Il pellegrinaggio a San Salvatore
Il Monastero maschile di San Salvatore del monte Caprario, posizionato a 857 m s.l.m., apparteneva all’ordine religioso di San Benedetto.
Il cenobio fu concepito come una fortezza al fine di proteggere la comunità monastica dalle scorribande dei Saraceni.
Infatti, la struttura, posta ad un livello più basso rispetto al piano di calpestio, presenta tre lati a strapiombo e un unico accesso lungo una salita.
Dalla sua posizione sospesa nel vuoto si può godere un panorama mozzafiato e il brivido dell’altezza.
L’impianto primordiale ha subìto diverse modifiche e ricostruzioni a causa dell’inesorabile scorrere del tempo.
Infatti, dei quattro piani originari (cripta, chiesa, piano abitabile sovrastante e dormitorio comune), ne sono rimasti solo i primi tre.
Nel 1456, un terremoto provocò danni e crolli alla struttura:
A seguito di questo evento catastrofico, la facciata subì delle modifiche con lo spostamento dell’ingresso dal centro al lato destro.
Inoltre, verosimilmente, i monaci abbandonarono il cenobio.
La chiesa si presenta tutta bianca con un antico pozzo in pietra.
È collocata di fianco ad un grande monolito di granito in un punto paesaggisticamente strategico.
L’unica navata, molto semplice, è lunga circa 16 metri e larga 4,50.
Incamminandosi al suo interno, si notano diverse volte a vela.
Oltrepassato l’altare, si può ancora intravedere il coro e il sedile dell’abate.
L’altare fu totalmente ricostruito nel 1945 grazie all’offerta di un fedele.
Molto probabilmente dietro il recente intervento potrebbe celarsi il rivestimento antico.
Alla cripta si accede tramite una botola posta sulla destra all’ingresso, nascosta da alcune tavole di legno.
I resti di diversi crociani rinvenuti durante i lavori di sistemazione sono stati collocati in una teca di vetro.
Le notizie più circostanziate a partire dal 1300
Le origini del monastero sono piuttosto incerte.
Infatti, le uniche informazioni raccolte in merito videro protagonisti della vicenda dei frati benedettini.
Nel 1089, Sant’Anselmo d’Aosta, Primate di Canterbury, scelse il monastero per scrivere una delle sue opere principali: Cur Deus Homo.
A testimonianza del soggiorno presso quel luogo il suo accompagnatore Eadmero di Canterbury scrisse:
“la nostra dimora era situata nella sommità dei monti, libera dal tumulto delle folle come se si fosse nel deserto“.
Il re Ruggero il Normanno abbandonò l’assedio di Capua per due giorni soltanto per poter conoscere Anselmo detto “Doctor Magnificus“.
Le notizie si fecero più circostanziate a partire dal 1300.
L’Ughelli, citando il Registro Vaticano Epist. 90, foglio 200, asserì che papa Bonifacio VIII nel settimo anno del suo pontificato accordò il 27 febbraio 1301 al Vescovo di Calvi Enrico “di unire alla Mensa Vescovile di Calvi con tutti i suoi diritti e appartenenze l’antico monastero di S. Salvatore dell’ordine Casinese, esistente già sul monte Caprario presso il villaggio di Croce.”
“Henricus Episcopus Calvensis sub Bonifacio VIII, vixit, a quo Coenobium S. Salvatoris Monti Caperani Ord. S. Benedicti mefae Episcopali unendum accept anno 1301 2 Kal. Martii, anno Pontif. 7 ex. reg. Vatic, ep. 900 fol. 200” (1)
L’esecuzione della bolla pontificia fu commissionata a Federico Sparano, canonico di Capua.
Il documento non riportò l’opposizione all’unione di Rogasia de Ragone, madre dell’insigne Tommaso di Marzano, padrona e signora di Formicola, del villaggio di Croce e del suddetto monastero.
Infatti, gli antenati della donna avevano costruito e reso confortevole il monastero, diventato così un beneficio di “iuspatronato della famiglia“.
La legittima proprietaria espresse varie altre obiezioni, ma non furono accolte dal canonico capuano.
Il monastero alla fine del 1500
Il 3 luglio 1310, nell’istruire un processo nella Curia di Calvi, si rintracciò un documento redatto da un notaio napoletano.
In quel giorno, su istanza di Tommaso di Marzano, maresciallo del Regno, e per disposizione di Papa Clemente V, si decise che il cenobio di San Salvatore rimanesse unito stabilmente alla Mensa Vescovile di Calvi, di cui era Vescovo Pietro III.
Ma rimase a Tommaso, in qualità di erede di sua madre, Rogasia de Ragone, la facoltà di nominare due sacerdoti secolari per Cappellani affinché la chiesa fosse adeguatamente servita.
Per l’adempimento del suddetto accordo, fu incaricato dal Pontefice il giudice e dottor de’ decreti Giovanni Muccola di Napoli.
Il 12 aprile 1583, il Vescovo Fabio Maranta, stanco delle visite a Petrulo e Rocchetta, non volle proseguire il viaggio per visitare Croce.
Villa Crucis distava due miglia da Rocchetta.
La strada tra i due borghi era abbastanza tortuosa tanto che non si riusciva a percorrerla nemmeno a cavallo.
Il vescovo ascoltò la relazione del suo Vicario Generale D. Scipione Macilento che aveva visitato Croce al tempo di Ascanio Marchesino.
I poteri temporali appartenevano a Donna Roberta Carafa, signora della baronia di Formicola nonché duchessa di Maddaloni.
Invece, per i bisogni spirituali, il villaggio era assoggettato al Vescovo di Calvi.
Croce contava 12 famiglie e 63 abitanti con 40 ducati di rendita.
Le case si trovavano in una stretta pianura alle falde del “monte Capranico“.
La chiesa, intitolata al SS. Salvatore, si trovava sulla sommità della montagna e distava due miglia dall’abitato.
Sin dal 1565, il curato e cappellano era D. Giovanni Pietro De Isa, nominato dal Vicario Capitolare Giulio Bruno.
La santa visita di Filippo Positano
Il parroco apparteneva alla baronia di Formicola della diocesi di Caiazzo ed era anche canonico di Capua.
Fu presentato dalla duchessa di Maddaloni Ill.ma Donna Roberta Carafa, a cui spettava il diritto di patronato.
I crociani si lamentarono del fatto che non si celebrava la messa domenicale.
Invece, si teneva talvolta nei giorni feriali quando erano occupati nei loro lavori.
Il Vescovo istruì contro il prete un processo durante il quale quest’ultimo rinunciò alla parrocchia.
Per quanto concerne il monastero, la struttura, fondata molto tempo prima, aveva ospitato quattro monaci.
Due cappellani erano addetti al servizio religioso dei monaci e della parrocchia.
Ma da diverso tempo prima si palesava la presenza di un solo cappellano.
Al momento della visita di fine ‘500, il monastero era vuoto e la chiesa molto scomoda, lontana, inaccessibile ai vecchi e alle donne incinte.
Anche le persone sane a volte avevano difficoltà a raggiungerla e, d’inverno, per la neve, non si poteva celebrale.
Infine, il trasferimento dei cadaveri dal villaggio di Croce a San Salvatore lungo quella stradina era particolarmente arduo.
Per queste ragioni, il Vescovo ordinò la costruzione di una chiesa nell’abitato.
La casa di Dio fu ultimata nel 1593 e intitolata all’Annunziata.
Contestualmente, edificarono anche una casetta per il cappellano.
Nel 1722, il Vescovo di Calvi Filippo Positano diede luogo a una santa visita alle chiese della diocesi.
A visitare la parrocchia di Croce fu inviato con regolare delega Don Leonardo De Mattia, canonico di Boiano.
Il parroco era Don Francesco D’Onofrio di Formicola, dove risiedeva.
Il sacerdote si recava a Croce solo per le feste.
Il villaggio contava 59 anime.
La chiesetta di San Salvatore
Non vi si conservava il Santissimo e i morti si seppellivano ancora a San Salvatore.
Il vescovo donò una piccola pisside d’argento e ordinò che vi si conservasse per l’avvenire il Santissimo Sacramento.
Per quanto concerne la chiesetta di San Salvatore, dalla relazione si legge;
“Aveva due ingressi, posti a nord ed ovest e vi si scendeva per alcuni gradini.
All’interno, nella parte destra, vi era il vaso per l’acqua santa e la sepoltura nel pavimento, mentre sulla sinistra aveva due finestre.
Era dotato di due confessionali, l’altare maggiore era ornato con 4 candelieri e altrettanti vasi e aveva due quadri del Salvatore, forse entrambi donati per ex voto, e un calice d’argento offerto come ex voto da Pietro dell’Estate di Teano.
A destra aveva un ponticello da cui per alcuni gradini si scendeva in un cortile, dove accanto a grossi massi, vi era una cisterna artificiale.
All’estremità di questo cortile vi era la cella per l’eremita, dove sopra un muro vi era una sepoltura per i fanciulli, mentre sopra era posto un piccolo campanile con una campana.”
Per antica consuetudine, l’otto maggio di ogni anno gli abitanti alle falde dei Monti Trebulani si recavano a San Salvatore.
Infatti, i devoti effettuavano un pellegrinaggio per implorare l’intercessione del “Salvatore”.
In questo piccolo luogo sacro i nostri poveri contadini si ritrovavano portando le loro speranze e i loro desideri.
La descrizione del canonico Penna
Nel 1833, lo studioso Giovanni Penna di Pignataro Maggiore narrava:
“Il comune unito di Croce si ritrova in una Valle alle radici del monte da noi detto S. Salvatore, dall’altre popolazioni nominato Monte maggiore; la più alta, ed orrida montagna di tutto il Circondario, piena di prunaje, di Carpini, di querele.
Sulla detta montagna eravi una volta un Convento di Monaci Benedittini, ora una Cappella detta S. Salvatore, ove non si sale che per un sentiero serpeggiando dopo molto stento, e fatica.
Giunto sul vertice della montagna, attesa la sua altezza enorme, vi si respira altro clima; vi regnano dense nebbie, è coloro che vi si espongono, ne rimangono così bagnati, come se fossero tuffati nell’ acqua, e si gode la prospettiva de’ monti, delle valli, e della vastissima pianura sino a Montecasino.
Che più?
Su quella orribile eminenza s’ innalza un ammasso di pietra, detto il gran sasso, inaccessibile per ogni dove; sotto questo gran sasso sta edificata la detta Chiesetta, ove nel giorno otto di maggio vi si fa una processione numerosissima, la quale trae i divoti, ma senza la dovuta divozione da tutt’ i Villaggi circonvicini … ” (2)
Dunque, anche molteplici caleni partecipavano.
Si partiva prima dell’alba quando le strade del paese erano ancora buie e deserte.
Arrivati a Petrulo, ci si inerpicava lungo stretti, scoscesi e impervi sentieri di montagna.
Per rendere il tragitto più veloce e diretto, si tralasciava di percorrere la carrozzabile per Rocchetta.
I devoti caleni intonavano antiche litanie e preghiere ricevute in dono dai loro avi.
Arrivati a Croce, si fermavano prima di raggiungere la tanto desiderata meta.
L’antica tradizione zunese
Nel borgo era una festa per i pellegrini viandanti ma anche per gli ospitanti.
Quest’ultimi finalmente vedevano volti nuovi attesi da un anno.
La salita poi verso l’eremo proseguiva con un bastone privato della corteccia.
I promotori della tradizione calena di recarsi a San Salvatore erano gli zunesi.
L’ultima loro rappresentante fu Maria Migliozzi.
La signora abitava in Piazza Umberto all’attuale civico 22.
La sera del 7 maggio girava per tutte le strade e i vicoletti di Zuni agitando un campanaccio.
Il suono dello strumento, che generalmente si legava al collo dei bovini, ricordava ai compaesani di partecipare il giorno seguente al pellegrinaggio.
La mattina dell’8 maggio, dopo aver nuovamente chiamato le persone a raccolta suonando il medesimo campanaccio, si partiva.
Il corteo era composto soprattutto da zunesi, seguiti da diversi viscianesi.
A loro si univano lungo il percorso anche i petrulesi.
Maria Migliozzi portava con sé a San Salvatore un crocifisso che è attualmente conservato con cura dalla nipote a Roma.
L’ascesa verso l’eremo si svolgeva in qualsiasi condizione atmosferica.
L’8 maggio 1949, le allora ragazzine Carmela Pomaro e Maria Piscicelli tornarono a casa completamente bagnate dalla testa ai piedi.
Ancora oggi le due nonne ricordano benissimo quella giornata perché era la domenica della festa di San Nicola a Zuni.
Il pellegrinaggio ai tempi nostri
Ai giorni nostri la chiesetta di San Salvatore è ancora meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli.
Però oggi si va il 1° maggio.
È il segno dei tempi che cambiano inesorabilmente
E cambia con loro anche il modo e lo spirito di incamminarsi.
Il pellegrinaggio all’eremo non costituisce più un cammino faticoso.
Adesso si arriva nella piazzetta del borgo seduti comodamente in macchina, raggiungibile mediante una strada asfaltata da Rocchetta e Formicola.
Quindi, si percorre a piedi solo l’ultimo tratto da Croce a Santu Sal’vator’.
Il sentiero è più curato e lungo la salita s’incontrano le 14 stazioni della Via Crucis.
Lo stesso bastone di San Salvatore, simboleggiante buon auspicio e fertilità, è stato riscoperto ma in compenso si paga.
Bibliografia:
1) Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, Tomo VI, Roma 1659
2) Giovanni Penna, Storia di Pignataro e del suo circondario, Caserta 1833
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