La peste del 1656
Correva l’anno 1656 quando una terribile pestilenza colpì molte regioni d’Italia e, in particolare, il Regno di Napoli, decimandone la popolazione.
Secondo i testimoni di quel periodo, furono alcuni soldati spagnoli provenienti dalla Sardegna a portare il morbo nella città partenopea nei primi giorni di gennaio.
L’epidemia si propagò con fulminea rapidità per le pessime condizioni igieniche e per lo stato di estrema povertà e privazione in cui il popolo si trovava.
Inizialmente, una relazione medica descriveva con queste efficaci parole i sintomi clinici della malattia:
“Il male contagioso d’hoggi ha cominciato, e comincia per il più con febre ardentissima, dolor di testa acutissimo, vomito bilioso, e atrabiliare, sonnolenza, e tal volta con diarrhea, e con urine torbide, oscure, e quasi nigriganti; e se li detti accedenti non sono comparsi il primo giorno, nel 2° non hanno mancato; oltre che nel secondo ben spesso é sopravenuto anco il delirio. Il bubone, e carbone a molti sono comparsi primo febris insultu … Ad altri sono venuti nel 2°, 3° e 4° giorno …”
Per quanto concerne le ripercussioni del contagio sulla cittadina di Calvi, può essere utile rileggere le due “Visite ad limina” del Vescovo Francesco Maria Falcucci (1650-1661) del 1654 e del 1659.
Nella prima di queste, inviata a Roma il 13 giugno 1654, l’alto prelato rivelò che Calvi (Vecchia ndr), situata in un luogo pianeggiante e nella provincia di Terra di Lavoro tra la pianura campana e Teano, era diventata un luogo abbandonato e disabitato per l’aria cattiva che si respirava (a causa della macerazione della canapa nel rio Lanzi).
Il lento degrado di Calvi
Attorno vi erano solo alcune case dirute e due taverne appartenenti alla Mensa Episcopale.
“Urbs ipsa Calvensis in plano et provincia Terre Laboris inter Campanam et Tianensem civitatem est posita cuius presents status eo devenit ut deplorabilis magis quam enarrabilis esse videatur, cum ob aeris intemperiem deserta, ac penitus inhabitata remanserit, nil aliud, nisi paucae dirutae domus sunt, extant tatem duae cauponae, quarum est Mensae episcopalis.“ (1)
Il lento degrado di Calvi era iniziato nel periodo 1459 – 1460 all’epoca della prima congiura dei baroni durante la guerra tra Marino Marzano, duca di Sessa, e Ferrante I d’Aragona, quando la cittadina calena fu assaltata e parzialmente distrutta da entrambi i contendenti.
Il declino si acuì il 4 gennaio 1648, a ridosso della pestilenza, allorché le truppe di Ottavio del Pezzo presero, saccheggiarono e incendiarono Calvi per domare le insurrezioni dei popolani partigiani seguaci di Masaniello.
Nella sua relazione il prelato aggiunse che gli abitanti della diruta città si erano trasferiti a due miglia di distanza in linea retta, cioè nelle contrade di Petrulo, Visciano e Zuni, chiamate volgarmente “Masserie”.
La comunità cristiana locale riceveva settimanalmente i sacramenti dagli stessi canonici della Cattedrale.
Nel 1654 Calvi contava 150 anime da comunione (bambini e ragazzi dai 7 ai 15 anni) e 385 in totale.
“Dirutae Civitatis cives ea prorsus derelicta, diversas petierunt domos, duo circiter milliaria ad urbe distantes que vulgariter dicuntur Masserie, quibus omnibus ab eisdem Cathedralis Ecclesie canonicis qui per hebdomadam deserviunt sacramenta administrantur.
In ruinis predictae Civitatis sunt animarum de communione 150, in totum 385.“(1)
La popolazione calena
Per avere una nozione approssimativa di quale fosse la popolazione delle singole frazioni di Calvi al 1654, ho applicato l’indice di sviluppo fra il 1654 ed il 1789 a tutte le “masserie”:
Frazione |
da Comunione |
Totale |
Calvi Vecchia |
3 |
7 |
Petrulo |
72 |
186 |
Visciano |
42 |
107 |
Zuni |
33 |
85 |
Nella relazione ad limina del 1659, il Vescovo Falcucci asserì che Calvi rimase desolata come prima.
In essa vi erano soltanto la Cattedrale, il Castello dell’Università e una taverna o locanda.
La contagiosa malattia diede adito all’ipotesi che la Diocesi potesse rimanere spopolata perché il morbo provocò la morte di quasi 1500 persone.
All’inizio della peste, quando cominciò a farsi sentire la violenza della pestilenza, il Vescovo visitò la Diocesi e stabilì che, in ciascuno dei casali, i cadaveri fossero tumulati nei cimiteri e nei sepolcri per non privarli della sepoltura ecclesiastica, raccomandando ai Parroci di adempiere con diligenza e pietà al proprio dovere, cosa che fu eseguita.
“Refero igitur Civitatem Calvi ut prius desolatam persistere, cum in ea preter Ecclesiam cathedralem, non nisi Universitatis castrum, ac hospitium sive diversorium existere.
Diocesim ob contagiosam luem populo destituam remansuram fuisse veritum fuit, dum morbus vita pene mille quingentumque orbavit personas.
Initio pestis Diocesim visitati, que cum vim morbi sentire cepisset, ne cadavera ecclesiae sepoltura privarentur, in unoquoque casalium statui, juxta eorum dispositionem, et capacitatem, quo ea cemeterijs ac sepulchris respective tumularent, stricte mandans parochis ut quisque suum diligenter, pieque impenderet officium, veluti exequtum fuit.” (2)
Nella Diocesi calena 4 parroci morirono e altri 5 sconfissero la peste.
La virulenza del morbo
Con il diffondersi del contagio nei casali, il Vescovo si prodigò, con l’aiuto di altri sacerdoti, per soccorrere materialmente e spiritualmente le persone colpite dal terribile morbo, compresi i viandanti che attraversavano la via Appia e la via Latina.
Quando poi la pandemia esplose con disumana violenza, il Falcucci effettuò un’altra visita pastorale per constatare da vicino le gravi sofferenze patite dalla maggior parte delle persone.
Dunque, la Diocesi di Calvi, che nel 1654 contava circa 3300 residenti, nel 1656 perse a causa della peste il 45% dei suoi abitanti attestandosi su 1800 unità.
La cittadina calena si ritrovò con una popolazione decimata (83 fanciulli da comunione e 212 in totale).
Frazione |
da Comunione |
Totale |
Calvi Vecchia |
2 |
4 |
Petrulo |
40 |
102 |
Visciano |
23 |
59 |
Zuni |
18 |
47 |
Il consistente calo demografico fu confermato dalle rilevazioni statistiche eseguite ai fini fiscali (numerazione focatica).
Nel 1648 la città di Calvi, con i suoi casali o ville di Petrulo, Zuni, Martini di Visciano, Visciano e Sparanise, contava 151 nuclei familiari (circa 600 abitanti) che si restrinsero a 101 (400) nel 1669 con un decremento di un terzo dei fuochi.
Nell’autunno del 1656, l’epidemia, dopo aver imperversato per sei lunghi mesi, lasciò la stremata città di Calvi sicché i superstiti potettero abbandonarsi a pubbliche manifestazioni di giubilo.
Sempre in quell’anno, il disegno divino di salvezza si realizzò perché a Visciano fu edificata la chiesa in onore di San Silvestro come si evince tuttora da un’iscrizione posta sull’ingresso principale del tempio.
Bibliografia:
Archivio Segreto Vaticano, Calven et Theanen, S. Congr. Concilii relationes 172 A:
1) Relazione del Vescovo Falcucci, anno 1654, f. 143 – 148
2) Relazione del Vescovo Falcucci, anno 1659, f. 161 – 163
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