La Congregazione di Carità
A seguito dell’unità d’Italia, la legge “Rattazzi” del 3 agosto 1862 n. 753 istituì la Congregazione di Carità.
La normativa prevedeva la creazione del sodalizio in ogni comune.
Celermente, la città di Calvi Risorta istituì l’ente composto da un presidente e quattro componenti.
Per legge, gli amministratori e i sostituti dovevano essere nominati dal Consiglio Comunale.
Lo scopo era di amministrare i beni destinati all’erogazione di sussidi e altri benefici per i poveri.
Inoltre, per quanto concerne le opere di culto e di beneficenza, gestiva e dirigeva le seguenti cappelle laicali:
- Cappella del SS. di Calvi
- ” di S. Nicandro di Petrulo
- ” del Rosario di Petrulo
- ” dei sette Dolori di Petrulo
- ” del Purgatorio di Petrulo
- ” di S. Silvestro di Visciano
- ” del Rosario di Visciano
- ” del Purgatorio di Visciano
- ” di S. Nicola di Zuni
- ” del Rosario di Zuni
- ” del Purgatorio di Zuni
I curatori della Congregazione assumevano l’incarico alle scadenze stabilite.
Gli eletti sarebbero decaduti dalla carica se prima non avessero presentato i conti della precedente amministrazione o se sussistessero liti pendenti con la Congregazione.
Inoltre, erano estromessi dall’istituzione gli ascendenti e i discendenti, i fratelli, il genero e il suocero dei designati.
In caso di incompatibilità, si escludeva il componente più giovane.
Non potevano, infine, essere membri della congregazione coloro che non avevano il diritto di essere elettori amministrativi.
Lo scopo del sodalizio
La Congregazione di Carità provvedeva allo scopo e al mandato assegnati dalla legge con:
- i depositi effettuati dai cittadini per i ricorsi avverso le liste elettorali amministrative;
- le somme date genericamente ai poveri, sia per atti di pia liberalità tra vivi, sia per disposizioni testamentarie;
- le rendite di beni dati nello stesso modo e che non furono specialmente e tassativamente lasciati ad altra Amministrazione, od Opera Pia o pubblico stabilimento di Carità;
- le entrate delle proprietà che dovevano essere affidate per disposizione di un benefattore ad una speciale Amministrazione oppure ad un’Opera Pia, da determinarsi dagli esecutori della sua volontà, ma che questi non volevano o non potevano specificare;
- i frutti degli averi concessi per scopi pii da indicarsi da qualcuno che non aveva la possibilità o la volontà di occuparsene personalmente;
- gli introiti dei patrimoni di cui s’ignorava l’origine o la destinazione, ma che per consuetudine si utilizzavano sempre per usi caritatevoli;
- i proventi dei legati di elemosine a favore dei poveri, ma posti a carico di un erede, quando quest’ultimo non avrebbe potuto adempiere al mandato ricevuto;
- altri eventuali proventi raccolti dalla Congregazione mediante sottoscrizioni, spettacoli pubblici o lotterie di beneficenza.
Provvedeva poi agli obblighi delle opere pie speciali poste sotto la sua amministrazione.
Nello specifico, si annoveravano le rendite derivanti da fondi rustici, capitali, canoni enfiteutici e fondi urbani delle cappelle di Calvi.
I poveri
Erano da ritenersi poveri:
- gli orfani e i figli abbandonati o aventi il padre in carcere o all’ospedale;
- i giornalieri, operai, artieri, contadini che avevano “numerosa figliuolanza senza modo di allevarla e mantenerla“;
- le vedove con numerosi figli che si trovavano nella medesima condizione;
- le donne, sia nubili che maritate, in gravi ristrettezze per avere i genitori e mariti lontani, all’ospedale o in prigione;
- i ciechi, disabili, invalidi e vecchi privi di ogni assistenza;
- i giornalieri, operai, artieri, trafficanti, contadini decaduti che non erano in grado di procacciare per se e per i loro familiari il necessario sostentamento a causa di una lunga malattia o altra grave disgrazia;
- coloro che fossero stati colpiti da incendio, inondazione, terremoto, epidemia o altra calamità;
- quelli che, pur non rientrando nelle categorie elencate, si trovavano “in istato di miseria comprovata e pubblicamente notoria, purché senza colpa o delitto“.
Per i sussidi concessi alle zitelle povere, il pagamento si effettuava solo dopo la presentazione del certificato dell’Ufficiale dello Stato Civile che ne attestava l’avvenuto matrimonio.
Le prescrizioni dei medicinali, invece, si compilavano “su ricette a stampa o in iscritto firmate” dal medico e vidimate dal Presidente.
Tassativamente, la ricetta doveva riportare nome e cognome del poveretto, la malattia, la data e la farmacia somministratrice.
A tale scopo, la Congregazione di Carità stipulò un contratto con uno dei farmacisti del luogo, per la fornitura di medicinali a prezzi fissi e determinati.
In ogni caso, qualunque prestazione di natura assistenziale doveva essere comprovata.
La congregazione provvedeva ad inviare l’elenco dei beneficiari alla Deputazione Provinciale.
La lista, debitamente omologata dal Sindaco, era accompagnata dalle ricevute firmate dai beneficiari o da due testimoni per gli analfabeti.
In assenza di tali giustificazioni, ogni elargizione era a carico dei componenti della Congregazione.
Il presidente della Congregazione di Carità
Il presidente spediva gli avvisi per la convocazione della Congregazione.
Per di più, presiedeva e dirigeva le adunanze.
Curava l’esecuzione delle deliberazioni assunte quando non si affidava l’incarico ad alcuno degli amministratori.
Gestiva la corrispondenza ufficiale che egli sottoscriveva e controllava la tenuta dei registi e l’andamento degli affari.
Provvedeva all’osservanza delle leggi e dei regolamenti, all’esecuzione degli ordini superiori, all’adempimento dei legati pii, al pagamento delle spese stanziate in bilancio con l’emissione dei relativi mandati.
Procedeva alle verifiche ordinarie e straordinarie di cassa in presenza del tesoriere.
Vigilava affinché il Tesoriere presentasse i rendiconti entro il termine stabilito.
Sorvegliava l’andamento generale delle pie fondazioni.
Rappresentava in giudizio l’ente e stipulava per suo conto i contratti privati.
Per eventuali necessità, sospendeva gli impiegati o assumeva “tutte le misure conservatorie, salvo informarne tosto la congregazione stessa.”
In caso di mancanza, assenza o impedimento del Presidente, la carica spettava temporaneamente al membro più anziano.
I compiti dell’istituzione
Spettava alla Congregazione di Carità, con l’obbligo in solido tra i suoi membri, la gestione dei beni nell’interesse dei poveri.
In aggiunta:
- Deliberava sui bilanci e suoi conti annuali;
- Stabiliva i contratti da farsi e le loro condizioni;
- Ripartiva le elemosine e i sussidi;
- Indagava se vi fossero lasciti nel Comune destinati genericamente a favore dei poveri;
- Nominava e revocava gli impiegati e i salariati;
- Delegava uno o più dei suoi membri per rappresentarla nella stipula degli atti pubblici;
- Riconosceva la validità della cauzione da prestarsi dal tesoriere per l’ammontare da determinarsi nel regolamento di amministrazione interna;
- Fissava il premio, la retribuzione o lo stipendio fisso da attribuirsi al tesoriere stesso;
- Proponeva le modifiche da apportare allo statuto organico;
- Formava i regolamenti di amministrazione e di servizio da approvarsi dalla Deputazione Provinciale:
- Compilava ogni anno la statistica dei poveri del Comune;
- Aggiornava l’elenco dei poveri, considerando i decessi e le variazioni di stato, di condizione, di domicilio.
Infine, deliberava su tutti gli atti che riguardavano l’amministrazione del patrimonio, l’uso delle rendite e l’interesse delle opere pie.
Le assemblee e le votazioni
Le assemblee della Congregazione si distinguevano in ordinarie e straordinarie.
Le prime si tenevano almeno una volta al mese nei giorni stabiliti dall’organismo.
Le seconde, deliberando su argomenti più urgenti, erano indette su richiesta del presidente, di almeno due aderenti oppure dell’autorità governativa.
La convocazione, fatta per invito scritto dal presidente e notificata almeno 24 ore prima della riunione, riportava i punti principali della discussione.
L’assemblea si considerava validamente costituita quando interveniva almeno la metà dei componenti, oltre il Presidente.
Se un membro non fosse intervenuto alle adunanze per tre volte di seguito senza giustificazione oppure si fosse rifiutato di compiere speciali incombenze affidategli, sarebbe stato dichiarato dimissionario.
In tal caso, il Consiglio Comunale provvedeva alla sua sostituzione.
Le votazioni avvenivano per alzata e seduta, o a voti segreti.
Le decisioni riguardanti le persone si assumevano sempre con quest’ultima modalità.
Le deliberazioni erano prese a maggioranza.
A parità di voti, la proposta s’intendeva respinta.
I verbali delle deliberazioni dovevano essere sottoscritti da tutti gli intervenuti all’adunanza, “potendo ciascuno farvi inserire il suo voto ragionato“.
Ai membri della Congregazione si vietava di prendere parte alle deliberazioni riguardanti interessi propri o dei loro parenti ed affini sino al quarto grado.
Gli impiegati
Gli impiegati a servizio della Congregazione erano due: un segretario e un tesoriere.
Entrambi prestavano servizio anche nell’interesse delle opere pie speciali.
Il numero e lo stipendio degli impiegati non potevano essere incrementati senza l’approvazione dell’autorità tutoria.
In aggiunta, non era consentito attribuire ad essi una pensione o altra gratificazione perché si trattava del denaro dei poveri.
Le funzioni del segretario erano svolte eventualmente da un componente della pia organizzazione.
Lo statuto organico della Congregazione di Carità di Calvi Risorta fu approvato il 22 settembre 1869.
Il primo organismo annoverava Michele Sanniti alla Presidenza e gli aderenti Giuseppe Zona, Antonio Pelusio, Achille Sanniti e Luigi Zona.
L’istituzione rimase attiva per quasi 70 anni.
La legge del 3 giugno 1937 n. 847 soppresse la Congregazioni di Carità.
Le competenze, fino ad allora esercitate da quest’ultima, passarono all’Ente Comunale di Assistenza (ECA).
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