I soprannomi caleni (3° parte)
Nei tempi passati, la stragrande maggioranza dei cittadini caleni avevano un soprannome.
Questi appellativi, che il popolo da secoli solitamente aggiungeva ai nomi, erano di fondamentale importanza.
Infatti, consentivano una rapida identificazione per umorismo o arguzia dei soggetti interessati.
In questa terza parte della ricerca, vi illustro un’altra lista dei nostri nomignoli.
Telefonista
Maria Cammuso e sua sorella rimasero orfane di padre in tenera età.
Per mandare avanti la famiglia, la mamma Assunta Leone raccoglieva le frasche e lavorava allo stabilimento di Moccia.
Negli anni ’50, aprì un negozio di generi diversi in via IV Novembre.
Dopo un po’, Maria subentrò nell’attività commerciale ed introdusse il primo servizio pubblico di telefonia fissa a Calvi.
Nel 1976, poi, trasferì il proprio negozio in via Oreste Mancini.
Alla fine degli anni ’90, chiuse definitivamente i battenti dopo quasi 50 anni di attività.
Maria ‘a telefonista, per tanti anni, riuscì a far comunicare i caleni con i loro parenti sparsi in Italia e all’estero.
Cap’zzon’
Gaetano Capezzuto abitava ai Martini di Visciano.
I compaesani per identificarlo modificarono semplicemente il cognome Capezzuto in Cap’zzon’.
Tutti i suoi discendenti furono etichettati con il nomignolo al plurale “cap’zzuni”.
Zucculon’
Giovanni Merola era un signore di Zuni.
Un giorno vide sbucare all’improvviso una pantegana.
Sorpreso e meravigliato, esclamò:
“uardat’ che zoccola, che zucculon’ “.
Prima parte
Cap’llaru
Antonio Auriemma era un uomo di vita semplice ma laboriosa.
Dedicò tutta la sua esistenza terrena al lavoro e al benessere dei suoi familiari.
Originario di S. Maria C.V. e trasferitosi a Marigliano, Antonio sposò la bellonese Filomena Fusco.
I coniugi, fissata la loro dimora a Calvi, erano dei venditori ambulanti a bordo di un carretto.
In sostanza, esercitavano il baratto scambiando i capelli consegnati dai clienti in base al peso con un oggetto (bacinella, pentola, ecc.)
Adesso il soprannome è passato sulle spalle del nipote Antonio.
Zoccola
Remo Cipro è una persona conosciuta in paese essendo stato consigliere comunale nonché assessore.
Per fugare ogni dubbio, i viscianesi lo etichettarono “a zoccola” non tanto per una blasfema parodia dell’amore.
Ma solo perché a loro modo di vedere conosceva vicende e pettegolezzi riguardanti i suoi compaesani.
Tummason’
Tommaso Di Girolamo, classe 1879, era un uomo grande e grosso.
Una sera del 24 dicembre assisteva al tradizionale fuoco di Natale in Piazza Umberto I.
Uno di Zuni, notando la sua stazza fisica, esclamò:
“ecco pur’ Tummason’.
Monucu
Il bisnonno di Luigi D’Elia da ragazzo voleva diventare monaco.
La vocazione lo spinse ad entrare in un monastero.
Durante la permanenza nell’istituto, l’abate gli affidò più volte l’incarico di recapitare le lettere ad una suora in un altro convento.
Un giorno, durante il tragitto, decise di fermarsi in uno spiazzale.
Mosso dalla curiosità, apri la lettera e scoprì la relazione amorosa tra l’abate e la suora.
Deluso e amareggiato, si tolse la tonaca e intraprese una vita laica per poi sposarsi.
Fattor’
Giovanni Parente di Visciano era una persona fidata.
Prestava la sua opera per i conti Sanniti Zona.
Gestiva o dirigeva i loro molteplici possedimenti agricoli.
Seconda parte
Calabrese
Michelangelo Politanò era originario di Polistena in Calabria.
Cavaliere di Vittorio Veneto, sposò Francesca Pochì.
Dalla loro unione nacquero 8 figli.
Il primogenito Vincenzo svolse il servizio militare a Francolise.
Qui divenne amico di Gabriele Marrese, il quale gli fece conoscere sua sorella Maria Grazia.
Dopo il matrimonio di Vincenzo con quest’ultima, la famiglia Politanò (i genitori e altri 5 figli) si trasferì a Calvi.
Per 50 anni, Vincenzo Politanò ha gestito una “cantina” in Piazza Garibaldi a Visciano,
Cestr’llara
La famiglia di Clemente Porrino era originaria di Arienzo.
Nella valle di Suessola il capostipite costruiva cesti di vimini.
Quando poi i figli si trasferirono a Calvi, solo a Maria gli affibbiarono questo nomignolo.
Suspettu
Giuseppe Della Vedova, il nonno del medico in pensione, svolgeva il mestiere di agricoltore.
Inoltre, aveva le mucche e vendeva il loro latte.
La sua indole lo portava a diffidare di tutto o di tutti.
Quindi, Giuseppe instaurava una vena di sospetto verso ogni cosa.
Giuannigliegliu a v’rità e u paciere
Antonio Serio è stato uno dei più grandi maestri di musica e di pittura caleno.
Nel suo vicoletto a Zuni lo chiamavano “Giuannigliegliu a v’rità” e “u paciere“.
Una volta raccolte le informazioni sull’oggetto del contendere, gli bastava poco per capire dove stesse la verità.
Ed infatti, riusciva sempre a riportare la pace tra i litiganti.
Ferracavallo
Pasquale Santillo era un personaggio in vista a Calvi.
Praticò sin da giovane il mestiere di veterinario.
Inoltre, la sua inclinazione e le sue conoscenze lo portarono a lavorare anche in farmacia.
In Via Duca degli Abruzzi, con l’aiuto del fratello Nicola, esercitava l’arte della mascalcia.
Nello specifico, ferrava i cavalli.
Terza parte
Gassosa
Giacomo Martucci (Mino) in giovane età si diede un gran da fare.
All’età di diciassette anni lavorò dai D’Innocenzo a Taverna Mele.
In pratica, metteva i tappi sulle bottiglie di gassosa.
L’ap’ morta
Gaetano Capuano prestava la sua opera nell’impresa edile di Pasquale Marrapese (u m‘ricano).
Per la medesima ditta lavorava anche un mastro soprannominato “l‘ap‘ morta”.
Ma un giorno, un suo collega disse:
“ecco pure Gaetano l‘ap‘ morta“.
Da allora il nomignolo passò sulle sue spalle.
Cric
Antonio Caparco, dopo il matrimonio, abitava a Petrulo in prossimità della piazza.
Essendo in malattia, il suo amico Andrea D’Onofrio gli assicurò che non sarebbe mai arrivata la visita fiscale.
Ciò nonostante, un medico della mutua si presentò a casa sua.
Al termine della visita, prima che la relazione arrivasse all’INAM, manifestò l’intenzione di raggiungere e parlare con il suo amico.
Ma la ruota della sua Fiat 500 era bucata e non disponeva del cric.
Antonio riuscì a sollevare l’auto da solo, mentre un altro gli smontava e sostituiva la ruota con quella di scorta.
Carcaiuolu
Andrea Melone nei tempi passati gestiva una calcara.
In pratica, era una fornace di origine antica che aveva lo scopo di produrre la calce.
La struttura era collocala a Calvi Vecchia ai piedi della montagna dietro l’ex ristorante “Il Cacciatore”.
Recce
Raffaele Verolla era il figlio di Salvatore.
Durante i periodi invernali indossava un cappello grigio simile ad un colbacco sovietico.
La superficie del copricapo e paraorecchie sembrava un mantello di aculei che il riccio si porta addosso.
Da allora lo soprannominarono Recce.
Flautista
Vittorio Francesco Zitiello, detto “ciccio”, ha suonato da quando era giovane il flauto.
Agli inizi degli anni ’60, con alcuni suoi amici diede vita ad un complesso musicale chiamato “Blue Men”.
Per diverse edizioni, ha partecipato alla mitica Pasturella di Zuni.
Quarta parte
Fuggiascu
Agostino Zona non tornava mai a casa.
Lui e il fratello Vincenzo erano due ottimi cacciatori.
Anche in Africa settentrionale, durante la seconda guerra mondiale, andava a caccia e portava all’accampamento tutto quello che trovava.
Adesso il soprannome “fuggiascu” è passato sulle spalle del figlio Annibale Mimì Zona.
Fascetella
Gennarina Zona (Maria Michela) era una contadina.
Per sbarcare il lunario raccoglieva le frasche più sottili facendone delle fascine.
La legna minuta era utilizzata nei forni per la cottura del pane.
P’lacca
Teresa Parisi era una bella bimba.
Una signora americana, arrivata in Italia, la vide ed esclamò:
“Ma com’è bella questa bambina.
Mi sembra proprio una polacchina.”
Da allora “p’lacca“.
Fiamma
Antonio Parisi emigrò in Inghilterra in cerca di fortuna.
Nel paese d’Albione guadagnò fior di quattrini.
Tornato nel nostro paese, per sottolineare che avesse i soldi, affermò strofinando il pollice e l’indice:
“i teng’ ‘a fiamma”,
Da allora lo etichettarono “Nduninu a fiamma“.
Pantalone
Giuseppe Di Girolamo si recò a comprare un capo di abbigliamento.
Ritornato in piazza a Zuni, pronunciò ad alta voce in un linguaggio misto tra dialetto e italiano:
“m’ so’ ghiut’ a accattà nu pantalone“.
P‘ppon‘
Giuseppe Bonacci di Petrulo si trovò in mezzo ad altri giovani di età e conformazione fisica dissimile.
Sostanzialmente, era più grande e grosso degli altri.
Uno dei ragazzini presenti dichiarò:
“ca ce sta pur’ P’ppo’n.
Gix
Nicola Parisi è una persona conosciutissima in paese.
Per distinguerlo da altri Nicola Parisi di Zuni, in un primo momento lo identificavano con il nome del padre (di Egidio).
Ma poi qualcuno estrapolò la sillaba “gi” da Egidio e vi aggiunse la “x” finale.
Così divenne Nicola gix.
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