La mancata rappresaglia
Alle 18:30 dell’8 settembre 1943 il generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane, annunciò dai microfoni di Radio Algeri la resa incondizionata dell’Italia fascista.
I tedeschi, che fino a poche ore prima erano i nostri alleati, i nostri più fidati compagni d’armi, si trasformarono improvvisamente in nemici da combattere ed abbattere.
In conseguenza di ciò, il comando nazifascista, fermamente deciso a stroncare la resistenza, intimò violente ritorsioni nei confronti dei “comunisti badogliani” che sabotavano le loro operazioni militari.
Nello specifico, la regola di uccidere dieci italiani per ogni tedesco divenne una consuetudine praeter legem poiché nessuna delle ordinanze emesse dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo di tutte le forze germaniche nel Mediterraneo, aveva mai previsto misure di rappresaglia su tutto il territorio italiano e tanto meno nella proporzione di 1 a 10.
In Campania, con l’avanzare da sud delle armate alleate, a metà settembre, le truppe di Hitler entrarono e occuparono militarmente il territorio della città di Calvi Risorta.
Nei primi giorni di ottobre del 1943, a Zuni, i tedeschi, per vendicare l’uccisione di due soldati di pattuglia avvenuta la notte precedente sul territorio caleno, rastrellarono di buon mattino venti uomini inermi presenti in zona tra i quali Mattia Zona, Girolamo Suglia, Antonio Piscicelli e Giovanni De Micco.
La fuga di De Micco
I soldati teutonici, imbracciando i loro mitra Schmeisser, radunarono i malcapitati nella piazza e li condussero in fila indiana e con la paura negli occhi verso via Cesarelle (da cesa che in dialetto indicava l’appezzamento di terreno coltivato per uso domestico), l’attuale via Laurenza.
In fondo alla strada, sul lato sinistro, vi era una masseria di proprietà dei coniugi Tommaso Santillo e Filomena Zanna.
La famiglia zunese aveva otto figli, tre maschi e cinque femmine.
In quel periodo, la casa era abitata solo dalla signora Filomena e dal figlio Nicola di anni 12.
Il marito Tommaso e il primogenito maschio, per sfuggire alla deportazione, si erano dati alla macchia nascondendosi in una grotta ricoperta da rovi e sterpaglie ricavata sotto un argine che costeggiava la strada di accesso allo stabile.
I restanti componenti della famiglia, le cinque bellissime figlie e l’ultimogenito Antonio, si erano trasferiti nell’abitazione della nonna materna Teresa Di Lettera situata in via Riello sempre a Zuni.
Arrivati tutti in prossimità della masseria, il De Micco, conosciuto in paese come “Giuanni u tabbaccaro”, riuscì a fuggire nei campi per sottrarsi alla rappresaglia, nonostante le raffiche di mitra sparate all’impazzata dai crucchi.
Gli sventurati furono rinchiusi a chiave in uno stanzone al primo piano del fabbricato dei Santillo, il cui accesso dal balcone era sorvegliato e controllato da due soldati tedeschi.
Altri si aggiravano nello spazio antistante la casa e nei terreni circostanti.
La liberazione dei malcapitati
Verso mezzogiorno, altri due combattenti della Wehrmacht, entrando nella cucina del medesimo edificio, chiesero alla proprietaria, prima nella loro lingua incomprensibile e poi a gesti, di farsi cucinare dei polli.
Così, la padrona di casa e il figlio Nicola sgozzarono, spennarono e pulirono due polli ruspanti.
Per la cottura, i crucchi diedero indicazioni precise: bollitura in una grossa pentola piena d’acqua e, in un secondo momento, friggitura nell’olio fino a farli abbrustolire.
Alla fine, presero il fagotto ed andarono via.
Nel primo pomeriggio, i prigionieri, spinti dai nazisti con il calcio dei fucili, si incamminarono in direzione di Monte Coricuzzo per essere fucilati in una delle tante grotte presenti nella zona.
La signora Filomena piangeva a dirotto e si dimenava con tutte le sue forze supplicando invano i tedeschi di risparmiare la vita a quei poveretti.
In serata, inaspettatamente, tutti e 19 fecero ritorno sani e salvi alle loro abitazioni perché i due soldati uccisi erano italiani, e non crucchi, con addosso le divise militari germaniche.
Il mattino seguente, alcuni di loro, girovagando per la piazza di Zuni, espressero giudizi durissimi sugli occupanti definendo i nazisti “sti fetient e m…. “.
L’incredibile storia a lieto fine che vi ho raccontato è il frutto della testimonianza oculare di Nicola Santillo, orchestrale in pensione della banda musicale della Polizia di Stato, che, nel descriverla con dovizia di particolari, non ha nascosto a 72 anni di distanza dall’evento una forte emozione ritrovandosi con gli occhi lucidi e il cuore in gola.
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