Il saccheggio di Cales (2° parte)
L’area di Cales fu assurta a celebrità dai predatori nel periodo compreso tra il 1859 e il 1865.
Le razzie continuarono indisturbate o quasi e i malfattori riuscirono a trafugare moltissimi reperti archeologici.
Tuttavia, la smania di accaparrarsi oggetti di valore portò i saccheggiatori a dissotterrarli senza prestare la dovuta attenzione.
Nel 1859, il Novi giustificò il suo interesse per l’area con la ricerca dei frammenti dell’iscrizione del Vicus Palatius.
Parecchi anni or sono era stata trovata un brano di essa nel fondo di Agostino Ferrari.
Il capitano fece rimaneggiare uno sterminato “accumulo di rottami deposto lungo la cupa” (sentiero).
Dopo lunghe ed estenuanti ricerche, trovò i pezzi mancanti dell’iscrizione.
Contestualmente, riuscì a rintracciare:
- una statua di marmo con la testa e due avanbracci mancanti
- un frammento di cavallo anch’esso di marmo
Per non destare sospetti, il Novi asserì che i reperti archeologici rinvenuti non erano di pregio.
Il 20 maggio 1859, l’ispettore Giovanni Sideri illustrò le strutture e il sepolcreto trovati dal cav. Luigi Nicolini.
Le strutture e il sepolcreto
“Il sig. Cav. d. Luigi Nicolini … all’aperta campagna e verso il mezzogiorno dell’antica Caleno imprendeva a recingere con un fossato un luogo dove riporre il fieno per uso della razza di animali equini stabilita nel parco erboso di sua proprietà in tenimento del Comune di Pignataro denominato Torre.
A circa due pal. dalla superficie del terreno gli operari rinvennero u antico sepolcro rettangolare di tufo, lungo otto pal. largo ed alto tre compensatamente con entrovi le sole ossa di un cadavere umano.
Però non tardarono ad accorgersi che il sepolcro stesso era sottoposto ad uno strato di malta che formava il pavimento di un edifizio di già abbattuto e distrutto.
Ordinava subito il prefato sig. Cav. Nicolini discostarsi il succennato locale e costruirsi in altro sito.
Ma per far meglio osservare e descrivere il pavimento in parola nello interesse della storia e dell’archeologia, si accingeva a metterlo allo scoperto, estendendosi intorno intorno per un determinato tratto…
Essendomi io immediatamente recato sopra luogo, ho rilevato da pochi saggi praticati essere un pavimento di opera musaica, però de’ bassi tempi, tra perché sottoposto di poco alla superficie del suolo e perché collocato al di sopra di un sepolcro posto anch’esso, per così dire, a fior di terra.
Tale opinone è rafforzata dall’aver io osservato un pezzetto di marmo messo in opera appartenente di già ad un’unica iscrizione sepolcrale con le seguenti lettere di non buono stile (C.I.L. X, n.° 4711).
È da notarsi la varietà de disegni forse anche in un medesimo scompartimento, essendo i diversi pezzetti di marmo della dimensione di due decimi a circa mezzo pal. taluni colorati e dalla forma circolare, romboidea, rettangolare ecc. secondo le circostanze.
Le rassegno infine … che non appena verrà scoperto il pavimento … mi farò un pregio d’espletare siffatto incarico.” (1)
Le continue razzie del Novi
Intanto, le continue razzie perpetrate dal Capitano Novi insospettirono le autorità locali.
L’intendente della Provincia inviò il giudice del circondario di Capua, Raffaele Pescione, a casa del Novi per un’ispezione.
Il controllo fu eseguito il 29 maggio 1859.
“Ci ha quindi condotti in un sottano (stanza terrena) dell’anzidetta sua abitazione, ove ci ha mostrato una statua di marmo giacente su di una tavola, dell’altezza di pal. sette circa senza testa, rappresentante il Dio Bacco, avendo il tirso nella mano sinistra ed una tigre al piede destro.
Alla stessa statua manca l’uno e l’altro antibraccio nonché il capo ed i piedi della tigre, ed il tirso vedesi spezzato in varii pezzi.
Successivamente ci ha dato ad osservare un cavallo di marmo più piccolo del naturale, di cui rimane in un sol pezzo parte della testa, il collo ed il petto, essendovi molti altri frammenti che allo stesso potrebbero appartenere, ma non ancora studiati nella loro proporzione.
Indi nello stesso sottano si è osservato una iscrizione lapidaria in marmo bianco di pal. 3,50 per 2,50 del tenor seguente:
L(ucio) Aufellio Rufo,
p(rimi)p(ilo) leg(ionis) V̅I̅I̅ C(laudiae) P(iae) F(idelis),
I̅I̅I̅I̅vir(o) quinq(uennali),
flamini dìvi Aug(usti),
patrono municipì,
vicus Palatius.
(C.I.L. X, n.° 4641)
È a marcare che la detta iscrizione è rotta in più di venti pezzi, che quantunque composti, lasciano non però alcuna lacuna.
Il bellissimo mosaico
Da ultimo nella sala di sua abitazione, sopra di un panco rimangono alcune terre cotte, delle quali una rappresenta il solito genio alato della Campania che soprasta al bove, ma non a faccia umana, ed altra un’ignota divinità cinta al capo di benda, non che una quantità di lucerne di poco valore, oltre dei quali oggetti null’altro rimane a rilevare o riconoscere che avesse potuto aver relazione con le prescrizioni della sullodata autorità.
Al seguito delle quali operazioni abbiamo dato ad intendere al medesimo sig. capitano Novi che … gli oggetti medesimi rimanevano confiscati a pro del Regio Governo.” (1)
Il 9 luglio 1859, in seguito ad un rapporto inviato qualche mese prima, si riaccesero i riflettori sull’area archeologica.
Il cav. Luigi Nicolini riportò interamente alla luce il mosaico rinvenuto nel tenimento di Pignataro Maggiore.
Eccone una breve descrizione:
“Esso è della lunghezza di pal. quarantuno e cinque decimi, della larghezza di pal. trentanove.
Secondo ciò che mi onorai manifestarle, è composto di tanti pezzetti di marmo variopinti, grossi da due decimi a mezzo pal. ognuno, formanti diversi disegni per quanti scompartimenti vi si vedono sul medesimo piano.
Tali scompartimenti sono distinti ciascuno da zone quadrilatere tassellate in modo differente dallo spazio che in sé racchiudono, senza simmetria l’uno all’altro ravvicinato.
Affinchè la Commissione di antichità e belle arti … possa dare al riguardo un semplice savio giudizio, io delineo alla meglio … la maggior parte dei disegni accennati.” (1)
Il Bacco e il cavallo
“È notevole, deggio ripeterlo, l’essersi rinvenuto un antico sepolcro di tufo con sole ossa umane sottoposto due pal. al livello del pavimento e nel masso di malta sul quale è poggiato.
Del pari non isdegnerà ricordare che trovasi messo in costruzione un frammento di epigrafe di non buono stile con le seguenti lettere (come sopra 29 maggio 1859).
Dietro tutto ciò il mosaico appartener si deve ad un’epoca bassa …
Ma se ben poco interessa anche per essere stato guasto in più punti da tempo remoto, è per l’arte e l’archeologia, essendone ovvii i riscontri in questi luoghi, sarebbe non pertanto opportuno rilevare se mai lo stesso fosse stato costruito per ricoprire un sepolcreto della sua epoca o di epoca aneriore.
Ciò non potrebbe desumersi che investigando se mail cadauna di quelle diverse riquadrature indicate, dentro sè comprendesse un sepolcro, o qualora alcun monumento dichiarativo venisse fuori anche da’ luoghi circostanti. Per lo che sarei di avviso che per assodare questo importante fatto si concedesse al … Nicolini licenza di praticare degli scavi sul quel fondo … denominato Torre … ” (1)
Il 1° dicembre 1859, l’Intendente di Terra di Lavoro comunicò ufficialmente al principe di San Giorgio al Bisignano che Giuseppe Novi aveva rinvenuto a Calvi un altro braccio appartenente al Bacco nonché altri pezzi del cavallo citato in precedenza.
Gli altri rinvenimenti
Il 6 febbraio 1860, il canonico Iovino inviò un’altra relazione alla direzione del Museo sugli scavi compiuti a Cales.
Oltre a chiarire il ruolo del proprietario Agostino Ferrari e a regolarizzare la posizione del Novi, elencò i seguenti rinvenimenti:
- una statua senza testa di marmo finissimo che rappresenta un Bacco colossale rivelata dal Capitano Novi dopo nove giorni
- una metà di cavallo di marmo rotto in dieci parti e di lavoro superbissimo
- una piccola statua di terracotta che rappresentava un Archelao
- una grande lastra di marmo bianco con l’iscrizione a caratteri cubitali VICVS PALATIVS
- una statua di marmo grezzo e in bassorilievo che raffigurava un magistrato in toga senza testa
- due altre statue di marmo, entrambe senza testa.
Inoltre, Iovino aggiunse che:
“Il luogo dello scavo pare che sia precisamente quello de’ bagni ed il sotterraneo sostenuto da varii ordini di basse colonne di mattoni ed illuminato da varii spiragli ne’ laterali, dimostra di servire per uso di stufe ossia Terme antiche.
In ogni modo il proprietario del fondo sig. Ferrari vorrebbe costruire sopra gli altri pochi avanzi di muri laterali un’abitazione colonica e distruggere in questa guisa un monumento che l’archeologia ritiene come cosa preziosa.
Io intanto ho impedito che scavando demolisse fabbricati esistenti e gli sfregiasse più di quello che gli ha sfregiato il tempo di tanti secoli.” (1)
La denuncia di Nicola Iovino
L’11 febbraio 1860, si scoprì incidentalmente una fornace di terrecotte antiche sul fondo di Marco Zona.
Il proprietario recuperò molte teste votive.
Il canonico Iovino ordinò “che si ricoprisse della sua terra, senza potercisi più scavare”.
Poi aggiunse che “la terra cotta è grezza assai, vi è anche qualche busto di statua frantumato, alcuni cignaletti finiti e qualche testa, ma tutto è grossolano, tutto è di stile mediocre; il solo che ha qualche considerazione è un Priapo dall’umbilico fino ai piedi rotti.” (1)
Nel frattempo emerse un acceso contrasto fra lo Iovino e Novi.
Nicola Iovino da parte sua denunciò degli scavi non autorizzati, rivelando i nomi di due tombaroli.
Inoltre, chiese maggiori poteri per sequestrare dei materiali e di aprire uno scavo in conto regio sul sito.
“Ho saputo con sospetto fondato dal proprietario del fondo dov’è sorta la fornace di terre cotte antiche che i due scavatori del sig. Ferrari, Raffaele Milonato ed Ambrobio N., oltre di essersi permesso di scavarvi in tempo di giorno, vi hanno scavato anche in tempo di notte; e quello che è peggio non ho potuto anche colle minacce obbligarli a consegnare gli oggetti scavati … quindi la prego di mandarne ordini a chi meglio crede, perché io in campagna aperta non posso reprimerli.
Le mandai colla posta di martedì passato un altro ufficio che si alludeva alla fornace anzidetta, ed ella non si è degnata di rispondervi ancora.“(1)
Tirato in ballo essendo socio di Agostino Ferrari, il Novi fornì invece un’altra versione dei fatti.
Il blocco degli scavi e la consegna dei reperti
“I miei operai avuto ordine di sondare con le trivelle il terreno circostante dell’edifizio, di cui ho sopra discorso, nello scopo di rinvenire i prolungamenti delle due strade, che lo costeggiano, s’abbatterono in un vasto deposito di terrecotte nel fondo d’un tal Marco Zona di Calvi, che non saprei dire se fosse favissa di un tempio, scuola di arte plastica, o fabbrica e fornace di tali oggetti.
Poste a luce da un tale Ambrogio Sciardone poche teste votive, due nipoti del Zona senza malignità e all’insaputa dei miei operai pose fuori numerose teste votive, bimbi in fascie, falli e statue, in quello appunto che io mi rivolgeva a dar parte alle autorità della nuova scoperta.” (2)
La ferma denuncia dello Iovino provocò l’intervento delle autorità.
Così ottenne il blocco gli scavi e la consegna da parte di Marco Zona del materiale rinvenuto.
In ogni caso, come segnalò il Novi, il canonico percepì un compenso di 10 ducati.
Il 26 febbraio 1860, lo Iovino consegnò alle autorità
- un mezzo busto di un Priapo
- un altro di una matrona senza testa
- una piccola statua
- quattro cignaletti
- otto teste di terracotta antica
“che il proprietario voleva vendere con riserba …
La Dea Forza
In forza dei suoi ordini coll’uffizio de’ 14 del corrente, il sig. Ferrari si è astenuto dal lavoro dello scavamento che teneva in corso, ed il suo socio Capitano Novi sta di malissimo umore con me, come se io ne lo avessi malamente ufficiato.
Egli stava scavando fino dal mese di maggio scorso, e perché credeva che ne avesse avuto il permesso, non l’ho vigilato che a raro …
In conseguenza disposi che una delle due terre cotte rappresentanti la Dea Forza si fosse offerta al R. Museo, l’altra mi onorava di regalarla a lei; ne feci un biglietto al sig. Minervini presso di cui si trovano.” (1)
Bibliografia:
1) Michele Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle province di terraferma dell’antico regno di Napoli dal 1743 al 1876
2) Iscrizioni, monumenti e vico scoperti da Giuseppe Novi …, Napoli 1861
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