La Grotta dei Sette Venti
Calvi Risorta, collocata ai margini dell’area vulcanica di Roccamonfina, è interessata da un banco tufaceo della qualità “tufo grigio campano”.
Lo strato di materiale si estende fino a Capua e Caserta e poi nel beneventano e nell’avellinese.
La caratteristica di questa pietra calcarea è il colore bruno con determinante rosa, spesso dai toni violacei.
Il materiale si esprime in notevoli esempi di architettura, conferendo loro particolare imponenza e austerità.
Dal punto di vista meccanico, la qualità è caratterizzata da una notevole durezza che lo rende adatto ad essere lavorato.
Così, i primitivi operai iniziarono l’estrazione del materiale da costruzione mediante la realizzazione di cavità sotterranee.
Tra le tante presenti a Calvi, la Grotta dei Sette Venti si segnala per la sua enorme vastità e per l’articolazione labirintica.
In prossimità dell’entrata, è stata rinvenuta un’incisione su tufo raffigurante la piantina delle gallerie scavate.
La grande spelonca è collocata alla sinistra orografica del rio Cifoni tra la grotta di Serola e quella dei Santi.
La denominazione dell’incavo potrebbe riguardare le numerose diramazioni che essa presenta attraverso il richiamo leggendario dei venti da ogni direzione.
Ciò ha sempre esercitato un notevole fascino nella cultura popolare locale.
Nel corso dei secoli, la Grotta dei Sette Venti ha rappresentato una fonte inesauribile di ispirazione per storie misteriose e credenze magiche.
Si narra che alcune persone smarrite nelle viscere della terra invocavano l’aiuto degli dei.
Se fossero usciti vivi da quei labirinti, avrebbero promesso in segno di riconoscenza di omaggiarli con preziosi cimeli.
Infatti, si diceva che tempo addietro era stata rinvenuta nella caverna una scrofa con sette porcellini d’oro.
Ma di questo presunto tesoro si è persa ogni traccia.
La narrazione dell’abate Mattia Zona nel 1797
“Anzi se la congettura non ci fa travedere, portico suppor si dee qui luogo sotterraneo, il quale è situato nella parte destra del Rio, venendo da Forma e propriamente sotto le cosce del Ponte di Calvi, dove si entra carpone per un buco.
Ci vien riferito da alcuni nostri compatriotti, i quali negli anni passati ebbero la curiosità di camminarlo in parte, non senza qualche timore, e pericolo, che passato questo buco, s’intromisero in una camera non molto grande, fatta a volta di pietra piperno, ed appresso a questa ne veniva un’altra molto grande, che faceva una veduta sorprendente, e che aveva diverse uscite, e tutto queste uscite avevano di seguito altre camere, che di passo in passo si stendevano per diversi luoghi; ma per quanto da loro si poté congetturare camminarono sotterra ben due miglia italiane di spazio, e se non eran guidati nell’uscirne dai fili di alcune matasse di spago, che avevan sull’entrare situati per loro regola, sarebbero senzameno periti.
Tutti lo stimarono un Labirinto, ma noi siam di sentimento, soliti a fabbricarsi d’avanti a Tempj, a Teatri, a Bagni, e separatamente per comodo di starvi al coperto, e di passeggiarvi per ricreazione, sebbene neppur ci dispiaccia di prender questi luoghi sotterranei per Arenarie, da cui si estrae l’arena per fabbricare, o per vie, delle quali servivansi gli antichi per abbreviare il cammino, riferendo Strabone Lib. 5 essere stato costume degli antichi popoli della Campania, “ut per fossas via ducerentur”, affin di evitare un più lungo viaggio, siccome erano quelli, i quali con gran difficoltà ed incomodo far si dovevano tra le Città convicine per sopra le montagne, e per mezzo le valli.” (1)
In epoca più recente, la prima esplorazione del “buco” fu fatta dagli studiosi del CAI di Napoli nel 1975.
L’esplorazione del CAI
Segnalata dal sig. Mariano Caricchia in un clima paesano di mistero e superstizione ed esplorata l’8 giugno 1975 dal gruppo, si è rilevata una interessante e grandiosa grotta artificiale.
Scavata nel tufo grigio tenero, ignimbrite del periodo più recente del vulcano di Roccamonfina, riempie valli e vallecole nella zona di Sessa Aurunca.
Questo materiale vulcanico poggia lateralmente contro i rilievi calcarei del Monte Maggiore.
Sono presenti nel tufo in grande quantità pomici e scorie di frammenti carbonatici metamorfosati.
Esplorata ed accatastata dal gruppo soltanto per 113 metri, merita in avvenire una serie di uscite per il completamento dell’esplorazione.
L’attuale ingresso, posto sulla sponda sinistra orografica del torrente, certamente secondario, è seminterrato quasi interamente da un cono detritico.
I cunicoli, larghi 2,30 ed alti 2, sono stati scavati in rettangoli laterali di 20 metri per 15 ad andamento nord-sud.
Degni di rilievo sono un grosso cuneo scolpito all’ingresso e tre nicchie a triangolo, a circa 20 metri dall’imboccatura, poste a diverse altezze, simili a quelle praticate nelle grotte – ricovero per animali lungo la via Flaminia.
Nella parte sud del grosso complesso, là dove si notano grossi massi di calcare per precipitati dalle faglie della parte rocciosa a margine del banco di tufo, la cavità diventa immensa e si sviluppa in modo disordinato.
Perché e da chi è stata scavata questa grotta? (2)
La cava di materiale
Il CAI elencò tutte le opere artificiali praticate nel tempo e destinate a vari usi per un’eventuale “diagnosi differenziale”.
Tra loro, alcune furono scavate in epoca antichissima nel periodo della civiltà appenninica di natura pastorale.
Altre si presentavano come ampie cave di materiale in galleria nel Lazio e nel nord della Campania.
Dunque, per gli speleologi del CAI, il complesso ipogeo di Calvi appartiene a quest’ultima categoria.
La prima rete di cunicoli, con il materiale cavato ancora imposto, serviva per la ricerca di buoni strati di tufo.
La seconda parte, quella più grande ed interna, serviva da cava vera e propria.
Rimangono due grossi misteri!
Da questi “cuniculis e fossum”, come chiamava Plinio le gallerie delle cave, non si poteva trasportare il materiale.
Secondo gli studiosi partenopei, dovevano essere dei pozzi, oggi parzialmente interrati, per il trasporto in verticale del tufo.
A conferma di ciò, ci sarebbe la grande circolazione d’aria che ha dato il nome dei Sette Venti.
Altro mistero è in quale periodo classico è stata utilizzata la cava.
La risposta potrebbe arrivare dal toponimo.
Nella tradizione greca antica, il vento era personificato da uno o più dei o come manifestazione del soprannaturale.
I venti, in base alla direzione, erano:
l’Apeliote, il Borea, l’Arktia, lo Zefiro, il Lips; il Noto e infine Euro. (3)
Questi sette, senza il vento di levante, avevano ciascuno il dominio in una data stagione.
Personalmente, quindi, ritengo che la cava sia di chiara origine etrusca.
Ma non è da escludere un suo riutilizzo anche in epoche successive.
Le esplorazioni del gruppo ArcheCales
Nel 1977, il gruppo ArcheoCales, formato da Carla Carletti, Pasquale De Stefano, Mario Di Girolamo, Franco Izzo, Raffaele Izzo, Alfredo, Claudio e Gaetano Maciariello, Nicolina Migliozzi e Giovanni Ventriglia, esplorò due volte in successione una superficie di almeno 30.000 mq della grotta.
Il giovane studente in architettura Alfredo Maciariello redasse lo schizzo planimetrico dei rami percorsi o in parte crollati.
La cavità negli anni ottanta risultava ancora accessibile sia pure con notevole difficoltà data l’ostruzione causata dalla presenza di notevoli depositi alluvionali che si inoltrano nei dedali della formazione per almeno trenta metri dall’imbocco.
Oggi l’ingresso è completamente ostruito per gli effetti di un’ulteriore frana.
Invece, i rami prospicenti al corso del rio Cifoni sono stati certamente percorsi e riempiti dall’acqua del rivolo.
Infatti, in essi oltre alla presenza di materiali alluvionali trasportati dal torrente, sulle pareti residuano copiose tracce di calcare sciolto nell’acqua ed evidenti arrotondamenti degli spigoli.
L’articolazione planimetrica complessiva della grotta è di tipo labirintico con bracci generalmente perpendicolari tra loro.
Il tortuoso assetto, le diramazioni molto ravvicinate e la sezione trapezoidale hanno prodotto in questa grotta l’effetto di creare nel sottosuolo grandi spazi sostenuti da parallelepipedi di risparmio configurati a forma di tronco di piramide rovesciata. (4)
L’interno della grotta
La sezione è quasi sempre di tipo trapezoidale con la parte superiore tendente al quadrato e le pareti laterali che divergono verso la base.
Essa raggiunge altezze considerevoli, dai 6 agli 8 metri.
Viceversa, la larghezza di base non supera i 3,5 – 6 metri, tranne che nei punti di convergenza di più gallerie.
Invece, pochissimi rami della grotta mostrano una sezione con un arco a tutto sesto.
In determinati punti, poi, osservarono che i cunicoli s’incontravano sullo stesso asse con strati di scavo provenienti da direzione opposta.
La congiunzione dei due tratti avveniva con un piccolo scostamento planimetrico, mentre quello altimetrico risultava spesso molto più marcato.
Il materiale, dopo l’estrazione, doveva essere condotto in superficie nel modo più agevole.
A differenza degli esploratori del CAI, i caleni ipotizzarono l’esistenza di una strada per risalire il letto del fiume e intercettare una delle vie di accesso al luogo di utilizzazione.
Dalle osservazioni delle ortofoto e dei rilievi aerofotogrammetrici, notarono due percorsi di ascesa sulla destra orografica del torrente che potrebbero aver avuto tale finalità.
Inoltre, in corrispondenza dell’area occupata dalle Grotte dei Sette Venti, rinvennero in superficie i segni di attività di cava. (4)
Le lunette triangolari
Nella Grotta dei Sette Venti, gli studiosi caleni rinvennero una discreta quantità di piccoli incavi.
Le nicchiette, a forma di piramide triangolare nelle pareti e dalle dimensioni poco più grandi di un foglio A4, presentano molto spesso delle scanalature ai bordi con forme fantasiose ed enigmatiche:
- solchetti perimetrali;
- buchi in corrispondenza dei vertici;
- palmette che dipartono dai vertici;
- brevi incisioni perpendicolari alla base;
- associazioni di nicchie in serie di più elementi disposte in ordine orizzontale o, più spesso, in ordine verticale.
Il gruppo escluse subito l’utilizzazione di tali incavi nella parete come fori d’andito o alloggiamento di meccanismi di scavo.
Queste cavità triangolari o in alcuni casi trapezoidali servivano con ogni probabilità all’appoggio di lucerne.
Tuttavia, non è dato sapere se siano state incise al momento dell’escavazione della cava oppure in un momento successivo.
I simboli più utilizzati erano:
- tre palmette con gambo e tre rametti per lato che si dipartono dai vertici del triangolo;
- due palmette poste entrambe sul vertice in alto.
In alcuni casi, la palmetta era raffigurata ai lati della nicchia triangolare senza essere collegata ai vertici.
Una prima ipotesi sul significato della palmetta portò a considerarla come un segnaposto per l’apertura di un nuovo braccio della cava.
Successivamente, avendo riscontrato la loro presenza in prossimità della Grotta dei Santi e nella Grotta delle Fornelle, entrambe di breve sviluppo planimetrico e prive di successive diramazioni, hanno fatto propendere per una interpretazione puramente simbolica di probabile origine cristiana.
Nella Grotta dei Setti Venti si rinvengono anche altri tipi di grafismi:
- il triangolo contornato di solchi lungo il perimetro o perpendicolari al lato di base;
- fori di picconata posti in corrispondenza dei vertici del triangolo incassato o tutti insieme traslati alcuni centimetri più in alto.
A queste tracce misteriose, si dovrà dare una spiegazione in futuro.
La ribalta nazionale a Superflash
Ma l’occasione di far conoscere a tutta Italia la Grotta dei Sette Venti avvenne verso la metà degli anni ’80.
Superflash era un gioco televisivo a premi, trasmesso da Canale 5 in prima serata.
Il programma andò avanti per 3 edizioni, dal 23 dicembre 1982 al 13 giugno 1985.
Il conduttore della trasmissione era Mike Bongiorno, passato dalla RAI al gruppo Fininvest guidato da Silvio Berlusconi.
Il patron avvertì la necessità di un grande quiz in prima serata, un “Flash” riveduto e corretto.
Il programma si rivelò un successo di straordinaria portata, totalizzando una media di 13 milioni di telespettatori a puntata.
Intanto, a Calvi il circolo culturale “Il Camino” era presieduto dal compianto Dott. Giovanni D’Elia.
Il dinamico viscianese decise di voler partecipare al programma televisivo e di far conoscere la Grotta dei Sette Venti.
Ma prima di prendere parte alla trasmissione, effettuò due provini a Napoli e Roma.
Nell’occasione, gli autori, oltre alla storia, lo esortarono a preparare uno schizzo planimetrico della grotta.
La richiesta indusse il D’elia e il suo gruppo ad effettuare un sopralluogo sul posto.
Un anziano, abitante in una masseria semi-diroccata posta sopra alla cava, indicò l’entrata dell’anfratto.
I giovani pulirono l’area da rovi e verde incolto.
Alcuni giorni dopo, collocarono in una piazzola un gruppo elettrogeno di 18kw della ditta di Guido Marrapese.
Una volta stesi i cavi elettrici per 500 o 600 metri, entrarono nella grotta illuminata a giorno.
Mentre il presidente redigeva la planimetria, i presenti rimasero stupidi nel vedere due ampi spazi al suo interno.
In seguito, Giovanni D’Elia e l’amico Gaetano Capuano partirono alla volta di Milano.
Nell’ultima delle due serate in hotel, avvenne un episodio curioso.
Gaetano Capuano ostacolò in tutti i modi il ritorno nella stanza d’albergo dell’altro concorrente Salvatore Ritorto per continuare a studiare.
Lo show di Giovanni D’Elia
La ventiseiesima puntata del gioco a premi andò in onda giovedì 29 marzo 1984 dallo Studio 5 di Cologno Monzese.
La gara vera e propria vide in lizza:
- l’allora campione, Salvatore Ritorto, esperto di Leonardo da Vinci;
- il bancario caleno Giovanni D’Elia con domande su Giacomo Leopardi;
- il palermitano Filippo Marciante, conoscitore delle imprese sportive di Gilles Villeneuve.
Il sondaggio proposto dall’Abacus prevedeva le seguenti tre domande:
- “Avete problemi di capelli”?
- “Per quale pilota di Formula 1 farete il tifo quest’anno”?
- “In caso di morte sareste disposti a donare un organo vitale”?
Gli ospiti della trasmissione furono:
- LeVar Burton, popolare attore di colore protagonista dello sceneggiato Radici;
- il cantante Little Tony con revival di canzoni degli anni Sessanta.
Giovanni illustrò la storia e la cartina della Grotta dei Sette Venti al pubblico presente e ai telespettatori a casa.
Mike Bongiorno rimase letteralmente sbalordito.
La puntata fu poi vinta dal ventiquattrenne romano Salvatore Ritorto, originario di Asmara.
Il 28 dicembre 2018, chiesi a Giovanni di farmi avere una copia della mappa.
Mi assicurò che dopo qualche giorno avrebbe esaudito il mio desiderio.
Ma credo che non l’abbia più trovata.
Dopo la sua morte avvenuta il 24 giugno 2019, anche i figli non sono riusciti a rintracciare il documento.
Malgrado ciò, non mi sono perso d’animo.
Ho scannerizzato ad alta risoluzione la foto mostrata in precedenza con tutte le profondità.
Ed ecco recuperata la sua bellissima cartina, seppur di scarsa qualità.
Dunque, come evidenziato all’inizio di questa “ricerca”, Calvi è piena di anfratti.
Ma, una su tutte, è totalmente sconosciuta.
L’abate Mattia Zona affermò:
“Così ancora pensar si dee di quell’altra Via sotterranea, che per Palombara tira verso Teano.” (1)
Bibliografia:
1) Mattia Zona, L’antica Calvi o sia memorie istoriche intorno all’antichissima Città di Calvi, Napoli 1797
2) Alfonso Piciocchi, La grotta dei sette venti a Calvi Risorta, Notiziario CAI Napoli 1975, n. 4
3) Michele Losacco, Introduzione alla storia della filosofia greca e appendice di testi tradotti, Laterza 1929, 236 pagine
4) CALES, Dalla Cittadella medievale alla città antica. Recenti scavi e nuove acquisizioni, 2009
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