I soprannomi caleni (1° parte)
In passato vigeva l’usanza di identificare le persone non solo attraverso il nome e cognome ma tramite i soprannomi.
‘U cuntranomm’ si attribuiva ad un singolo individuo e successivamente era trasmesso e fissato ai componenti dell’intero nucleo famigliare.
L’antica consuetudine era molto ricorrente in un contesto paesano perché consentiva di distinguere gli abitanti aventi lo stesso cognome.
Anche le forze dell’ordine erano obbligate ad indicare il soprannome per l’identificazione delle persone finalizzata allo svolgimento delle indagini.
Questa prassi è andata via via sparendo con il passare degli anni.
Comunque, il popolo aveva una fantasia davvero eccezionale nell’aggiungere o sostituire gli appellativi ai nomi anagrafici.
I soprannomi scaturivano dalle:
- professioni esercitate
- appartenenze o discendenze
- alterazioni del nome o cognome
- menomazioni fisiche
- parole o aggettivi inusuali pronunciati dai diretti interessati.
Pertanto, l’unico elemento distintivo che permetteva una rapida individuazione del singolo cittadino era costituito dal soprannome.
Questi epiteti si sono tramandati di generazione in generazione.
Ma se alcuni si sono ormai estinti con i rispettivi proprietari, altri si conservano saldamente sulle spalle degli ultimi discendenti.
Così, per il recupero e la custodia delle nostre radici, vi propongo una prima ricerca sui soprannomi caleni.
Presto altre ne seguiranno per rendere pressoché completo lo studio.
Ci tengo a precisare che la scelta di pubblicare i nomignoli non vuole essere assolutamente un’offesa verso nessuno degli interessati.
Ma soprattutto non è mia intenzione insinuare nulla che possa ledere il vostro onore.
Chiaramente, inizio da quelli della mia famiglia per rendere tutto più credibile.
Prima parte
S’pariegliu
Mio nonno paterno Lorenzo Izzo non l’ho conosciuto.
Morì nel 1946 molto prima che io nascessi.
Da giovane era un amante del gentil sesso.
Per approcciare le donne, che in quel periodo erano quasi tutte contadine, era solito mimetizzarsi dietro ai s’pari (cespugli).
Così i concittadini gli attribuirono il suggestivo appellativo per il suo “modus operandi”.
Chechetto
Luigi Pomaro, mio nonno materno, emigrò a 17 anni negli Stati Uniti d’America in cerca di fortuna.
Oltreoceano, fissò la propria dimora a Chicago, una città dell’Illinois sul Lago Michigan
Tornato in Italia, i compaesani chiedevano dove fosse stato.
Ma non sapendo pronunciare il nome della città americana, con un po’ di arguzia e originalità lo trasformarono in chechetto.
Barbanera
Zi Nicola Di Girolamo era il trisavolo dei proprietari del bar, ormai chiuso, collocato in piazza Umberto I a Zuni.
Solitamente dispensava ai compaesani suggerimenti su quando, come e dove seminare e raccogliere i prodotti della terra.
Solo lui possedeva il celebre almanacco e calendario “Barbanera“, una sorta di “vangelo” dei contadini a cui volgersi nella quotidianità.
Stimato e benvoluto, tutti chiedevano consigli a “Zi Nicola” che da allora diventò “Zi Nicola Barbanera“.
Carrafone
Un certo zi Nicola Capuano, dopo una giornata di lavoro nei campi, si fermava presso il palazzo baronale.
La padrona di casa era solita offrire del vino ai suoi contadini in ciotole di creta chiamate “caraffe”
Nel degustare l’ottima qualità di quel vino, zi Nicola, una volta, esclamò:
“quantu è buonu stu vinu, ma ce vulessero i “carrafuni” e non le “carrafelle“.
Da questa espressione nacque il soprannome “carrafone” attribuito ancora oggi al ramo della famiglia Capuano.
Seconda parte
Pisciuliata
Mariarosa Cifone era originaria di Rocchetta e Croce e da giovane lavorava in campagna con le amiche.
Un giorno le venne lo stimolo di fare l’atto piccolo.
Dopo aver svuotato la vescica, tornò dalle amiche ed esclamò:
“eggiu fattu ‘a pipì e m’ so’ tutta pisciuliata” (se l’era fatta addosso).
La ragazza si sposò successivamente a Visciano con Vincenzo Cipro e la famiglia si ritrovò il nomignolo.
Sapunara
Giovanna Capuano era una giovane zunese.
Un giorno uscì di casa per comprare del sapone molle di colore marrone.
Tornando alla propria abitazione, la ragazza di tanto in tanto ripeteva a voce alta:
“sta arrivà giuannina ‘a sapunara”.
In poche parole, si auto affibbiò inconsapevolmente il soprannome.
Pisariegliu
Zi Antonio Capuano era il capostipite di una nota famiglia zunese.
Il bambino alla nascita si presentava con un fisico a pera, cioè snello nella parte superiore e rotondetto in quella inferiore.
Il padrino, durante il battesimo, lo sollevò in aria e disse:
“m’ par’ propriu nu pisariegliu“, dall’indispensabile utensile da cucina “pisaturu” (mortaio in italiano).
Ancora oggi i componenti del casato riportano il simpatico appellativo.
Matrone
Nicola Zona era un giovane fanciullo appartenente ad una famiglia benestante di Zuni.
A differenza degli altri suoi coetanei che lavoravano già nei campi, lui frequentava le scuole.
La mamma, impegnata in lavori fuori casa, gli diceva:
“ninnì, teggiu lassatu ‘a pasta ‘ndo matrone”
Oppure
“truovi ‘a carn’ ‘ndo matrone” (mobile in legno).
Cacabiava
Durante la seconda guerra mondiale, un componente della famiglia di Gaetano Zona e Giovannina Santillo si nascose in una stalla a “Campoturzo” per sfuggire ai rastrellamenti delle truppe tedesche.
Nel locale si trovava il frumento usato come foraggio per gli animali (biada).
Quando poi fu avvisato dello scampato pericolo, uscì dal nascondino.
Lungo il percorso per rientrare in casa disseminava qua e là la biada persa dalle tasche bucate dei pantaloni.
Terza parte
Benpulita
Vincenzo Palmieri si recò un giorno nel suo terreno a le “Puzzare” in prossimità del cimitero.
Appena messo piede sul fondo, trovò l’erba medica rasata a zero.
Meravigliato, affermò:
“però l’hanno tagliata proprio benpulita!”
Munaciegliu
Il capostipite della famiglia del compianto Andrea Zitiello frequentava il Convento di San Pasquale a Pignataro Maggiore.
Ma, nonostante le abitudini di vita clericale, non disdegnava la possibilità di intrattenere un rapporto con l’altro sesso.
Infatti, guardava con piacere le donne dalle mura della struttura.
Pummaruol’
Nicandro Marrapese di Petrulo aveva sposato Maria Salerno.
Purtroppo sua moglie morì in giovane età.
In seconde nozze sposò Matilde Pomidoro, originaria di Casagiove.
I fantasiosi petrulesi, alterando il cognome della signora, chiamarono il figlio “Giuanni pummaruol’ “.
Bandito
Alla fine degli anni ’70, tre ragazzi, Nicandro Martino, Franco Pitocchi e il compianto Nicandro Della Vedova, riuscirono a forzare la serratura del biliardino del bar “Scacciapensieri” e a rubare le cinquanta lire con una chiavetta utilizzata per aprire la scatoletta di carne Simmenthal.
La comproprietaria Adalgisa Zona li sorprese in flagrante e riferì l’accaduto ai loro genitori per i dovuti provvedimenti disciplinari.
Da allora furono etichettati come “i banditi“.
Ma a poco a poco il sostantivo, una volta impiegato al singolare, rimase solo a Nicandro Martino.
Quarta parte
Pinz’tella e Scacciapensieri
Antonio Marrapese lavorò per 27 anni nello stabilimento di Moccia.
Era soprannominato pinz’tella perché aveva a che fare con la pinza, l’utensile utilizzato per afferrare e stringere pezzi metallici.
Quando successivamente aprì il bar “Scacciapensieri” a Petrulo, gli affibbiarono quest’ultimo nomignolo.
Munacon’
Nicola Salerno di Zuni era un brav’uomo e un buon padre.
Solitario e schivo, aveva un carattere poco incline alla socialità.
In effetti, rispecchiava la figura dell’agricoltore dell’epoca; chiuso ed aperto solo alle colture e non alla cultura.
Lancillotto
All’inizio del 1960, nel “Vicinato” a Petrulo vi abitavano le famiglie Franco, Izzo, Maciariello e diverse altre.
Contestualmente, “Le avventure di Lancillotto” apparvero in Italia nella TV dei Ragazzi.
Il protagonista era William Russell.
Prima dell’inizio del telefilm, Alfredo Maciariello, di anni 7, invitava a casa sua Angelo Franco di 5 anni.
Entrambi poi assistevano alla serie tv.
Angelo Franco, coinvolto emotivamente nella storia, voleva addirittura entrare nello schermo con due bastoni in mano per dare una mano al personaggio televisivo.
Da allora tutti lo chiamarono Lancillotto, compresi i familiari.
Maronna
Maria Immacolata Minerva di Visciano era devotissima alla Madonna dei Lattani.
Ogni anno si recava in pellegrinaggio a piedi a Roccamonfina.
Per 98 anni aveva vissuto nella preghiera.
Negli ultimi giorni della sua vita, seppur in coma, spalancava gli occhi quando i familiari si accingevano a recitare il rosario.
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