La struggente storia del milite Silvio Luigi Salerno
Il doloroso tributo di sangue pagato dagli italiani a seguito delle vicende dell’8 settembre 1943 nell’isola di Creta rappresenta uno degli episodi della seconda guerra mondiale ancora avvolto nel mistero.
Luigi Silvio Salerno nacque a Calvi Risorta alle 2 di notte del 2 dicembre 1920 da Nicola e Mariantonia D’Onofrio.
Primogenito di 7 figli (Concetta, Giuseppe, Palmina, Mario, Guido e Velia), nel 1933, in età scolare, il padre lo iscrisse alla rinomata Scuola Apostolica dei Padri Passionisti caleni.
Eppure, ancor prima di raggiungere la maggiore età, il padre superiore del Seminario consigliò ai genitori di distoglierlo dallo studio per l’affaticamento degli occhi e calo della vista causato dalle continue letture notturne al lume di candela.
Dismesso l’abito passionista, il 26 giugno 1939 lo lasciarono in congedo illimitato provvisorio in qualità di soldato di leva classe 1920 del distretto di Caserta.
Con l’incalzare degli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, fu richiamato alle armi il 17 marzo 1940 e destinato al 51° Reggimento Artiglieria D. F. di Caserta.
Dopo essersi arruolato, ritornò a casa in licenza al massimo un paio di volte.
Il 20 gennaio 1941, assieme ai suoi commilitoni, si imbarcò nel porto di Bari per approdare il giorno successivo a Durazzo in Albania, ottenendo il 21 settembre 1941 nel territorio dichiarato in stato di guerra il grado di Caporale.
La cattura del soldato caleno
Il 20 marzo 1942 lo trasferirono alla 430ª Batteria autonoma di 75/28 mm. da posizione costiera (P. C.) nell’isola di Creta G. M. 421, ove il 21 maggio 1943 ricevette il grado di Caporal Maggiore.
Dall’ultima trascrizione matricolare, il soldato caleno risulta disperso in Grecia (isola di Creta) dal 28 agosto 1943.
In realtà, Silvio Luigi Salerno fu catturato con un colpo di mano dei tedeschi subito dopo l’armistizio dell’otto settembre ed internato in un campo di concentramento per militari italiani nei pressi di Tymbakhion, località cretese situata nella costa meridionale dell’isola.
Stipato su una nave che non era in grado di reggere il mare, poi via terra ed infine tramite la ferrovia Dresden-Klotzsche-Straßgräbchen-Bernsdorf, fu condotto nel campo di concentramento di Schmorkau nella ex Germania dell’Est a 48 chilometri da Dresda.
Nel lager tedesco, recuperando un quaderno, una penna e dell’inchiostro, scrisse in quel periodo il suo diario di prigionia.
Come si evince da alcune annotazioni, nella camerata occupava il posto n. 265207 e in una cappella assisteva spesso alle funzioni religiose, recitando il Rosario e altre preghiere.
Il 25 dicembre 1943 … “Scambio fra di noi di Auguri nel Signore. Poi tutti uniti si va alla santa messa … mentre nel nostro cuore vive casa lontana. Indi uniti si assiste alle funzioni sacre, chiudendo così il giorno del Santo Natale“.
“A letto ammalato, e deperendo giorno per giorno, spesso preso da nervosismo e da svenimenti continui … Stando abbattuto con dolori alla testa e allo stomaco, digiunando e soffrendo al destino … Si chiude l’anno 943, quest’anno che tante pene ha inferto a noi e a tutto il mondo “.
La diagnosi della malattia
Le giornate era caratterizzate da ondate di neve e freddo gelido, mentre gli aerei sorvolavano e bombardavano la zona perché citava frequentemente “le visite dello zio Andrea il fuochista” (Andrea Monfreda amico di famiglia conosciuto come “bommavascio”). Di notte, invece, sognava spesso:
“Sogno di trovarmi nelle vie tra il Seminario e Visciano, mentre avviene una bellissima processione del Nostro Protettore San Nicola con gran folla, musica, autorità, ecc.”
A seguito di attacchi ripetuti e dolorosi, il caporal maggiore Salerno fu visitato da un professore e da un capitano medico e trasferito alla baracca n. 45 dove erano concentrati i militari malati affetti da una determinata patologia.
Ed è proprio qui, prima di varcare la soglia del nuovo ricovero, che scoprì il 23 febbraio 1944 la sua malattia.
Infatti, si legge nel diario:
“Perdo i sensi vedendomi entrare nel campo ove sul reticolato di cinta noto le lettere T.B.C. e mi abbatto fino al punto di chiudere questa vita.“
“Il 17 maggio 1944, vigilia della festa dell’ascensione, mentre ero tutto affranto, pensieroso e dubbioso per i cari e mi mettevo al letto con febbre, vedevo subito entrare l’infermiere che mi dava una lettera dei genitori con data 21-3-44, io appena lette le loro buone notizie, mi alzavo tutto allegro sulla branda apprendendo così dopo 9 mesi le loro prime belle notizie da casa. Sono tanto contento e ringrazio S. Nicola e quella Beata Mamma di Pompei e spero al più presto poterli rivedere e riabbracciare, il mio cuore finalmente è felice … Questa è la prima più bella giornata della prigionia.”
La vita nel campo
Dopo pochi giorni, inoltre, ricevette un’altra missiva dalla fidanzata e il 29 maggio le rispose con una cartolina datagli dal suo amico Domenico D’Alessandro.
Il giovane zunese deperiva a vista d’occhio “assalito da un fortissimo attacco intestinale (conica fianco destro con grande gonfiore).
A fine maggio il suo peso era di 58 chilogrammi, 8 in meno dal mese di dicembre 943.“
Nell’agosto dello stesso anno, il Salerno rimase fortemente impressionato “assistendo al passaggio di poveri militari morti italiani e serbi, accompagnati dai sacerdoti.”
La mattina del 23 settembre “è stato sparato un soldato russo perché intimato da un tedesco di lasciare delle patate, lui non ubbidiva e pagava così colla morte“. A seguire, “una buona parte di militari passano la notte a dormire fuori. Alla sveglia questa mattina si trovava un genovese della 45 morto impiccato in un fosso vicino rimanendo noi tutti molto commossi a tale amaro e triste spettacolo.”
Il 4 novembre 1944 “la notte faccio un bel sogno di S. Nicola nella nostra chiesa. Lui mi fa sedere vicino e mi fa coraggio a sperare … Tra altro ricordo queste sue parole: tu a quest’ora dovevi stare di fuori e fa capire colla mano, e poi altre sue parole allegre che mi danno gioia“.
La morte del giovane milite
Le condizioni fisiche del prigioniero caleno, nonostante le cure, peggioravano di giorno in giorno tanto che le annotazioni sul diario diventarono progressivamente sempre più brevi e sporadiche.
Munito di tutti i conforti religiosi (confessato e comunicato), assistito dal dottore Francesco Oliva fino all’ultimo, il colto ed istruito Silvio Luigi Salerno esalava l’ultimo respiro il 18 aprile 1945 immediatamente dopo aver pronunciato le sue parole per la “mamma e per la patria” secondo le informazioni ricevute da Domenico De Nuccio di Teano, suo compagno nella baracca n. 45.
L’infermiere, Domenico D’Alessandro di Montanaro, annotò la sua morte il mattino seguente.
I due, unitamente al dott. Oliva, ad un Capitano dell’esercito Italiano anch’egli prigioniero, ad un cappellano belga ed altri soldati lo accompagnarono alla sua ultima dimora.
I testimoni ricordavano che “i morti italiani si seppellivano in fosse comuni per soli connazionali” e nelle bare artigianali (tavole in legno) era deposta una bottiglietta di vetro contenente le generalità del deceduto.
Egli riposa nel cimitero protestante (Russenfriedhof) di Schmorkau in prossimità dell’unica chiesa del paese.
La sua tomba si trova subito a sinistra all’ingresso del camposanto.
Il direttore dell’ospedale tedesco consegnò tutti i suoi effetti personali al dott. Oliva di Napoli.
Quest’ultimo, a sua volta, al termine della seconda guerra mondiale, si recò personalmente a Zuni per riconsegnare ai parenti tutti gli oggetti appartenuti allo sventurato soldato caleno, compreso il diario di prigionia.
La liberazione dei soldati italiani
Al contrario, miglior sorte toccò al compaesano Giuseppe Parente.
Catturato anch’egli nell’isola di Creta, fu deportato in Austria nel campo di lavori forzati di Linz, località conosciuta per essere stata la residenza di Adolf Hitler nei suoi anni giovanili.
Il Parente manovrava un carrello per trasportare fuori i detriti nell’escavazione di un tunnel.
Dopo un po’ di tempo e con un peso corporeo di 35 chilogrammi, lo affidarono ad una famiglia tedesca per lavorare nella loro fattoria.
Fortunatamente, nell’agosto del 1945, tornò a casa sano e salvo.
Ritornando al Salerno, il testimone oculare Domenico D’Alessandro asserì che i prigionieri italiani, a distanza di pochi giorni dalla morte di Luigi Silvio, liberati dall’Armata Rossa, furono rimpatriati in Italia.
Ai genitori del milite zunese concessero una pensione privilegiata di guerra di 13.493 lire a partire dal 14 dicembre 1952 e un assegno speciale temporaneo di 14.000 lire istituito con decreto legislativo 29 dicembre 1946, numero 576.
Con la caduta del muro di Berlino, il fratello Mario e il nipote Nicola si impegnarono a lungo per riportare a casa le spoglie mortali del proprio caro rintracciando i testimoni dell’epoca ed interessando il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra alle dirette dipendenze del Ministro della Difesa.
Purtroppo, in una breve campagna di esumazione effettuata nel cimitero di Schmorkau, si rinvennero solo i corpi di soldati inglesi.
Nonostante ciò, il nipote Nicola continuerà le ricerche con l’intento di riportare in patria il corpo dello zio e dargli una degna sepoltura vicino ai suoi familiari.
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