Una fortuita coincidenza
L’instaurazione del regime fascista nel 1926 comportò la negazione delle garanzie democratiche e di libertà nel nostro Paese attuata mediante la propaganda, la disinformazione, la manipolazione dell’informazione e il consenso delle masse.
Ciò fu possibile grazie alla creazione di sedi locali del Partito Nazionale Fascista dislocate nei comuni d’Italia.
A Calvi Risorta nei primi anni ’40 un manipolo di notabili locali (L. I., N. C., E. C., G. Z., G. M. ed altri) decisero di trasferire la sede del fascio di combattimento a Visciano in Via Napoli n. 2 all’inizio della piazzetta, meglio conosciuta “dei tre bar”, affittando o requisendo in uso il locale della Società Operaia di Mutuo Soccorso senza eseguire ristrutturazioni funzionali ed estetiche del fabbricato.
L’inaugurazione fu immortalata da una foto ricordo di interesse storico.
La “Casa del Fascio” rappresentò il centro strategico di tutte le principali attività politiche ed amministrative che si svolgevano sul territorio comunale ma anche una vetrina tesa alla celebrazione e all’esaltazione del regime fascista.
Inoltre, la struttura fornì ai cittadini ulteriori servizi riguardanti la cultura, lo svago, l’educazione fisica e l’assistenza pre e post-natale affidata all’ostetrica Margherita Del Prete in collaborazione con i Fasci Femminili.
Infine, l’organizzazione istituì corsi di indottrinamento con l’obiettivo primario di formare i futuri soldati, uomini pronti a “credere, obbedire e combattere”, e di plasmare la coscienza e il pensiero di coloro che dovevano diventare “i fascisti del domani”.
Il bombardamento del 9 ottobre 1943
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente occupazione nazista della città, i fascisti caleni collaborarono inevitabilmente con la Wehrmacht offrendo pranzi e cene agli ufficiali e sottufficiali teutonici, adoperandosi per far affluire derrate alimentari e generi di prima necessità all’accampamento tedesco e procurando ai crucchi mezzi di trasporto quali biciclette, autovetture e alcuni camion della divisione “Pasubio“.
L’intelligence alleata, informata del ruolo centrale svolto dalla sezione locale del fascio di combattimento nel territorio caleno ancor prima dell’inizio della campagna tedesca, inserì il sito negli obiettivi da colpire.
L’occasione propizia agli anglo-americani si presentò la mattina del 9 ottobre 1943 dopo che i ricognitori scambiarono l’ospedale installato nel Convento dei Padri Passionisti per un centro di comando e controllo tedesco.
Così decisero di passare all’azione.
Alle 11:30 sei fortezze volanti alleate, dopo aver colpito il Seminario Apostolico, rasero al suolo, con il lancio a tappeto di bombe e spezzoni incendiari, gran parte del centro storico di Visciano (Via Napoli, Via Garibaldi e Via XI Febbraio) provocando la morte di 14 civili e di un bambino di sei mesi nel grembo materno.
Disegno divino o fortuita coincidenza?
Il bilancio delle vittime innocenti poteva essere ben più grave poiché l’abitazione di don Carlo Zona (oggi di proprietà della famiglia Capuano), che ospitava una pluriclasse (classe unica con bambini di età differenti) di scuola elementare in una stanza al primo piano di via Napoli n. 7, fu distrutta dagli ordigni e ridotta ad un cumulo di macerie.
Ma, per una fortuita coincidenza, il bombardamento effettuato sabato 9 ottobre, risparmiò la vita a trenta bambini caleni e alla maestra Elena Martino.
In quel giorno (e ogni sabato a seguire) gli studenti, attenendosi alle disposizioni del “sabato fascista“, non frequentavano la scuola per partecipare obbligatoriamente alle adunate del regime in divisa e alle attività ginniche e motorie.
La scolaresca dei nati nel ’32, ’33 e ‘34, formata da Domenico Caparco, Antonietta D’onofrio, Giovanni Izzo, Silvestro Leone, Domenico Mingione, Giovanna Mingione, Vincenza Pomaro, Francesco Ranucci, Ferruccio Rossi, Maria Rossi, Teresa Zona, ecc., non poté seguire le lezioni per un po’ di tempo finché l’insegnante non trovò una nuova sistemazione.
Nel 2012, due amiche studentesse di quella classe, Vincenza Pomaro, petrulese di adozione, e Antonietta D’Onofrio, emigrata alla fine degli anni ’50 a Monessen in Pennsylvania negli Stati Uniti, si sono riabbracciate a distanza di molti anni.
Nel ripercorrere le tappe più importanti della loro vita in un susseguirsi di emozioni, i ricordi di quel tragico evento di 70 anni fa sono riaffiorati in un attimo sollevando un reciproco interrogativo:
il lieto fine di quel 9 ottobre 1943 era frutto di un disegno divino o di una fortuita coincidenza?
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