Studi e passioni dell’abbate Giovanni Tidone di Zuni
Nei primi anni del 1720, l’economo curato della chiesa di Sani Nicola era don Domenico Zona.
Il prete compilò un’accurata relazione sullo stato della parrocchia in occasione della santa visita del Vescovo di Calvi a Zuni.
Secondo il sacerdote, nella piccola comunità non mancavano certamente gli studiosi e le persone colte.
Uno di questi era il Dottore in Fisica don Geronimo Zona, sacerdote semplice, non confessore e senza facoltà di predicare.
L’altro, Giovanni Tidone, esercitava nel villaggio “l’Arte di Medicina“, pur essendo avviato al sacerdozio e alla vita religiosa nel seminario di Capua.
“Ancorchè sotto questa parrochiale vi sia un solo chierico per nome Giovanni Tidone, pure questo per esser D.N Fisico, e per haver la sua condotta in Capua si trattiene in essa città essercitando l’arte di Medicina.”
Dall’altro canto, gli “Acta Criminalia” del Settecento conservati nel Museo Campano di Capua consentono di apprendere non soltanto gli atti delittuosi più o meno gravi commessi sul territorio, ma anche determinati aspetti della vita sociale e dei costumi del tempo.
Uno dei fascicoli riporta la vicenda che ebbe come protagonisti l’abbate zunese Giovanni Tidone e la giovanissima Rosa di Capua.
Il corteggiamento serrato
La ragazza nel 1721 aveva sedici anni ed era rimasta orfana già a dieci anni.
La minorenne fu inviata dagli zii a casa di una nobildonna di Capua, Chiara Sanzuti.
Nella medesima abitazione si trasferì per motivi di studi anche l’”Abbate Giovanni” di Zuni di Calvi.
Il giovane caleno, seppur impegnato nell’apprendimento della medicina, iniziò un corteggiamento serrato e intollerabilmente indiscreto a Rosa.
Addirittura, arrivò al punto di prometterle di sposarla se avesse ceduto alle sue bramosie.
Una mattina, approfittando del fatto di essere rimasto solo in casa con Rosa, Giovanni volle saggiare il suo “smarrimento“.
Ma quando si accorse che la giovane opponeva una certa resisteva, ebbe una reazione grossolana e inaspettata.
Infatti, afferrò il crocifisso, che stava a capo del letto della stanza, e iniziò a “baggiarla“, dicendo testualmente:
“per questo Cristo ti giuro che io ti sposo, se consenti alle mie voglie“.
Rosa prestò fede a quello che ritenne un solenne giuramento e non oppose più resistenza quando lui “forzosamente l’afferrò”.
Da quella mattina, i rapporti tra i due amanti divennero frequenti e Rosa rimase incinta.
A quel punto, la ragazza fu rimandata a casa degli zii dalla nobildonna capuana.
Invece, l’abbate Giovanni lasciò la città sorta sull’ansa del fiume Volturno per far ritorno a Zuni.
Il rifiuto del matrimonio
Nel 1725, Rosa diede alla luce un figlio maschio.
Ciò nonostante, Giovanni si rifiutò di sposarla.
Immediatamente, la giovane mamma propose la prima “querela criminale” contro di lui.
Ma, Giovanni si trovava nello status di “clerico“, cioè di persona avviata al sacerdozio e che già indossava l’abito talare.
Dunque, la potestà giudiziaria per gli appartenenti al clero spettava al vescovo diocesano, che la esercitava personalmente o per mezzo di un vicario generale.
In quegli anni, il vescovo di Calvi era Monsignor Filippo Positano, un illustre e brillante prelato, fondatore del Seminario.
Tuttavia, l’abbate doveva essere protetto a Calvi da qualche personaggio importante e prestigioso.
L’autorevolleza di quest’ultimo era tale da influenzare in modo significativo anche il tribunale “laico” di Capua.
Infatti, degli atti della prima querela criminale di Rosa contro Giovanni del 1725 non si trovò più alcuna traccia.
Il processo comunque si svolse dopo la seconda denuncia di Rosa.
L’abbate Giovanni, intanto, incurante delle accuse piovutegli addosso, si era sposato clandestinamente con una vedova.
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