L’epidemia di colera del 1854
Nel XIX secolo, il colera colpì a più riprese ed in modo massiccio i centri abitati dell’Italia, Calvi compresa.
Specificatamente, dopo l’ondata del 1837, il morbo si ripresentò nell’estate del 1854.
Il colera è un’infezione acuta dell’intestino causata dal batterio Vibrio Cholerae.
I sintomi iniziali comprendono una diarrea acquosa accompagnata da dolori addominali.
Successivamente, si presenta il vomito, una rapida disidratazione e l’abbassamento della temperatura corporea.
Questi segni però, se non adeguatamente trattati, possono portare addirittura alla morte.
All’inizio dell’ottocento, si riteneva che la malattia fosse trasmessa per inalazione di aria contaminata proveniente dagli individui contagiati.
Ma, quando il colera colpì la Gran Bretagna nel 1832, le osservazioni del medico John Snow condussero a dimostrare la modalità di trasmissione del colera applicando un metodo epidemiologico razionale.
La teoria dei miasmi, infatti, non spiegava perché l’incidenza della malattia era diversa in quartieri della città con identico degrado.
Snow ipotizzò che il batterio Vibrio Cholerae fosse acquisito per ingestione ed eliminato con le feci.
Alla luce dei fatti, la diffusione del contagio era dovuta al ruolo attivo svolto in tal senso dalle acque inquinate e dagli escrementi umani dei soggetti colpiti.
A Calvi, nonostante i tragici fatti del 1837, le condizioni igienico-sanitarie della città non erano migliorate.
Innanzitutto, l’approvvigionamento idrico risultava alquanto problematico.
Inoltre, non era presente un sistema di fognature per trasportare i liquami di scarico lontano dalle abitazioni.
Alcune strade e piazze delle frazioni di Calvi erano rivoli a cielo aperto, nelle quali si riversavano le acque piovane provenienti dalle zone collinari.
Così, le condizioni di scarsa igiene unite al caldo diventarono una miscela esplosiva per la diffusione dell’epidemia nel 1854.
La popolazione calena
Dalla seconda metà dell’ottocento, si assiste ad un aumento della popolazione con tassi di natalità in netta crescita.
Il primo censimento ufficiale della popolazione risale al 1861, anno di nascita del Regno d’Italia.
La città di Calvi, come riportato dai documenti ufficiali, contava nel 1861 una popolazione residente di 2646 individui (1341 uomini e 1305 donne).
Sommariamente e considerando le debite proporzioni di inizio secolo, gli abitanti erano così distribuiti tra le quattro frazioni:
Per quanto concerne la mortalità, nel quadriennio 1850 – 1853 si registrò nella cittadina calena un andamento altalenante dei decessi:
82 nel 1850
51 nel 1851
75 nel 1852
51 nel 1853
Anche nel primo semestre del 1854, il trend dei decessi evidenziò un andamento progressivamente decrescente con 27 morti registrati da gennaio a giugno ed una stima di 50 per l’intero anno.
In realtà, dalla seconda metà del 1854 la mortalità subì un’impennata con 6 decessi a luglio, 37 ad agosto, 20 a settembre per poi decrescere progressivamente a ottobre e novembre.
Il tutto scaturì dalla repentina diffusione del batterio del colera.
L’esplosione del morbo a Petrulo
Il focolaio del terribile morbo esplose in tutta la sua gravità nei primi giorni di agosto.
A differenza del fenomeno del 1837, la frazione più colpita fu Petrulo.
Dal 17 al 30 agosto, il parroco di San Nicandro Don Crescenzo Del Vecchio celebrò ben 28 funerali.
La comunità locale ai piedi del Monte La Costa rimase colpita da una tragica vicenda:
la perdita a distanza di 24 ore di due figlie del possidente Sebastiano Pelusio.
Specificatamente, il 18 agosto morì Maria Giuseppa, di 15 anni, e il giorno seguente Pascalina Filomena, di anni 19.
Il petrulese aveva già perso la moglie Donna Teresa Ricciardi il 22 novembre 1846 alla giovane età di 36 anni.
E addirittura il giorno precedente (21 novembre 1846) la figlia Maria Francesca, di anni 12.
Sempre a Petrulo, il 22 agosto passò a miglior vita Petronilla Di Lauro, sposata con Attilio Mandara, di anni 29, figlia di Domenico e Catarina Di Nuccio.
Il 24 agosto morì anche la sorella di Petronilla, Rosa, nubile di 33 anni.
Inoltre, perirono le anziane sorelle possidenti Ippolita e Rosa Zona, entrambe vedove di anni 90 e 80.
Infine, a distanza di cinque giorni morirono i fratelli Antonio e Gaetano Greguali rispettivamente di 56 e 50 anni.
A Visciano, l’unico evento di rilievo fu la morte dei fratelli Pasquale, di anni 13, e Irene Zeppetella, di anni 5, figli di Giovanni e Orsola Romano.
A Zuni, invece, non si registrarono episodi significativi.
Numericamente, i decessi nel 1854 furono 55 a Petrulo, 36 a Visciano, 14 a Zuni e 3 a Calvi Vecchia.
I primi provvedimenti
I colerosi furono sepolti nel vecchio cimitero di Via Cales tra lo sgomento delle autorità e il terrore della popolazione.
Immediatamente dopo l’epidemia del 1854, la questione sanitaria fu affrontata con fermezza.
Il Comune si impegnò concretamente a migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell’ambiente urbano.
A Petrulo fu costruita una fogna che da Piazza Gregorio Nucci scendeva per Via XX Settembre, svoltava in Vico Mandara e dopo un centinaio di metri, attraversando una corte privata, si immetteva nel rio Maltempo.
Invece, non si registrarono sostanziali cambiamenti nelle reazioni popolari.
Davanti alle successive epidemie di colera, (ve ne furono ancora, benché minori, per tutto l’ottocento), il comportamento dei caleni affondò in un mare di pregiudizi e superstizioni.
La gente si affidò più alla grazia dei santi patroni che alla medicina tradizionale per sconfiggere il terribile morbo.
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