La strage de La Precisa
Erano passate da poco le 11 di mattina del 24 settembre 1964 quando una violentissima esplosione investì lo spolettificio “La Precisa“.
Cinque operai, quattro donne e un uomo, e un feto nel grembo materno morirono nello stabilimento di Teano.
Le vittime furono: Maria Luigia Capuano di 19 anni, incinta del primo figlio, Clelia Feola di 25, Sofia Mele di 25, Anna Orciuolo di 25 e Guelfo Giaciglio di 24 anni.
L’esplosione si verificò nel reparto numero 11, all’interno del quale le vittime lavoravano al caricamento dei detonatori.
Al momento dello scoppio, oltre ai cinque operai, si sarebbero dovuti trovare nel locale il capo-reparto, Vincenzo Lacerra, e il perito chimico, Vittorio Stratico, addetto al controllo degli esplosivi.
Soltanto per un caso fortuito, i due si salvarono, essendo impegnati rispettivamente in officina e nel laboratorio scientifico.
Altre cinque giovani donne, intente al lavoro in un settore adiacente a quello della deflagrazione, rimasero ferite.
Il reparto interessato dallo scoppio fu raso al suolo e il capannone che lo conteneva si presentò completamente sventrato.
Centinaia di detonatori già pronti per essere innescati sulle bombe erano sparsi nelle aree circostanti il luogo del disastro.
Allo scopo, quindi, di scongiurare un nuovo tragico evento, le squadre dei vigili del fuoco accorse dalle caserme di Teano e di Caserta inumidirono le macerie ancora fumanti e i terreni adiacenti con continui getti d’acqua.
Gli impianti dello stabilimento sorgevano pressappoco a cinque chilometri dall’abitato di Teano, in prossimità dello scalo ferroviario.
La fabbrica produceva bombe a mano, mine anticarro, proiettili per artiglieria e munizioni per ogni tipo di arma.
Nei periodi di piena attività, “La Precisa” dava lavoro a 2-300 operai, in maggioranza giovani.
Al momento del disastro, gli addetti alle dipendenze della fabbrica erano più o meno 170.
La probabile causa dello scoppio
Per quanto concerne la causa dell’esplosione, è da escludere che fosse avvenuta durante la lavorazione dei detonatori.
Questa, infatti, avveniva automaticamente in apposite camere blindate, dell’ampiezza di un metro per due, situate all’interno di ciascun comparto.
Il compito degli operai consisteva nell’introdurre il detonatore ancora scarico in una stretta feritoia.
All’interno della camera blindata, poi, mediante un procedimento meccanico, si completava il dosaggio dell’esplosivo e il caricamento.
Al termine del processo di lavorazione, un congegno espelleva la capsula di innesco.
Nel reparto numero 11 della fabbrica vi erano 7 camere blindate, rivestite con cemento armato e lastre di acciaio.
Ciascun locale aveva una quantità di polvere pirica sufficiente per la lavorazione di una giornata intera.
Il quantitativo, quindi, non era tale da provocare, in caso di deflagrazione, danni al personale che lavorava all’esterno della piccola casamatta.
Invece, l’ipotesi più accreditata è che una cassetta contenente detonatori già carichi possa essere caduta al suolo mentre la trasportavano verso la sezione collaudi.
Questa convinzione fu avvalorata dal rinvenimento di una profonda buca in prossimità dell’ingresso del settore 11.
Verosimilmente, una donna che trasportava il contenitore potrebbe essere scivolata o inciampata e caduta a terra con l’esplosivo.
La cassetta, del peso di dieci chili circa, conteneva 600 pezzi, un quantitativo sufficiente a provocare una simile esplosione.
La pietosa ricomposizione delle salme
I poveri operai furono investiti in pieno dallo scoppio e dalle fiamme.
Alcuni corpi, quelli più vicini al luogo dell’impatto, si presentavano completamente dilaniati.
Brandelli umani giacevano sparsi tutt’intorno, addirittura sulle piante.
Le salme furono ricomposte in prossimità di una masseria.
Successivamente, alla moglie di Guelfo Giaciglio e ai familiari di Maria Luigia Capuano, i soccorritori restituirono le rispettive fedi nuziali.
L’onda d’urto causò danni al capannone attiguo.
In aggiunta, mandò in frantumi i vetri dei fabbricati situati in un raggio di cinquecento metri.
Carabinieri e Polizia giunsero in forze sul luogo della sciagura per presidiare la zona e tenere lontano i curiosi.
I familiari delle vittime arrivarono subito dopo aver appreso della tragedia.
Le persone presenti sul posto assistettero a scene strazianti.
Alcune madri aggrappate alle sbarre del cancello d’ingresso, fra cui quella del tecnico Guelfo Giaciglio, invocavano disperatamente i nomi dei loro cari.
Per fare piena luce sulle cause del disastro, furono ordinate due inchieste:
una dalla magistratura, disposta dal Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, l’altra, tecnica, ordinata dalla Direzione di Artiglieria e dall’Ispettorato del Lavoro.
Le cinque salme furono trasportate la sera del 24 settembre 1964 nella Cattedrale di Teano.
I parenti, gli amici e tantissima gente comune non fecero mancare partecipazione, affetto e vicinanza alle famiglie.
Le esequie
Con il passare delle ore, il Duomo si trasformò in una serra piena di fiori.
Le bare di Clelia Feola e Anna Orciuolo furono ricoperte dagli abiti da sposa che non riuscirono ad indossare a causa della loro prematura scomparsa.
Il funerale delle vittime si svolse il 25 settembre 1964 alle 16 nella Cattedrale di Teano a spese del Comune.
Nell’ora stabilita, la chiesa e la piazza antistante erano letteralmente gremite di gente.
Alle esequie parteciparono il Prefetto, Benigni, il Vescovo di Teano-Calvi, Mons. Sperandeo, l’Ispettore Generale del Ministero del Lavoro, Papini, il Presidente della Provincia, Falco, il Questore, Laccetti, il Comandante della Scuola Truppe Corazzate, Col. De Laurentiis, il Provveditore agli Studi, D’Onofrio, l’Intendente di Finanza, Sciascia, i Sindaci di Teano e Sparanise, Mancini e Solimene, il Comandante del Distretto Militare, Col. Carlo Gay, il Capo dell’Ispettorato Foreste, Ing. Alvino, Il Comandante del Gruppo Carabinieri, Magg. Scivicco, il Presidente dell’INAM, Vitale, in rappresentanza del Senatore Bosco, il figlio Manfredi, i Consiglieri Provinciali e numerose altre autorità civili, militari e religiose.
Il rito funebre fu celebrato da Don Luigi De Iorio.
A seguire, il Vescovo Mons. Matteo Guido Sperandeo benedì le cinque salme.
L’alto prelato, inoltre, espresse parole toccanti e consolatrici per le famiglie delle vittime:
“Questa immane tragedia, questo sacrificio di giovani vite non può e non deve essere vano.
Esso va considerato soprattutto come un ammonimento perché si stabilisca nel mondo del lavoro una maggiore sicurezza, una più serena e tranquilla atmosfera di attività.
Di fronte al lutto di tutta la città, si esalta e si irrobustisce il sentimento della Fede che fa guardare ai poveri morti della dolorosa tragedia come a dei martiri che dal Cielo possono abbracciare e proteggere la città nel suo fecondo cammino di lavoro e di pace.”
Il corteo funebre
Il lungo corteo funebre sfilò fra due ali di popolo impietrito fino a Porta Napoli, nel Borgo Sant’Antonio.
Non meno di diecimila persone lanciarono, tra la commozione generale, fiori e confetti bianchi sulle bare portate a spalla e seguite dai parenti vestiti a lutto.
Per prima, transitò il feretro di Anna Orciuolo.
Viveva con il padre Castrese, un pensionato di 65 anni, la madre Consiglia De Giulio di 64 e l’ultraottantenne nonna Maria Michela Letizia.
Fidanzata con un giovane del luogo, Vincenzo Lacerto, la ragazza avrebbe dovuto sposarsi di lì a poco.
Seguì quello di Clelia Feola.
La giovane era cresciuta senza l’affetto della mamma, morta per darla alla luce il 25 gennaio 1939.
Viveva con il padre Antonio anch’egli impiegato a “La Precisa” e la matrigna Lucrezia Giarrusso.
Anche Clelia era fidanzata con un giovane, Giuseppe Tessitore.
La terza bara era della più giovane del gruppo, Maria Luigia Capuano.
Sposata da circa un anno, aspettava un bimbo da Domenico Chiappinelli, guardiano presso lo stesso opificio.
Passò poi quella di Sofia Mele.
La bella ragazza viveva con la mamma vedova, la 64enne Liberina Zancaglione, impietrita dal dolore al seguito del corteo.
Per ultimo, avanzò il feretro dell’unico uomo, Guelfo Giaciglio, sposato da appena tre mesi.
La moglie lo seguiva nell’ultimo viaggio con gli occhi ormai senza più lacrime.
E, soprattutto, con l’espressione di chi non riusciva a comprendere l’immensa tragedia che l’aveva colpita.
Quattro feretri proseguirono per il cimitero di Teano, mentre le spoglia mortali di Guelfo per il camposanto di Calvi Risorta.
Il caleno acquisito: Giaciglio Guelfo
Giaciglio Guelfo nacque il 12 dicembre 1940 da Antonio e Carmina Grieco nella frazione di Noceletto di Carinola.
Secondogenito di tre figli maschi, i genitori provenivano da Napoli.
Nel 1961, prestò servizio militare come radarista conseguendo il grado di Sergente.
Successivamente, con il suo amico Bruno Donatiello, conosciuto in paese con il nomignolo “il pittore”, venne a Calvi con un Motom 48.
“Al Mautone“, dove si svolgeva lo “struscio” a quei tempi, conobbe nel 1962 una bellissima ragazza di Visciano.
Leone Rosanna, ultimogenita di cinque figli, era nata a Calvi Risorta il 31/01/1941 da Raffaele e Gemma Parente.
Il 21 giugno 1964, i due convolarono a nozze nella Chiesa di San Silvestro.
Il rito nuziale fu celebrato da Mons. Francesco Perrotta.
Abitavano in un portone di Via Garibaldi al civico 23.
La mattina di quel maledetto 24 settembre, forse il destino gli stava offrendo un’altra possibilità perché la sua vespa non partiva.
Ma con l’esperienza e la caparbietà che lo contraddistinguevano, riuscì ad avviarla.
Arrivato sul luogo di lavoro, dopo pochi minuti la fabbrica esplose.
La giovanissima moglie, incinta al 2° mese di gravidanza, rimase vedova.
Alla figlia, nata il 25 aprile 1965, le diede il nome del marito: Guelfa Giaciglio.
Dopo aver rifiutato una proposta di lavoro de “La Precisa”, nel 1972, Rosanna Leone fu assunta dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni a Genova come familiare di vittima del dovere.
Il 1 agosto 1978, la trasferirono a Caserta nel centro di smistamento di Viale Ellittico.
Dopo 19 anni, 6 mesi e 1 giorno, andò in pensione.
La signora non si è mai risposata, dedicandosi anima e corpo alla sua unica figliola.
Adesso, è bisnonna di una bella bambina.
Invece, i genitori di Guelfo, con gli altri due figli, si trasferirono diversi anni dopo a Pordenone.
Per non dimenticare
Immediatamente dopo la tragedia, Il Comune di Teano meditò di erigere una tomba monumentale al cimitero in onore delle vittime.
In aggiunta, chiese di intitolare una via della città ai caduti sul lavoro.
Ma con il passar del tempo, la memoria si affievolì e tutto svanì nel nulla.
Nel 2014, cinquanta anni dopo, l’Amministrazione Comunale di Teano, su proposta della locale ProLoco, ha commemorato i morti di quel tragico incidente.
Per la ricorrenza, si è tenuto un consiglio comunale straordinario.
Gli organizzatori hanno allestito una mostra fotografica presso il municipio e verso le 12, poi, hanno depositato una corona di alloro presso il monumento dei caduti nella centralissima Piazza della Vittoria.
La moglie di Guelfo Giaciglio lo ricorda ancora oggi con rimpianto e immutato affetto.
Dagli occhi di Rosanna e della figlia Guelfa traspare tutta la commozione per un marito troppo presto mancato e per un padre mai conosciuto.
Gli effetti personali di Guelfo, custoditi gelosamente, aiuteranno i familiari a rammentare la sua breve esistenza terrena.
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