La miracolosa guarigione di Raffaele Perrotta
Raffaele Perrotta nacque il 5 novembre 1928 a Calvi Risorta da Pasquale Francesco, originario di Giano Vetusto, e Carmela Izzo di Petrulo.
Era il terzo e ultimogenito della famiglia composta dai genitori e dai fratelli Maria (1920) e Francesco (1922).
Terminate le scuole elementari con l’insegnante Maria Zarrillo, nel 1940 iniziò a frequentare il ginnasio nel convitto San Tommaso d’Aquino di Piedimonte d’Alife (l’attuale Piedimonte Matese).
Domenica 2 febbraio 1941, durante la celebrazione della santa messa, si sentì male nella cappella del convitto.
Fu portato nel dormitorio per farlo riposare.
In un primo momento si pensò che si trattasse di disturbi intestinali o indigestione perché aveva il volto pallido e vomitava.
Il personale del convitto interpellò il dottor Giovan Giuseppe d’Amore, sanitario dell’ospedale civile, che si presentò nel tardo pomeriggio.
Il medico, nell’osservare attentamente il paziente, constatò che, ogni qualvolta gli tastava la nuca, il ragazzo si lamentava per il forte dolore.
Il d’Amore ebbe il sospetto che si trattasse di meningite.
Al termine della visita, con espressione seria e preoccupata, suggerì di applicargli subito del ghiaccio sulla testa, di toglierlo all’istante dalla camerata e di isolarlo in infermeria.
Al rettore del convitto, invece, raccomandò di far accompagnare il paziente a casa.
Nelle prime ore del mattino seguente (3 febbraio), con un’auto di Alife, lo trasportarono a Petrulo in via Nicandro Zitiello n. 22, dove abitava la famiglia.
Immediatamente i dottori Giovanni Marrocco di Visciano e Pasquale Di Benedetto di Sparanise lo presero in cura.
I due medici caleni confermarono la diagnosi fatta dal collega matesino.
Si trattava di “meningo-encefalite con manifestazione petecchiale all’addome“.
Il malato non dava alcun segno di coscienza, dibatteva la testa ed emetteva suoni disarticolati.
La diagnosi di meningite cerebro-spinale
Per la conferma della diagnosi si ritenne opportuno praticare la puntura lombare.
Tuttavia, la famiglia, prima che fosse eseguita, espresse la volontà di consultare il professor Alfonso Pirera.
Il luminare napoletano arrivò nel pomeriggio del 7 febbraio a Petrulo.
Dopo aver visitato il Perrotta, le cui condizioni si erano progressivamente aggravate, confermò la diagnosi dei due medici caleni e del dott. d’Amore.
Inoltre, prelevò un campione di liquor introducendo un ago tra gli spazi intravertebrali ed esercitando una forte pressione direttamente nella zona della puntura.
Il fluido corporeo, dall’aspetto torbido e corpuscolato, lo portò con se a Napoli.
Prima di partire, il dottor Pirera disse al collega di Sparanise:
“Caro Di Benedetto io non arriverò a Napoli, che l’ammalato se ne sarà andato“.
L’esame del liquido cefalorachidiano confermò la diagnosi di “meningite cerebro-spinale” con una sintomatologia più accentuata dei giorni precedenti:
febbre alta, segni del Kernig e del Brudzinski, tremore, rigidità pupillare con anisocoria, agitazione e delirio.
Il parroco di Petrulo, don Giovanni Zumbolo, considerando lo stato del paziente, pensò di ricorrere all’intercessione del professor Giuseppe Moscati, di cui conservava delle immagini sacre con preghiere.
Tramite la signorina Margherita Martino, fece recapitare l’iconografia devozionale del beato al capezzale dell’infermo con la raccomandazione di pregare con fede.
Inoltre, il curato chiese ai fedeli presenti in chiesa di supplicare il Moscati al fine di ottenere la guarigione prodigiosa del Perrotta.
La mamma del malato pose il santino sotto il guanciale promettendo solamente di far conoscere il miracolo se si fosse avverato.
Le condizioni disperate del caleno
Il giovane caleno era in condizioni disperate tanto che familiari avevano già preparato l’abito bianco per la sepoltura.
Per giunta, lo stesso professor Pirera disse all’insegnante Mario Canzano, avendolo accompagnato a Napoli per conoscere l’esito dell’esame del liquido cerebrospinale, che difficilmente lo avrebbe trovato ancora in vita al suo ritorno.
A tarda sera dello stesso giorno 7, le condizioni del giovanotto, che fino a poche ore prima erano senza speranza, anche a detta dell’illustre clinico napoletano, migliorarono repentinamente: riprese conoscenza, iniziò a parlare e si sentì così bene da dormire tutta la notte.
Ricordò la mamma:
“Passate alcune ore dopo la partenza del prof. Pirera, il ragazzo ha avuto coscienza: ci riconobbe tutti.
La notte ha dormito: la mattina dopo era sollevato tanto che i medici Di Benedetto e Marrocco dissero che non aveva bisogno di cura.
Fecero una puntura alla spina dorsale e dissero che non vi era più la malattia nel liquido.
Nello stesso giorno il ragazzo incominciò a mangiare perché fino allora non aveva preso niente.
Andò rapidamente rimettendosi nello stato completo di forze.
Mangiava pasta, brodo, tutto.” (1)
Come riferito da diverse fonti, i medici rieseguirono un’altra rachicentesi che confermò la positiva evoluzione della malattia
“essendo il liquor estratto limpido come l’acqua di roccia.”
Il miracolo di San Giuseppe Moscati
In una relazione del 10 maggio 1951 i dottori Marrocco e Di Benedetto scrissero:
“Al mattino seguente (8 febbraio) di buon ora tornai dall’infermo: temperatura 37°, l’infermo rispondeva benissimo alle mie domande e non dava nessun segno di gravità del suo male:
ripetetti la puntura lombare la quale risultò perfettamente negativa: liquor limpido, pressione normale, l’infermo non ebbe più bisogno del mio ausilio né di quello del dottore curante Marrocco il quale fu anche presente all’ultima puntura.
A parte discussioni cliniche del caso, due sono i dati incontrovertibili: la gravità della sindrome che faceva prevedere prossima la fine del giovane e la repentina, immediata e completa risoluzione della malattia.
Il giovane gode tuttora ottima salute.” (1)
Raffaele Perrotta guarì istantaneamente da meningite cerebrospinale meningococcica tra il 7 e l’8 febbraio 1941 per l’intercessione di San Giuseppe Moscati.
Questo primo miracolo del “medico dei poveri” fu riconosciuto dalla chiesa cattolica, anche se la Congregazione per le Cause dei Santi lo esaminò per secondo.
Da allora visse una vita del tutto normale senza alcun disturbo riferibile alla malattia.
Inoltre, il punto sanitario del distretto militare di Caserta lo dichiarò idoneo a svolgere il servizio militare in qualità di soldato di leva, classe 1929.
Rinviato alla chiamata alle armi il 2 febbraio 1951 perché “studente universitario“, il 6 giugno 1952 fu dispensato dal compiere la ferma di leva e collocato in congedo illimitato.
Ultimato il liceo classico dai Salesiani a Caserta, Raffaele continuò gli studi laureandosi in giurisprudenza nel 1953 all’università “Federico II” di Napoli.
Intraprese, poi, nel suo paese natale la professione di insegnante.
La beatificazione e la canonizzazione di Giuseppe Moscati
Si sposò l’11 giugno 1955 con Teresa Zacchia, dalla quale ebbe sei figli: Maria Carmela, Pasquale, Enza, Mariarosaria, Francesco ed Ernesto.
Con tutta la sua famiglia, partecipò il 16 novembre 1975 al rito di beatificazione del venerabile servo di Dio Giuseppe Moscati celebrato in Piazza S. Pietro dal pontefice Paolo VI e alla solenne cerimonia di canonizzazione di San Giuseppe Moscati presieduta il 25 ottobre 1987 da Papa Giovanni Paolo II sempre a S. Pietro.
Raffaele Perrotta si è spento nella grazia del Signore a Calvi Risorta il 16 settembre 2015.
Le esequie si sono svolte il giorno seguente nella parrocchia di San Nicandro a Petrulo.
Alla celebrazione liturgica, officiata dal parroco Don Vittorio Monaco, parteciparono decine di sacerdoti diocesani e i Padri Passionisti della Casa Apostolica calena.
Sulla lapide della sua tomba nel vecchio cimitero è riportato il seguente epitaffio:
“Ai nostri figli:
…desideriamo che il vostro ricordo per noi sia che vi amiate gli uni gli altri come Dio ama ciascuno di noi.”
Bibliografia:
1) Sacra Congregatio Pro Causis Sanctorum, Neapolitana. Beatificationis et canonizationis servi Dei Iosephi Moscati, viri laici: positio super virtutibus, Roma 1972
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