Teusebio: lo straordinario sarcofago
Nel 1960, durante i lavori di costruzione dell’Autostrada del Sole, fu rinvenuto in maniera fortuita a Cales un sarcofago di eccezionale rilevanza storica.
Il prezioso cimelio, come tanti altri reperti archeologici, lo trafugarono dall’area paleocristiana di San Casto vecchio al Ciavolone.
L’urna sepolcrale in marmo bianco, lunga 96 cm., larga 40 cm. e alta 59 cm., aveva custodito per mille 600 anni i resti di un fanciullo di 13 mesi.
La cassa e il coperchio pesavano rispettivamente 229 e 103 chilogrammi.
Il lato anteriore della cassa, alto cm. 38, era tutto impreziosito da bassorilievi raffiguranti scene sacre.
Il fregio scolpito rappresentava tre personaggi.
Il defunto, raffigurato nell’atto di pregare, indossava un abito talare.
Inoltre, portava la paenula, un mantello di forma circolare adoperato dai monaci per ripararsi dal freddo e dalla pioggia.
Ai due lati del bambino, erano presenti due santi anzianotti con una leggera barba e vestiti di tunica e pallio.
Secondo una teoria prevalente, i beati erano Pietro e Paolo, l’uno con i capelli e l’altro con un’evidente calvizia.
Tuttavia, non è da escludere che potessero essere Casto e Cassio.
Tutti e due davano l’impressione di accompagnare l’infante verso destra.
L’iconografia giudaico-cristiana
Da quella parte, altre due scene completavano l’iconografia giudaico-cristiana.
Nella prima, Noè accoglieva la colomba di ritorno all’arca con un ramo di olivo per annunciare la fine del diluvio.
Nell’altra, due soldati con il copricapo militare di forma cilindrica si dissetavano proni su una fonte.
L’acqua scendeva giù copiosa da una rupe grazie all’intervento di Pietro.
Sull’altro lato, si trovava un’unica scena: l’epifania.
All’angolo, la Vergine Maria se ne stava seduta su una sedia grande, vestita con la tunica lunga.
In aggiunta, indossava la mantella tipica femminile (detta popolarmente “palla”) che fungeva anche da velo per il capo.
La madonna teneva in braccio un piccolissimo Gesù Bambino in fasce.
Davanti a lei, stazionavano due Re Magi nel loro caratteristico costume orientale.
Entrambi stringevano con la mano sinistra qualcosa al petto, mentre con la destra indicavano la stella posizionata sulla testa del gruppo di Maria.
Il coperchio, invece, era interamente ricoperto da una grande iscrizione incisa su due pagine contigue, a mò di libro aperto, aventi al centro un chrismon.
L’epigrafe
L’epigrafe, realizzata con lettere alte tra i 10 e i 12 millimetri, recitava testualmente:
nacque il 1 aprile fu battezzato il 2 aprile
A Teusebio vergine e neofito
Ecco qui dunque sepolto il mio caro, il mio tenero figlio.
O Teusebio vissuto sempre in santa innocenza.
Passato in Dio un anno di dodici mesi,
altri trenta giorni dimorò in questa vita.
Non macchiato da peccato, fu sepolto con un dono beato.
Celebrato il suo natale e del pari rinato in Cristo,
Teusebio entrò nel soggiorno della vita eterna,
e per dono del Signore porta la corona di vergine.
Rufino e Severa genitori al loro figlio dolcissimo
Ben meritevole, fecero nel Signore.
Riposa in pace. Fu sepolto il 2 maggio.
L’epigrafe fu abbozzata con il pennello prima di essere impressa nel marmo.
Sulla parte inferiore della cassa, una seconda iscrizione fu solo dipinta e non incisa.
Il bambino, morto all’età di 13 mesi, apparteneva ad una famiglia benestante di Cales.
La datazione del sarcofago di Cales
Per datare il prezioso reperto, l’approccio parte dal presupposto che i battesimi si celebravano alla vigilia di Pasqua.
Nel 325, il Concilio di Nicea stabilì che la Pasqua cristiana si celebrasse la prima domenica dopo il plenilunio di primavera.
Ipotizzando che i genitori si fossero attenuti all’usanza cristiana, il neonato fu battezzato sabato santo 2 aprire 326 o 337 o 348.
L’urna sepolcrale, quindi, risale ad un periodo compreso tra il 327 e il 349 d. C.
Il sarcofago di Cales, intero in ogni sua parte, fece il suo ingresso nel Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst di Berlino all’inizio del 1961.
E’ esposto al pubblico nella collezione di opere d’arte tardo antica e bizantina delle raccolte berlinesi.
Il museo tedesco, senza scrupoli, acquisì il cimelio pur sussistendo oggettivamente i presupposti dell’illecita provenienza dell’oggetto.
Bibliografia:
1) Antonio Ferrua, Il sarcofago d’un bambino del IV° secolo, in: La Civiltà Cattolica, anno 118 (1967), vol. I, pp. 353-362
2) http://www.smb-digital.de/eMuseumPlus?service=ExternalInterface&module=collection&objectId=1420902&viewType=detailView
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