Verso la fine della fede

Verso la fine della fede

L’inizio della civiltà cristiana nella nostra terra avvenne nei primi decenni dopo l’avvento di Cristo.

Un certo Casto adorava i simulacri di marmo, venerandoli come dèi, ai quali spargeva l’incenso e tributava ossequi.

Tutto questo durò fino a quando il glorioso apostolo Pietro, si fermò a Cales predicando il vangelo.

Prestando l’orecchio alle sue orazioni, ricevette il battesimo e con esso la fede.

Non soddisfatto di tenere per sé la grazia ricevuta dalla divina provvidenza, Casto iniziò a predicare la fede infervorato e desideroso di convertire il prossimo.

Ciò spinse Pietro ad ordinarlo vescovo di Calvi nel 44 d. C.

Quando nell’anno 64 d. C. un violento incendio devastò Roma, Nerone fece in modo di incolpare la comunità cristiana.

Ebbe così inizio la persecuzione dei cristiani.

Casto, quindi, giudicato novello impostore e perturbatore delle leggi Imperiali, fu condannato a morte.

Il boia, spinto da una barbara crudeltà, alzò la tagliente spada e recise la testa del vescovo caleno.

Era il 22 maggio 66 d. C.

Dunque, la nuova religione rimase ai margini per altri 250 anni.

Il 23 febbraio 303 d. C. l’imperatore Diocleziano emanò l’editto di Nicomedia, che stabilì il divieto per i cristiani di riunirsi, la distruzione dei loro luoghi di preghiera e dei libri sacri.

Tuttavia, a distanza di pochi anni, il clima iniziò a cambiare e maggiore tolleranza religiosa fu concessa agli adepti.

In quel periodo, nella nostra cittadina innalzarono al soglio episcopale il secondo vescovo di nome Calepodio.

Nell’anno di grazia 307 d. C. lì il vescovo fece erigere un altare in onore del suo predecessore San Casto.

Nacque così la prima basilica paleocristiana a Cales attigua alla Via Latina.

Tuttavia, l’inizio del cattolicesimo è stabilito convenzionalmente dagli storici nel 394 d.C., data della battaglia del fiume Frigido e della definitiva sconfitta del paganesimo.

La ricca diocesi di Calvi

Con il passar del tempo, altre parrocchie di piccoli borghi e centri abitati fecero parte della diocesi di Calvi.

Nell’anno mille, poi, fu costruita la Cattedrale Romanica.

Pur essendo poco estesa, la curia vescovile calena era estremamente ricca.

Basta consultare le platee dei vescovi Gaspare Ricciuli Del Fosso e Fabio Maranta.

I documenti riportano non solo le procedure amministrative del tempo ma anche possedimenti e ricchezze.

Questi inventari rappresentano strumenti fondamentali per ricostruire con precisione la storia e il patrimonio posseduto dalla Chiesa di Calvi tra il medioevo e prima età moderna.

Inoltre, la ricchezza posseduta prima dalla chiesa di Petrulo e poi da quelle di Visciano e Zuni era considerevole.

Gli amministratori dei beni parrocchiali gestivano fabbricati, terreni e somme di denaro frutto di lasciti testamentari e donazioni effettuati dagli abitanti del posto e da alcuni forestieri.

Dunque, in un contesto di estrema povertà, le comunità religiose calene possedevano proprietà e somme di danaro.

Gli abitanti di Zuni e Visciano, prima della costruzione delie loro chiese, percorrevano molta strada a piedi pur di ascoltare la parola di Dio nella Cattedrale di Calvi o nella chiesa vecchia di Petrulo.

Così, alle celebrazioni liturgiche partecipava una moltitudine di persone di qualsiasi età.

Dunque, la religione costituiva una parte fondamentale della vita di tutta la popolazione.

La processione del Corpus Domini

Nei tempi remoti si assisteva a Calvi Vecchia a due processioni importanti.

La prima, particolarmente suggestiva, era quella del Corpus Domini.

Il corteo, preceduto dalla croce della cappella del Corpo di Cristo della Cattedrale di Calvi, era composto via via dai confratelli incappucciati della suddetta cappella “vestiti di sacco e cappuccio bianco” con i ceri accesi, dalla croce del Capitolo, da altre autorità ecclesiastiche, dal Pallio, le cui aste erano sorrette dal ceto nobile locale, con il Vescovo che teneva tra le mani l’Augustissimo Sacramento nell’ostensorio a raggiera e da tutto il popolo.

Il corteo processionale, sfilando per Calvi Vecchia senza sostare in alcun luogo e cantando il Te Deum e altri salmi, rientrava nel Duomo dove, al culmine delle celebrazioni, si riponeva l’eucarestia nel tabernacolo.

La processione di San Casto

L’altra, unica ed emozionante, era legata al patrono San Casto.

Il 22 maggio partiva dalla cattedrale calena una solenne processione diretta verso l’antico Duomo, “detto dal volgo S. Casto Vecchio“.

Erano obbligati ad intervenire, non solo il Clero, ma tutte le Confraternite della Diocesi con i loro abiti.

Ogni pia associazione, disposta ordinatamente, esibiva il proprio stendardo.

Alle Confraternite, seguiva il clero delle terre e dei casali della Diocesi con le loro croci.

In ultimo procedevano i Regi Canonici con il Vescovo.

In questo rito, il Primicerio del Capitolo, circondato da diverse persone con le candele accese, portava il braccio di S. Casto sotto un Pallio (un baldacchino di tessuto prezioso).

Il lunghissimo corteo, con i fedeli, cantando salmi, e gli altri, mostrando “ostentazioni di comune allegria“, giungeva al vecchio Duomo.

La Sacra Reliquia era esposta sopra l’altare maggiore.

Il Vescovo si sedeva sull’antica cattedra episcopale sospesa su due animali, circondato dai suoi canonici e dal clero.

Intanto, il Primicerio cantava solennemente la Messa.

A seguire, si celebrava il Sinodo Diocesano.

Al termine delle funzioni, nel medesimo ordine ritornavano processionalmente alla nuova Cattedrale.

Per tutta l’ottava del Santo Patrono, si lasciava la Reliquia esposta alla venerazione dei fedeli.

La manifestazione, di origine basso medievale, contemplava la presenza di soldati e cavalieri, pifferi e tamburi, bandiere e vessilli.

In aggiunta, tra spari e suoni, si teneva il 21 e 22 maggio una grande fiera e il 23 il mitico Palio di Calvi.

In quei giorni, una folla oceanica si riversava nelle strade di Calvi Vecchia proveniente dalle città e terre limitrofe.

Il suggestivo e folkloristico rito caleno, considerato uno dei più importanti del Sud Italia, si svolse per diversi secoli.

L’arrivo dei Padri Passionisti e delle suore

L’arrivò nel 1926 dei Padri Passionisti procurò un nuovo slancio alla fede dell’intera comunità calena.

L’ordine religioso incentrò la propria spiritualità sul mistero della Passione di Gesù vista come espressione suprema dell’amore infinito di Dio per gli uomini.

I passionisti, impegnandosi alla propagazione della devozione a tale mistero, celebravano la prima messa alle cinque del mattino.

Nella chiesetta, poi, a seguire si tenevano altre funzioni sacre a cadenza regolare sui tre altari.

I contadini, prima di recarsi nei campi, ascoltavano la parola di Dio dopo aver parcheggiato i carretti davanti al convento.

I religiosi organizzavano autonomamente una propria processione del Corpus Domini.

Il corteo partiva dall’interno della struttura, proseguiva nella piazza antistante e rientrava nel cenobio.

In occasione di questa festività infioravano il percorso soprattutto con petali di rose rosse e collocavano all’esterno vasi di fiori.

Successivamente, un ulteriore contributo alla causa lo diedero le suore arrivate a Visciano, Petrulo e al convento dei passionisti.

Intanto, i parroci delle tre frazioni si impegnarono in iniziative pastorali per trasmettere la vera novità del Vangelo.

Numerose, infatti, erano le processioni che si sono succedute nel tempo:

  • Corpus Domini
  • Martedì santo con le Vie Crucis
  • Venerdì santo
  • Festa piccola dei santi protettori
  • Festa grande dei santi protettori
  • San Michele
  • Madonna Santissima del Rosario
  • Immacolata Concezione
  • Sant’Antonio
  • San Paolo della Croce
  • San Pio da Pietrelcina

Inoltre, nelle stagioni caratterizzate da scarse precipitazioni, i parroci delle tre frazioni portavano in processioni i simulacri dei rispettivi patroni.

I fedeli pregavano e cantavano salmi, inni, litanie o canti popolari religiosi per chiedere il prodigio della pioggia tanto desiderata.

Questo tipo di evento – in gergo rogazione – era una tradizione calena già dal 1800 circa.

Il declino della fede

Il declino della cristianità è iniziato alla fine del secolo scorso.

Le chiese calene, e non solo, sono sempre più vuote.

I fedeli presenti alle celebrazioni eucaristiche feriali di mattina e/o di sera variano dai 5 ai 10.

Solo in quelle festive vi è una maggiore affluenza, ma non come una volta.

Le processioni sono rimaste solamente 4:

  • Festa piccola dei santi protettori
  • Festa grande dei santi protettori
  • Corpus Domini
  • Venerdì santo

In determinate circostanze, le processioni dell’Immacolata Concezione e di San Michele sono state unificate con quelle del santo patrono.

In passato i caleni erano soliti lanciare i petali dei fiori al passaggio dei simulacri nelle strade e nei vicoli del paese.

Molti altri assiepavano le strade e le finestre per vedere transitare il santo.

Ma adesso l’indifferenza regna sovrana.

Per quanto concerne i funerali, in passato i parroci accompagnavano a piedi le spoglie dei defunti fino ai cimiteri.

L’antica consuetudine derivava dalla processione del “Santissimo Viatico” che conduceva il sacerdote ad amministrare la comunione ai malati in punto di morte.

Il corteo era composto da almeno dodici persone con i ceri accesi in mano, dal parroco che sorreggeva la pisside d’argento protetto dall’ombrellino liturgico e dal seguito di uomini e donne che cantavano salmi e recitavano preghiere.

Con il passare degli anni, i preti accompagnavano la salma fino ad un punto prestabilito lungo il percorso.

Ma dopo la pandemia, il rito del corteo a piedi è completamente sparito.

In alcune parrocchie, addirittura, non si celebra più la Messa di Riuscita, chiamata in dialetto “settimo“.

Altra nota dolente sono i festeggiamenti in onore dei santi patroni.

Questi eventi sono da preservare e salvaguardare perché si collegano ad antichi riti.

La profonda crisi

Il loro svolgimento ha un duplice significato.

Dal punto di vista religioso, esprimono la profonda devozione verso i patroni.

Dall’altro vi è un aspetto sociale che coinvolge la collettività con processioni, concerti e fuochi d’artificio.

Quindi, i festeggiamenti rappresentano un collante della comunità con il ritorno degli emigranti e la possibilità per i commercianti locali di incrementare i loro guadagni.

Ciò nonostante, i parroci stanno affossando le feste patronali.

Quest’ultimi, invece di dedicarsi esclusivamente agli aspetti liturgici, si preoccupano di definire le date e i programmi degli eventi.

Sarebbe auspicabile che si occupassero più dei novenari che di brevi tridui.

Dunque, il cristianesimo sta attraversando una crisi profonda dovuta:

  • allo spopolamento a causa di una grave denatalità
  • alla mancanza di vocazioni
  • al disinteresse dei giovani
  • agli scandali e agli abusi nel clero

Altro fattore chiave dietro questa tendenza è la crescente diffusione dei principi della laicità nelle società occidentali.

L’incremento del tasso di istruzione associato alla divulgazione scientifica ha contribuito a mettere in discussione le narrazioni religiose tradizionali.

Inoltre, la maggiore diffusione di informazioni attraverso i moderni canali di comunicazione espone i credenti a idee e pensieri alternativi.

Oggi, dopo più di 1600 anni, le persone non credono più nella professione di fede e nella sua buona novella.

Secondo molti osservatori, è del tutto ragionevole pensare che la fine della fede è imminente.

Solamente il ritorno all’essenza della sua missione potrà salvarla.

Attualmente le celebrazioni liturgiche sono caratterizzate da omelie ripetitive fino alla noia.

In passato, invece, la predica in volgare focalizzava l’attenzione dei fedeli durante le funzioni religiose in latino.

Ebbene, bisogna affidarsi all’abilità dell’oratore per veicolare un messaggio rivoluzionario verso i giovani.

In conclusione, concedetemi un’ultima considerazione.

Vedere i nostri santi portati in processione su anonimi carrellini suscita un profondo sconforto.

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