che ogni associato fosse tenuto a recitare ogni giorno con pietà e devozione almeno la terza parte del Rosario, a digiunare il mercoledì e le sette vigilie della Madonna SS.

In caso di impossibilità a dire il Rosario, doveva “recitare giornalmente tre Ave Maria in onore della sua purità“.

Secondo il regolamento, per essere ammesso alla Confraternita ogni richiedente svolgeva un periodo di noviziato della durata di sei mesi pagando l’entratura stabilita dalla Congregazione tenendo conto dell’età anagrafica e la retta mensile di grana due e mezzo, e con l’onere di “farsi a sue spese la veste e tutt’altro che bisogna“.

Inoltre, interveniva “alla Congregazione tutte le domeniche dell’anno e il giorno di S. Domenico nelle ore stabilite“.

E poi ogni prima domenica del mese, esponendosi in chiesa la Madonna del SS., doveva “far celebrare in suo onore una messa cantata“.

L’adepta “era tenuto a confessarsi ogni prima del mese, nelle sette festività della Beata Vergine, nella festa del Corpo di Cristo e del Protettore della Chiesa S. Nicandro“.

In caso di assenza, la prima volta subiva l’ammonizione del Priore, la seconda la mortificazione e la terza la privazionedella voce attiva e passiva, e di tutti i suffragi“.

E se si fosse ostinato, sarebbe stato “cacciato col voto della maggior parte dei fratelli procedendo bussola da farsi in Congregazione“.

Le ulteriori regole del sodalizio

Per di più, ognuno, mostrandosi “umile, divoto, rispettoso ed obbediente ai superiori della Congregazione, nel riferire cosa d’importanza“, si manifestava con modestia rimettendosi successivamente al giudizio dei superiori apprendendo “la dottrina cristiana e le cose necessarie di nostra s. fede“.

Quando si ammalava un confrate, se ne dava comunicazione al sodalizio “acciò ognuno facesse orazione per lui” e al contempo si permetteva alla persona individuata di fargli visita in particolar modo durante il periodo di agonia.

Oltre al conforto spirituale, all’ammalato povero, ritrovandosi con febbre o altra grave infermità, “standosene a fede del parroco e del medico“, si concedeva per un mese al massimo un’elemosina di “grana due e mezzo al giorno.

In caso di morte di un associato, invece, tutti i confratelli, precedentemente avvisati e non legittimamente impediti, si riunivano in un luogo stabilito, “acciò vestiti di sacco della Congregazione vadano ad associarlo processionalmente“.

Al contrario, quelli sprovvisti della divisa “vadano appresso al cadavere recitando una terza parte del Rosario a voce bassa“.

Inoltre, la domenica successiva alle esequie si recitava in congrega l’intero Rosario di quindici parti in suffragio dell’anima del socio defunto.

Ogni fratello deteneva in casa una candela di mezza libbra acquistata a proprie spese per essere utilizzata nelle esequie, nelle processioni e, annunciato dal suono della campana, nel portare il SS. Viatico all’infermo (la comunione amministrata ai fedeli gravemente malati dopo l’estrema unzione).

Gli aderenti assenti

Ognuno non legittimamente impedito si recava subito in chiesa per accompagnare con la propria torcia il SS. Sacramento dell’Eucarestia.

Inoltre, l’associato, “che per legittimo impedimento non potesse intervenire alla Congregazione“, avvisava la Confraternita non prescindendo dal “recitare il rosario in privato e con tutta la sua famiglia“.

Invece, coloro che dimoravano in campagna lo recitavano “privatamente e procuravano far la confessione in altro luogo“.

Al contrario, quello che per propria negligenza non si presentasse in Congregazione ed altre funzioni stabilite per tre o quattro mesi continui, da “poco osservante delle regole con riguardo degli altri fratelli“, sarebbe per la prima volta ammonito, “non emendandosi, mortificato“, ed alla fine mostrandosi ostinato “cassato dal catalogo dei fratelli a tenore dello stabilito di sopra“.

I provvedimenti riguardanti il governo e gli interessi del sodalizio dovevano proporsi dal Priore ed approvati a voto segreto dalla maggioranza dei confratelli annotando l’esito sul libro delle conclusioni.

Gli aderenti che non pagavano la mesata di tornesi cinque o di giorni cento erano “privati di voce attiva e passiva e di ogni altro suffragio e volendo alcuno accomodarsi e rimettersi dalla suddetta contumacia dovevano accordarsi con l’istituzione“.

Se qualcuno desse prova di un carattere litigioso o attaccabrighe, perturbando la quiete della pia associazione, potrebbe essere “cassato dalla fratellanza precedente conclusione con maggioranza di voti segreti dei fratelli a tale oggetto convocati“.

Il confrate non contumace di mesate usufruiva dei predetti suffragi.

Le esequie dei defunti

Accadendo la di lui morte si debba fare l’esequie coll’intervento del clero del paese, fargli cantare una messa e celebrare tante messe quante sono i sacerdoti” che cantavano al funerale pagando “ad ogni sacerdote carlini quattro per la messa ed officio ed una candela per l’associazione a norma dell’uso e costumanze del paese, non oltrepassando la spesa di nove ducati, salvo poi sempre il diritto del parroco“.

I sacerdoti ed il clero erano obbligati ad intervenire alle esequie del defunto “vestiti di lungo e con cotta”.

In caso contrario, non ricevevamo dal cassiere “né la candela e né la porzione del denaro“.

Colui che aveva pagato le mesate per quarant’anni consecutivi, otteneva il diritto di essere giubilato dalla Congregazione a prescindere da tutti quei suffragi che godeva ogni affiliato.

Al contrario, gli iscritti non impediti legittimamente, trascurando di recarsi all’associazione, “motivo per cui le esequie non riuscissero con decente decoro“, erano tenuti a versare una multa di grana cinque ciascuno per ogni assenza.

Tutte le domeniche mattina ed anche all’ora del Vespro, preannunciati dal suono della campana, tutti i fratelli dovevano recarsi in congrega per esercitare i soliti atti di pietà e recitare la terza parte del Rosario.

La riunione si concludeva con un esercizio sulla dottrina cristiana.

L’amministrazione della Confraternita

All’amministrazione della Confraternita provvedeva il Priore, coadiuvato da un primo e secondo Assistente, da due Consultori e la collaborazione di un Segretario, un Cassiere, un Maestro dei Novizi, un Maestro di Cerimonie, un Sacrestano e due Infermieri.

Il Padre Spirituale, in veste di sacerdote esemplare e confessore, promuoveva il bene spirituale delle anime dei confratelli “coll’esortare, predicare ed amministrare i sacramenti, non potendosi affatto ingerire nella temporalità della suindicata congregazione“.

Il Priore esercitava “tutto ciò che riguardava il vantaggio e il governo della congregazione” vigilando sui “fratelli acciò stiano a dovere, ed in particolare su degli officiali.

Per conseguire l’intento doveva dare buon esempio di se medesimo facendosi conoscere umile ed osservante delle regole“.

I due Assistenti, supplendosi reciprocamente in caso di assenza o impedimento, aiutavano ed assistevano il Priore vigilando sull’osservanza delle regole adottate e “facendosi conoscere di buona morale per esempio altrui“.

I Consultori, che erano gli stessi due assistenti, aiutavano “con i loro consigli ed opere il priore” stando sempre “pronti per dare il loro parere senza passioni” e mantenevano il segreto sugli argomenti trattati e sulle espressioni di voto nelle assemblee.

Il Segretario custodiva i libri della corporazione annotando tutto ciò che avveniva nella Congregazione, come l’iscrizione o la cancellazione o la morte dei fratelli, l’elezione degli ufficiali, le decisioni prese per il buon governo dell’associazione “registrando giorno, mese e anno, ed ogni altra cosa“.

Le altre cariche

Il Cassiere provvedeva alla riscossione del denaro e al pagamento delle spese sostenute con i mandati del Priore e dei consultori.

Nel libro d’introito registrava cronologicamente le entrate e le relative provenienze, e allo stesso modo annotava “nell’esito per darne conto alla fine del suo ufficio“.

Ed avendo in cassa somme di denaro di una certa entità, si duplicava la chiave della serratura dandone una al cassiere e l’altra al Priore.

Al termine del suo mandato, il cassiere consegnava le somme disponibili al successore con l’obbligo del “Segretario di registrare nel suo libro la suddetta consegna“.

Per le spese superiori a ducati dieci, era richiesto tassativamente il consenso dei confratelli.

Il Maestro dei Novizi istruiva tutti coloro che volessero essere ammessi alla pia Unione, accertandosi che i novizi, prima di essere accolti, frequentassero i santi Sacramenti e recepissero le regole della Congregazione.

Dopo tre o quattro mesi trascorsi senza problemi, si adoperavano “per loro accoglienza insegnando la dottrina cristiana con carità e piacevolezza“.

Il Maestro di Cerimonie verificava “che ogni fratello si metteva a sedere nel suo luogo, facendo andar tutte le cose ben ordinate nelle Processioni“.

Il Sacrestano si recava “prima degli altri in Congregazione dovendo apparecchiare l’altare” e suonava la campana nel giorno e nell’ora stabilita per radunare i confratelli.

Gli Infermieri curavano in particolare i fratelli infermi richiedendo al Priore, in caso di necessità, l’assegnazione di altri associati per far visita ai malati.

Inoltre, consegnavano a quelli poveri l’elemosina stabilita riscuotendo il denaro dal cassiere su ordine del Priore e vigilavano affinché nessuno morisse senza ricevere i dovuti sacramenti.

La lista dei candidati

Tutte le cariche duravano un anno, al termine del quale si confermavano “gli officiali uscenti solo con il consenso unanime degli iscritti“.

In caso contrario, si indicevano le nuove elezioni e il Priore aveva l’obbligo di avvisare otto giorni prima i fratelli affinché si procedesse alla nomina del nuovo governo.

Lo stesso Priore uscente presentava una lista di dieci candidati scelti tra i più probi.

L’elezione, svolta a scrutinio segreto, prevedeva che ciascun “elettore” potesse esprimere al massimo tre preferenze.

Il primo degli eletti ricopriva la carica di Priore e i due a seguire rivestivano rispettivamente il ruolo di primo e di secondo assistente, formando quest’ultimi due anche l’ufficio di Consultore.

Per la nomina degli altri ufficiali, il Priore candidava due persone per ogni ufficio “restando in arbitrio de confratelli eleggerne uno“.

Qualora si dovessero eleggerne due, il Priore designava quattro aspiranti, due dei quali risultavano eletti con la maggioranza dei voti degli aderenti, intendendosi per maggioranza uno più della metà.

Nonostante il vescovo Fabio Maranta nel 1593 avesse già ottenuto che nella chiesa di San Nicandro si erigesse la Confraternita del SS. Rosario, solo alla fine del ‘700, più di 100 affiliati, con in testa il parroco don Michele de Janne, sottoscrissero un atto pubblico per richiedere l’approvazione dello statuto da parte del Re.

La concessione del Regio Assenso sui dettami della Confraternita del SS. Rosario di Petrulo in Calvi fu accordata a Napoli dal Re Ferdinando IV di Borbone il 18 aprile 1788.

Le riunioni nella chiesa Vecchia

Negli anni ’30 le assemblee generali dei soci si svolgevano nella chiesa Vecchia di Petrulo presiedute dal priore Lorenzo Izzo, mio nonno paterno.

Attualmente la sede dell’associazione laical – clericale é in Via XX Settembre al civico 121.

Negli ultimi anni, i confrati indossano unicamente una mozzetta celeste e un medaglione con l’effigie della Madonna del Rosario per le processioni e una fascia nera per l’accompagnamento funebre.

Dei numerosi incarichi di una volta, come d’altronde per le altre due Congregazioni calene, ne sono rimasti solamente due:
il Priore nella persona di Paolo Migliozzi e il Cassiere in quella di Casto Pisano.

La Confraternita del SS. Rosario continua ad esistere soltanto come pia associazione partecipando alle processioni di San Nicandro, della Madonna SS. Del Rosario, del Corpus Domini e del venerdì santo, ed accompagnando i suoi associati nell’ultima dimora terrena.

 REGIO ASSENSO

Ed avendo maturatamente considerato il tenore delle suddette regole, poiché le medesime non contengono cosa che pregiudichi la Giurisdizione ed il pubblico, ma semplicemente son dirette al buon governo della suddetta Congregazione. E poiché per la mancanza del Cappellano Maggiore si è degnata Vostra Maestà con Real Carta per Segretario di Stato dell’Ecc. del 18 maggio 1787 comandarmi che esaminando io le regole formargli la relazione che contenga. Perciò son di certo che possa S. M. Degnarsi concedere tanto su le medesime regole quanto sulla formazione di detta Congregazione il Real Assenso coll’espressa clausola insita per altro alla Sovranità usque ad Regis beneplacitum con fargli spedire Pria informata Regis Camera di S. Chiara con le seguenti condizioni che:

  • la suddetta congregazione non possa fare acquisti essendo compresa nella legge di armonizzazione e che siccome la esistenza giuridica di detta congregazione comincia dal dì della impartizione del Reale Assenso nella fondazione e nelle regole, così restino illese le ragioni delle parti per gli acquisti fatti precedentemente dalla medesima, come corpo illecito ed incapace il tutto a tenore del Regio Stabilimento del 29 giugno 1776
  • in ogni esequie resti sempre salvo il diritto del parroco;
  • le processioni ed esposizioni del Santissimo possano farsi precedenti le debite licenze;

Ulteriori prescrizioni

  • gli ecclesiastici, li quali al presente si trovassero ascritti in detta congregazione e quelli che si scrivessero in appresso, non possono godere né della voce attiva né quella passiva, uque Dirette, ueque indirette negli affari della medesima;
  • nella redizione dei conti della congregazione si abbia ad osservarsi il prescritto del capo V s I e seguenti del concordato
  • a tenore del Reale Stabilimento fatto nel 1742 quei che devono essere eletti per amministratori e razionali non siano debitori della medesima e che avendo altre volte amministrato le sue rendite e beni abbiano, dopo il rendimento dei conti ottenuta la debita liberazione, e che non siano consanguinei ne affini degli amministratori precedenti sino al terzo grado inclusivo De iure Civili – E per ultimo che non si possa aggiungere o mancare cosa alcuna dalle preinserite regole senza il precedente Real permesso.

Napoli, 18 aprile 1788

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